Denominazione attuale: Piazza Maggiore.
Dalle “Cose Notabili …” di Giuseppe Guidicini.
Guidicini.
La Piazza Maggiore Nuova così dicevasi per distinguerla dall’altra che era nei contorni dei Celestini, e che corrispondeva al palazzo della Ragione detto di Sant’Ambrogio. Come e quando siasi formata la detta piazza non ci è stato trasmesso dai nostri storici.
Un rogito d’ Aimerico delli 12 novembre 1139 esistente nell’archivio dei canonici di S. Salvatore, che tratta di un’affittanza enfiteutica fatta dai detti Padri a Giovanni Bono pellizzaro, e a Berta sua moglie, fa menzione di certa casa con corte posta presso la piazza Maggiore.
La sua estensione era altra volta maggiore dalla parte di settentrione, ma più ristretta verso le tre altre regioni.
Perdette d’ ampiezza verso settentrione per gli aumenti dati in due diverse epoche al palazzo del Podestà, ma guadagnò di suolo per le seguenti demolizioni in altre parti:
1286. Fu atterrata la chiesa di Santa Maria dei Rustigani.
1336, 11 novembre. Comprò il Comune certe case dette le Volte, sotto le quali vi eran botteghe da speziale, che furon spianate.
1339, 6 aprile. Furon distrutte diverse botteghe di pescatori, macellari e banchieri, poste verso mezzogiorno in faccia alla ringhiera degli Anziani, per fare la loggia degli stipendiati, detta poi dei cavalieri, alias della guardia del palazzo nuovo, poi atterrata nel 1384 per ampliare con parte del suo suolo la residenza del collegio dei notari.
1400, 13 dicembre. D. Palmiero Palmieri, rettore di Santa Tecla dei Lambertazzi. vendette per L. 2000 alla fabbriceria di S. Petronio tre case presso la Piazza, in prossimità della via che andava all’ ospedale della Morte, e di certe case di detta chiesa. che dal lato posteriore confinavano col muro della nuova chiesa di S. Petronio, le quali case erano già state guastate li 18 novembre precedente per ingrandire la piazza e le scale di S. Petronio.
1404, in agosto. Il Legato Cardinal Cossa fece demolire la croce innalzata nel 1286 dov’ era l’altar maggiore della chiesa di Santa Maria dei Rustigani, la qual croce era racchiusa in una cappelletta a similitudine di quella di Strada Castiglione. La cronaca del canonico di S. Pietro Raffaele Primadizzi, morto nel 1460, dice che questa croce con cappella e altare di piccola estensione, ma elevata, era chiusa con inferriata, che nel suo contorno vi erano scolpite le misure delle biade e di altri generi, e murate alcune catene con collari di ferro alle quali si legavano i ladroncelli ed altri che commettevano piccoli furti.
Il Legato ordinò che la croce si collocasse in una delle cappelle della chiesa di S. Petronio, ma si stimò meglio d’innalzarla sul Campo del Mercato, di dove fu tolta nel 1552 e riposta nell’ altar maggiore della chiesa della compagnia di Sant’Andrea del Mercato.
Nel 1612 fu trasportata nel cimitero dell’ ospedale della Vita presso S. Giovanni del Mercato, finalmente nel 1807 fu stabilita nel cimitero della Certosa.
1428. Il Comune pagava ai Padri Domenicani annue L. 100 in compenso di rendita di botteghe incendiate e demolite dal popolo sulla Piazza Maggiore.
1485, 7 novembre. Furono atterrate varie botteghe dei Padri di S. Giacomo, di S. Procolo, dell’ ospedale di S. Bovo, della compagnia dei Merzari e di Nicolosa Sanuti, le quali ultime rendevano L. 50 d’ annuo affitto, come si rileva dai rogiti di Bartolomeo Zani e di Francesco Pellegrini. Il Reggimento in detto anno deputò Annibale Bentivogli e Pirro Malvezzi a soprastare all’ ampliazione e all’ abbellimento della Piazza.
1505, 1 dicembre. Decreto di demolizione delle botteghe de’ Macellari aderenti al palazzo.
1508 fu spianata una bottega dei Domenicani presso il palazzo dei Signori, per togliere quell’ impedimento, e per ingrandire la piazza.
Un antico statuto dà i limiti della Piazza Nuova nei termini seguenti:
Per Piazza intendiamo quanto circonda il muro del palazzo del Reggimento della città di Bologna, delle case della compagnia dei notari, della chiesa di S. Petronio, e del palazzo del signor Podestà, ed anche in ciascuna contrada che ha capo alla piazza fino a 10 pertiche da misurarsi dalle mura di detta piazza; più la piazzola che è appresso e avanti la banca della condotta degli stipendiati (cioè la piazzetta di Santa Maria dell’ Aurora, che fu detta anche piazza Montanara). E qui si fa osservare che nella via dei Fusari e in quella delle Pescarie si vedono murati dei mezzi leoni di tutto rilievo, che credesi indicassero i confini delle 10 pertiche prescritte dal suddetto statuto al di là della Piazza Nuova.
L’ Alidosi nelle sue cose notabili di Bologna ha dato i nomi dei proprietari delle principali case che contornavano la piazza negli antichi tempi. Ricorda quelle del dottor Francesco Accursio, di Guglielmo Accursio, dei Cattani, dei figli di Gherardo Galluzzo dei Lambertazzi, dei Lambertini, degli Oddofredi, dei Palamini, degli Scannabecchi, di Martino Solimani, dei Tebaldi, dei dal Vado, degli Uberti e dei dalla Zecca; ma alcune di queste erano non sulla piazza, ma nelle sue vicinanze, ed altre sono dimenticate, quantunque delle più ragguardevoli, come si vedrà in appresso.
Le strade che terminavano alla piazza erano:
1. La via del Pavaglione.
2. La via delle Chiavature.
3. La via delle Pescarie.
4. La via degli Orefici.
5. La via delle Spaderie.
6. La via della piazzola della Canepa.
7. La via della Zecca.
8. La via delle Scudelle.
9. La via di Porta Nova.
10. Strada S. Mamolo.
11. La via dei Pignattari
12. La via Cavallara.
Le vie della Zecca e delle Scudelle fanno parte della piazza del Nettuno dopo che fu demolita l’isola ; e la via Cavallara è ora rinchiusa nel palazzo del Legato.
Nel 1350 il Vescovo di Bologna fece costruire dei muri alle strade che sboccavano sulla piazza, e li fece guernire di grosse catene per trattenere il primo impeto del popolo si facile ad essere agitato a quei giorni dai partiti che dominavano.
La notte del 23 giugno 1403 e il sabato seguente il marchese Leonardo Malaspina governatore per il Visconti in Bologna, fece chiudere con rastelli (cancelli) tutte le bocche della piazza, praticando certi portelletti a lato per comodo dei pedoni.
1. Un rastello con portello fu posto a capo della via del Ballo che va all’ospedale della Morte presso la chiesa di S. Petronio (via del Pavaglione).
2. Uno con portello alla via delle Chiavature, o di S. Vito.
3. Uno con portello che di rado si apriva sul trebbo dei Malcontenti a capo della via che va all’ospedale della Vita e alle Pescarie.
4. Uno con portello all’ entrata della piazza di sopra le case di Aldraghetto Lambertini, ossia delle orificerie.
5. Uno senza portello, che mai si apriva, era posto fra la casa della compagnia degli speziali e quella dei merciari presso il pozzo del capitano, e cioè nel vicolo delle Accuse.
6. Uno con portello a capo delle Merzerie rimpetto alla torre e alla casa grande dei Ramponi, lasciando fuori la via della Zecca (cioè la via del voltone della Corda).
7. Uno con portello fra il palazzo del re Enzo e la casa della Zecca. La Zecca era nella via di questo nome sparita per l’ atterramento dell’ isola.
8. Uno con portello a capo della via delle Scudelle, che conduceva a S. Pietro (cioè alla via del Canton dei Fiori). – .
9. Uno con portello presso il palazzo del Comune per chiudere le vie di S. Mamolo e di Porta Nova (Cantone dell’ orologio).
10. Uno con portello fra la chiesa di S. Petronio e il palazzo dei notari (via dei Pignattari).
Ogni rastello era guernito di sopra di una guardiola con petriera, e di guardia per aprire e chiudere i rastelli e i portelli.
Tutto questo apparecchio di difesa per la piazza fu messo in pezzi da una sommossa di popolo contro il governo dei Duchi di Milano li 2 settembre 1403.
Si ha memoria che del 1284 per commissione di Ottaviano di Baldoino furon seliciate in pietra cotta quarantanove pertiche della piazza Maggiore Nuova.
1400, 7 dicembre. Fu ordinato che tutta la piazza fosse seliciata, lavoro che si cominciò ad eseguire li 19 giugno del 1406 per ordino del Cardinal Legato Baldassare Cossa, nel qual giorno i guastatori stavano spianando la sua area, che poi fu alzata di tre piedi, e riempita la larga fossa davanti al palazzo del Comune, al quale vi si entrava mediante un ponte levatoio.
D. Pietro Fabro, curato di S. Michele del Mercato di Mezzo, dice nella sua cronaca che li 23 dicembre 1406 si vide finita di mattoni cotti con divisioni di marmo formanti tanti quadrati, la seliciata della piazza del palazzo dei signori al trebbo dei Malcontenti (Pescarie), e dalle scale di S. Petronio al palazzo della ragione (palazzo del Podestà).
1534. Si rinnovò la seliciata della Piazza Maggiore colla spesa di L. 9591 impiegate nei seguenti materiali.
1. Liste di macigno per fissare i posteggi venditori e i viali dei compratori … N. 12152
2. Buchi di macigno per conficcarvi i travi del teatro della fiera. …N. 175
3. Pietre cotte. …N.524500
Dal numero delle pietre si deduce che la seliciata fu fatta a resca, ossia di pietre in coltello.
4. Calcina …Corbe 1990
5. Some di sabbione …N. 12045
6. Carra di Pietrizzo. …N. 950
7. Opere di mastri muratori …N. 1275
8. Dette da manuali …N. 3817
Sembra che il predetto lavoro siasi eseguito durante il governo del celebre storico Francesco Guicciardini.
1651. Fu decretato che si rifacesse la seliciata della piazza in pietre fregne, e con liste di macigno, la cui spesa fu calcolata in L. 20500, 00, 00.
La qual somma fu distribuita a carico come abbasso:
Alle 27 arti della città … L. 2531, 10, 00
Alle 33 cappelle del circondario della città …L.10761, 15, 10
Alle 28 Comuni entro il raggio di 5 miglia, e alle sei Comuni che toccano la detta distanza dalla città, e trovansi parte di qua e parte di là dal detto raggio …L. 2799, 16, 04
Alle botteghe della piazza e del suo contorno …L. 1992, 06, 02
Agli orti entro la città calcolati in totale tornature 156, 106 …L. 668, 18, 04
Alla Camera di Bologna …L. 1745, 13, 04
_______________
L. 20500, 00, 00
Nel secolo XVIII fu selciata in sassi, e i comparti per i venditori e i compratori furon fatti di selci, o sassi riquadrati.
1828. Nell’agosto si diede mano al rifacimento del seliciato della piazza, regolando in altro modo la sua pendenza per il declivio delle acque, e levando un ponticello sotto il quale scorrevano, il qual ponticello era praticato nel marciapiede di macigno che dal portico dei cappellari conduce alla porta del pubblico palazzo.
La misura superficiale della Piazza Maggiore, detta anche di S. Petronio, qual è attualmente, fu calcolata dal Dotti, architetto del Senato, pertiche 510, 98. Secondo una nuova misura si è trovata pertiche 480, 20, 10, delle quali sono selciate in macigno pertiche 4, 42, ed il restante in sassi.
Nella Piazza Maggiore Nuova si pubblicavano i bandi nel 1289 davanti le case di Soldano Galluzzi e della compagnia dei notari. Questa pubblicazione facevasi a suon di tromba da quattro banditori a cavallo per tutta la città nei luoghi a ciò destinati.
Nel 1266 i Consigli decretarono che la fiera dell’Assunta, solita a tenersi ogni anno a Santa Maria della Canonica distante due miglia dalla città fuori di porta Saragozza, si facesse nella Piazza Maggiore Nuova. Questa fiera era molto accreditata, trovandosi che per molte contrattazioni si fissavano i pagamenti alla fiera di Santa Maria di Reno, come consta da un rogito di Rolandino Passaggeri e da un altro del 1266, col quale Rolandino Romanzi vendette 127 tornature di terra nel Comune di Pollicino, a baiocchi 12 la tornatura da pagarsi alla fiera di Reno.
Durante la fiera celebravasi una messa a comodo dei negozianti nella chiesa di Santa Maria dei Rustigani, e, dopo il suo atterramento, nella cappelletta della Croce innalzata dove fu già l’altar maggiore della medesima.
Manchiamo di notizie dell’ epoca in cui si cessò di tenere questa fiera nella piazza, ma è presumibile che ciò avvenisse poco dopo il 1444, mentre a quei giorni per la solennità dell’Assunta sorse una fiera che si teneva dentro e fuori della porta di San Mamolo a comodo del numeroso popolo che portavasi alla B. Vergine del Monte a rendergli grazie per la segnalata vittoria riportata dai bolognesi condotti da Annibale I Bentivogli contro il conte Luigi Dal Verme capitano dei Duchi di Milano li 14 agosto 1443 fra S. Pietro in Casale e il castello di S. Giorgio di Piano.
Per questo fatto d’ armi glorioso per la bolognese repubblica fu decretato che li 14 agosto d’ ogni anno tutte le autorità civili ed ecclesiastiche si recassero in solenne cavalcata alla chiesa della B. Vergine del Monte per presentare a quella sant’immagine una ricca offerta in cera e denaro.
Nei libri del Reggimento si trova che li 17 agosto 1461 furon pagate L. 3 a Crescente del Poggio per sego bruciato lungo la via di Santa Maria del Monte nella notte precedente alla sua festa per andare all’Indulgenza, e che li 14 agosto 1462 fu accordato al Gonfalonìere di spendere L. 20 per le cose necessarie al viaggio della Madonna del Monte, e per illuminare la strada. Ciò prova che la cavalcata si faceva la notte del 14 venendo al 15 d’ agosto, e probabilmente per scansare il gran caldo della stagione.
In progresso di tempo la cavalcata ebbe luogo dopo i vespri della vigilia di detto giorno, e ciò nel 1700 circa, in cui si cessò di recarsi colà, e si sostituì la visita alla chiesa della Madonna delle Grazie, inviando però le solite offerte a quella del Monte, cui volle Gregorio XIII concedere, li 30 giugno 1584, un’ indulgenza in forma di giubileo per tutta l’ottava dell’ Assunzione.
L’uso dei tornei, o giostre, in Bologna si fa rimontare al 1146. Raccontasi che l’ imperatore Corrado III avendo ricevuti ad ambasciatori bolognesi Azzone Torelli. Riniero dalla Fratta e Silinguerra Guifredi li fece assistere ad un torneo all’ uso di Sassonia, esortandoli d’ introdurre tal genere di spettacolo anche in Bologna, e con segnò loro le leggi e i regolamenti da osservarsi. Aggiungesi che nel 1147 fu data la prima giostra, della quale fu vincitore Egano di Gerardo Lambertini.
Il Negri ne’ suoi annali descrive minutamente questo spettacolo, e non contento di tramandarci tante recondite notizie porta dettagliatamente i capitoli e le leggi dei giostranti.
Che i bolognesi dessero a quei giorni qualche spettacolo è probabile, ma che le leggi dei tornei le avessero dalla Sassonia non regge.
Dicesi che nel 1202 Geremia Malavolta morì giostrando alla presenza di Ottone imperatore.
Nel giorno di S. Petronio si dava una festa sulla piazza che pare consistesse in una giostra.
Per la festa del 1441 furon pagate, li 11 ottobre, a Nicolò di Baldassare Massarolo L. 38, 8, 10 per lavori fatti e legnami impiegati per l’apparato in piazza, e a Tommaso Dal Dottore speziale ed anziano furono sborsate L. 5, 15 per confettura e vino da lui fornito al governatore e al magistrato per detta festa.
La festa del 4 ottobre 1470 fu data a spese di Giovanni II Bentivogli con un magnifico torneo descritto in ottava rima da un contemporaneo. Il premio fu uno stendardo di ricchissimo broccato d’ argento, che fu vinto da Alessandro Bargellini e da Egano Lambertini, ed offerto dai vincitori al Bentivogli, il quale fece dipingere la festa nella sala del suo palazzo da Francesco Francia, opera mirabilissima e fatalmente distrutta.
Precedentemente alla festa di S. Petronio nel 1471 si corse la giostra per vari giorni da 56 giostranti, che entravano in lizza alle ore 19 e sortivano alle ore 21. Il premio fu un palio di cremisino bianco guadagnato da Bartolomeo Sangiorgi, altri dicono da Bartolomeo dal Bue, e da Tommaso da Lodi uomo d’ armi di Giovanni II Bentivogli.
Li 11 luglio 1490 Francesco Pedocca, rettore dello Studio, fece giostrare in piazza donando un palio di velluto cremisi di braccia 23, che fu guadagnato da Cesare Gozzadini uom d’armi del detto Bentivogli, e da Carlo Rossi al servizio di Roberto Malatesta.
Il premio ordinario dei vincitori era anticamente un palio di velluto, o di cremisino.
Giulio di Giovanni Franchini sborsò alla Camera di Bologna, li 25 gennaio 1603, scudi 600 da L. 4 perchè colle rendite di detto capitale si premiasse con una collana e una medaglia d’ oro del valore di scudi 50 il vincitore della giostra al rincontro, e non impiegandosi i frutti per detta collana, riservò la metà dei medesimi a pro de’ suoi eredi, come da rogito di Pietrantonio Noli.
La giostra al rincontro si correva la domenica di quinquagesima. Da una parte della medaglia vi era la seguente iscrizione: — Julij Franchini munus, — e dal l’ altra un gonfalone sostenuto da due chiavi, e un San Giorgio a cavallo sopra di un serpe.
La collana e medaglia d’oro fatta fare nel gennaio del 1711 per la giostra al rincontro da corrersi in quell’ anno costò L. 614, 15, 1.
Vincenzo del conte Girolamo Ercolani nel suo codicillo del primo luglio 1680 lasciò L. 10000 da investirsi per fare un cumolo di L. 5000, e perchè coi frutti di questo cumolo e capitale si dasse una collana d’ oro al vincitore della giostra al rincontro. Mori l’ Ercolani li 29 aprile 1687, e nel 1732 i cumoli col capitale ammontavano a L. 21610, 17, 2.
I premi per le giostre alla quintana e al saraceno erano alcuni pezzi d’ argento di non stabilito valore fatti a spese del magistrato degli Anziani. Si correva il giovedì grasso.
Qualche volta si correva la giostra all’ anello e al dardo.
Per lo spettacolo delle giostre, che d’ ordinario si dava nel carnevale, si costruiva un circo di legname aderente alle scale di S. Petronio, lungo piedi 265 e largo piedi 130 circa. I palchi per il legato, per la nobiltà d’ambo i sessi, e per i giudici erano dalla parte della chiesa di S. Petronio, e quelli degli altri spettatori da quella opposta. La lizza era in direzione di levante a ponente. L’ingresso alla lizza era verso il pubblico palazzo, e la sortita verso il portico dei Banchi, nelle quali testate non vi erano palchi.
Nel 1655 fu data una giostra al rincontro alla Regina di Svezia sopra una gran nave la cui prora toccava la facciata dei Banchi sopra le pescarie, e la poppa era appoggiata alla ringhiera sulla porta del palazzo.
L’ultima giostra, che fu alla quintana, fu vinta l’ultima domenica di carnevale li 11 febbraio 1725 dal conte Federico Calderini, che fu poi senatore.
La Fiera dell’Assunta, che, come si è detto, tenevasi dentro e fuori della porta di S. Mamolo, fu restituita alla Piazza Maggiore, ma decaduta in guisa da ritenersene lo scopo, più che industriale, di pubblico solazzo.
Se nel 1534 in occasione della rinnovazione della seliciata della piazza si ebbe cura di distribuirvi 175 buchi di macigno per conficcarvi i travi del teatro della fiera. sarebbe a credersi che fosse stata qui traslocata prima di detta epoca.
Dai capitoli dell’ appalto del dazio piazza, stipulati li 19 novembre 1583, impariamo che questa sedicente fiera era franca dal 14 al 24 agosto, e da quelli segnati li 2 settembre 1613 sappiamo che la franchigia era stata estesa a tutto il mese di agosto col consenso dei magistrati e con notificazione del primo agosto 1607 del Legato Cardinal Giustiniani.
In tempo di fiera gli Anziani del bimestre di luglio e di agosto erano per cosi dire i padroni della piazza. Il teatro costrutto di legname era fatto a spese di quel magistrato, il quale disponeva delle botteghe, fissava l’affitto, giudicava delle controversie, e condannava con pene pecuniarie ed anche col carcere i contravventori ai regolamenti della fiera.
Andò in tale decadenza quest’ immagine di fiera, che non trovandosi concorrenti volontari per occupare le botteghe, bisognò che gli Anziani ricorressero ai mezzi coativi, obbligando le compagnie d’ arti a provvederle di mercanti e di mercanzie. Il numero delle botteghe non oltrepassò mai le quaranta, nè mai fu minore delle sedici.
Nel 1621 il teatro della fiera fu ornato di pittura e di prospettiva per festeggiare la promozione al cardinalato del nostro concittadino Marcantonio Gozzadini, e tal modo di ornarlo fu praticato ancora per molti anni.
Aveva il teatro tre ingressi: il principale era davanti al pubblico palazzo, e gli altri due negli angoli della fiera dalla parte del portico dei Banchi. Une fila di botteghe eran costrutte dalla parte della chiesa di S. Petronio e da quella del palazzo del Podestà, ed una terza sotto la prospettiva che chiudeva il teatro dalla parte di levante, nella quale simetricamente si vedevano distribuiti gli stemmi del Gonfaloniere di giustizia e degli otto anziani del quarto bimestre. Lunghesso e davanti i tre filari di botteghe eravi una specie di galleria coperta, sulla quale era praticato un sito comodo e sicuro per dar ricetto a numeroso popolo il dopo pranzo del 24 agosto, giorno in cui davasi lo spettacolo della porchetta.
La sera il teatro era illuminato fino a una determinata ora, dopo la quale si chiudeva, e durante la notte era custodito da apposita guardia.
L’ instituzione di una festa che davasi il giorno di S. Bartolomeo ebbe il suo principio circa il 1249, e consisteva in una corsa di cavalli, che spiccavansi dal ponte di Reno fuori di porta S. Felice, e si fermavano dov’eran le case dei Romanzi, poi Malvasia, dalla Seliciata di S. Francesco.
Nel 1263 si volle che la corsa cominciasse dal ponte maggiore di Savena fuori di porta di Strada Maggiore, e terminasse al trivio di Porta Ravegnana, la quale fu poi allungata fino al Fieno e Paglia, e cioè al torrazzo delle Carceri. I premi erano dapprima un ronzino e uno sparaviere, ai quali nel 1280 fu aggiunta una porchetta, e poi in seguito anche due cani bracchi.
Il Ghirardacci dice che i premi del Palio che correvasi per Strada Maggiore li 24 agosto consistevano in un cavallo vivo addobbato, uno sparviero, due cani bracchi, e un carniero, ossia bastone, che si attaccava all’arcione dai gentiluomini quando andavano a caccia collo sparaviero in pugno.
Il primo cavallo vincitore riportava in premio il ronzino, lo sparaviere e i due cani bracchi, e il secondo la porchetta.
Il rettore dell’ ospedale dell’ Idice pagava le spese di questa festa stabilita in L. 40 di bolognini.
Se la corsa del giorno di S. Bartolomeo era in uso del 1249, e senza dubbio pur anco del 1263, è evidentemente provato che quella festa non fu instituita per il fatto di Tebaldello seguito la notte del 12 al 13 novembre 1280 coll’ esterminio dei ghibellini e del loro capo Antonio Lambertazzi, supposizione che ha esistito nella sola mente del Bombaci e di coloro che gli hanno dato retta.
Il Ghirardacci dà la disfatta dei Ghibellini a Faenza quasi un anno dopo, e cioè li 24 agosto 1281. Il certo si è che la festa di S. Bartolomeo praticavasi prima assai del 1280 e del 1281, e tutto al più potrebbesi concedere che dopo il fatto di Tibaldello si aggiungesse la porchetta, la quale era portata viva sopra un cavallo per tutto il tratto di strada ove correvasi il Palio.
Ansaldino d’ Alberto Ansaldini, notaro, inserì nel registro de’ suoi atti il fatto di Faenza nel modo seguente: “1280, il martedì notte verso il giorno 12 novembre il partito dei Geremei di Bologna prese per forza la città di Faenza con intelligenza di Tebaldello de’ Zambrasi, di dove scacciarono i Lambertazzi che tenevano Faenza. Molti di questi furono uccisi, presi e condotti nelle carceri di Bologna”.
S’ ignora quando alla corsa dei cavalli sia stata sostituita una cuccagna di pollami, commestibili e denaro per il popolaccio, la qual festa terminava col gettar dalla ringhiera della porta di palazzo sulla piazza una porchetta arrostita alla plebaglia. Per le spese di questo spettacolo furono assegnate le rendite di un molino detto del ponte d’ Idice in Pizzocalvo ammontanti ad annue L. 541, 13, 4.
Nel 1621 si cominciò a dare nel piazzale interno della fiera una rappresentazione pantomimica, o una caccia di tori, ovvero altri divertimenti popolari, dopo di che si metteva mano alla cuccagna, ossia alla così detta coglia (coija ,in vernacolo bolognese).
Nel 1634 gli Anziani vollero che si corresse il palio dalla porta di S. Felice fino al registro, col premio di una pezza di velluto cremisi sormontata da sontuosa paliola. nella quale erano effigiate le armi del Gonfaloniere e dei signori del Magistrato.
Nel 1314 il tiranno Oleggio non permise che avesse luogo il solito divertimento per la festa di S. Bartolomeo, e mentre era vietato il darlo solo in tempi calamitosi, e in circostanza di sede vacante.
L’ultima festa della porchetta si celebrò li 24 agosto 1796 dopo circa 547 anni dalla sua istituzione.
Terminato il divertimento popolare assistito dal Legato, Vice-legato, Gonfaloniere ed Anziani dalla ringhiera del predetto magistrato, passavano le autorità alla galleria dov’ era radunata una numerosa conversazione di nobiltà estera e nazionale servita dì copiosi rinfreschi.
Nel dopo pranzo del giorno di S. Bartolomeo eran chiuse tutte le porte della città fino al tramontar del sole.
Nel 1631 si cominciò a pubblicare colle stampe la relazione della festa, ed in appresso ad unirvi anche il rame rappresentante il teatro della fiera e della pantomima data entro il suo recinto.
In tempo di sede vacante la piazza e le porte della città erano presidiate dalle milizie del Senato, dette degli Orti, ed anche forensi. Erigevasi per esse un quartiere o corpo di guardia fatto di legname, o in faccia alla chiesa di S. Petronio, o al palazzo del Legato.
Era permesso, o tollerato, che per l’ elezione di un papa bolognese fosse saccheggiato il detto quartiere dal popolaccio.
L’ultima volta fu costrutto nel 1774 per la morte di Clemente XIV.
Nel 1694 la piazza in vicinanza delle scale di S. Petronio era ingombrata da tre filari di botteghe mobili sostenute da quattro ruote ciascuna onde poterle trasportare altrove quando si voleva libera la piazza per circostanza di feste pubbliche, di sede vacante, ed anche di processioni. Le dette botteghe erano conosciute col nome di cassoni, ed appartenevano ai merciai, tellaiuoli, venditori di ferri vecchi, di rame, ecc.
Li 29 marzo 1766 furono allineati porzione nella piazza del Nettuno fino al Mercato di Mezzo dalla parte del pubblico palazzo, e porzione lungo le volte dei Pollaroli; finalmente li 18 aprile 1781 furon tolti anche di colà e trasportati nella via Imperiale del Mercato, dove a poco a poco finirono di esistere.
La piazza attuale è contornata dal palazzo nuovo del Comune, dal fianco del palazzo vecchio detto del Podestà, dal portico dei Banchi di spettanza privata, dalla chiesa di S. Petronio, e dal palazzo del già collegio dei Notari, ora di ragione privata.
Il Nord è a destra. Piazza Maggiore in basso, a sinistra Strada San Mamolo (via d’Azeglio), la strada che si dirige verso l’alto è via delle Asse (via IV Novembre). E’ indicata la torre dell’Orologio compresa nel Palazzo della Biava (palazzo d’Accursio) e le macellerie nuove, disegnate in quel punto, secondo un contratto del 1293. D. Fabbri è don Daniele Fabbri, rettore di Santa Tecla.