La denominazione urbanistica generica androna era a Bologna sinonimo di vicolo usato come latrina a cielo aperto. Androna era denominazione molto comune nel medio evo (era molto diffuso negli estimi del 1296/97). Con il passare del tempo il suo utilizzo divenne sempre più raro, un po’ per le migliorate condizioni delle fognature cittadine, ed un po’ per una certa forma di censura, non sempre spontanea (si veda il caso della via Fregatette che poi divenne vicolo della Neve), che tentò di sostituire odonimi sconvenienti con altri più “onorevoli”. La prima odonomastica ufficiale, quella delle lapidette napoleoniche del 1801, fece sopravvivere una unica androna: l’Androna di San Tommaso della Braina che con l’occasione divenne via Androna. L’odonimo via Androna scomparve nel 1874, nell’ambito della riforma toponomastica del 1873/78, sostituito da vicolo Bolognetti.
Anche se assente da tempo dall’odonomastica ufficiale bolognese, androna sopravvive nella lingua bolognese come sinonimo di cosa puzzolente (puzèr com’ un’andraṅna: puzzare come una androna), ed anche nello slang bolognese nel vocabolo landra, sinonimo di aria, atmosfera puzzolente.
Androna non è denominazione esclusiva bolognese e nemmeno emiliana. Gli Statuta Civitatis Mutinae (Parma, 1864) nel 1327 riportano androna sive canaletum (pag. 582).
Troviamo androna molto diffuso (tutt’oggi) in Friuli (Trieste, soprattutto, ma non solo), nel Trentino, ma anche ad Osimo (Ancona) nei cui statuti del 1308 troviamo “nec etiam in androna aliqua fiat putredo ex qua via publica et etiam vicinali aliquod incomodum fiat”, “Ordinamus quod nulli liceat habere versatorium sive cloacham in andronibus comunibus“, “Quod nullus habeat versatorium vel cloacam in andronibus comunibus“.
Addirittura si trova androna nella lingua catalana con il significato di Llenca estreta de terreny sense edificar entre dues cases contigües1, ovvero striscia di terreno non edificato tra due case contigue.
Questa definizione catalana è coerente con quella data nel XIII secolo da Johannes de Janua (Giovanni da Genova): spatium inter duas domos2.
Precedentemente anche Vitruvio3 che utilizzò l’accusativo plurale andronas e Plinio4, che usò il termine andron definirono il nostro vocabolo come passaggio tra due muri.
Androna, quindi è parola di origine latina: il latino andron significa corridoio, passaggio. Il latino andron deriva dal greco andròn, che però aveva un significato diverso: indicava nelle antiche case elleniche la parte riservata agli uomini, l’androceo, in opposizione con gineceo, la parte riservata alle donne, ma questo significato greco non è evidente nelle nostre androne. Il già citato Johannes de Janua tenne a distinguere androna (spatium inter duas domos) da androneo (locus domicilii, ubi multi viri habitant).
Il Du Cange riportò una definizione che risente del tentativo di proporre una etimologia dal greco: locus publicus, ubi viri invicem confabulantur5.
È certo però che le nostre androne erano luoghi in cui non era opportuno fare chiacchiere, né per gli uomini, né per le donne.
Nel Friuli, androna è sinonimo di vicolo senza sfogo, vicolo cieco.
In Emilia, androna è sinonimo di scolo cittadino, e con tale significato lo troviamo in Bologna.
Sono i già citati statuti di Osimo del 1308 che chiariscono la relazione tra androna – vicolo e androna – latrina a cielo aperto. Nei passi citati, si proibisce l’uso delle androne come cloache e si stabilisce che non si accumuli in tali androne putritudine che potrebbe creare problemi alle vie pubbliche e vicinali.
Se gli statuti davano queste indicazioni, è segno che viceversa l’uso di riversare putritudine nelle androne era piuttosto diffuso.
Le androne erano gli spazi che separavano case contigue. Spazi necessari per dare luce ad ambienti interni, su cui si affacciavano lati della casa ben diversi dal fronte, sulla via pubblica, e dal retro da cui spesso si accedeva ad un orto. Su questi spazi spesso insistevano dei gabinetti pensili (vi sono tuttora parecchi esempi, uno dei quali ben visibile nel vicolo Trebisonda, tra via Santo Stefano e Strada Maggiore) e questi gabinetti scaricavano la putritudine direttamente sul vicolo. Mentre ad Osimo gli statuti cercavano di impedire questa prassi, a Bologna invece, mediante il sistema di chiaviche derivate dai canali di Savena e di Reno, le androne venivano periodicamente lavate, ovvero, venivano fatte percorrere dalle acque di queste chiaviche, acque che poi venivano raccolte da chiavicotti e reimmesse nel sistema di canalizzazione della città.
Quando il Salaroli scrisse la sua Origine delle Porte, Strade, Borghi, etc. (1743) parecchie di queste androne erano già state bonificate. Si legga a tal proposito l’interessantissima introduzione che comincia così: L’Avere nelli Anni scorsi l’Eccelso Senato fatta spianare, livellare, e seliciare tutte le Strade, e Vie di questa nostra Città, levando alcuni ponticelli, bocche di Chiaviche, ed altro, che serviva d’incomodo al transito delle Carozze, e de Carri …
Diverse vie di Bologna furono chiamate Belvedere. La pianta del Mitelli ne registra quattro, senza alcuno specificativo: una è l’attuale via Belvedere (unico odonimo rimasto con questa denominazione), le altre tre sono via San Gervasio, via Palestro e una via Belvedere scomparsa con la creazione di piazza Cavour. Belvedere fu usato però anche per altre vie (non registrate con questo nome nella pianta del Mitelli), tra cui via dei Falegnami, la non più esistente via del Corico e via Marsili.
Il numero abbastanza elevato di vie che furono chiamate Belvedere fece sì che vennero utilizzati degli specificativi intuitivi per differenziare i vari Belvedere tra di loro. Ci fu quindi il Belvedere di Saragozza, il Belvedere di San Felice, del Borgo delle Casse, di San Francesco, di San Gervasio, così come ci fu il Belvedere di Borgo Salamo, il Belvedere di Galliera, etc.
Le lapidette del 1801 ufficializzarono alcuni di questi Belvedere: Belvedere di Borgo Casse, Belvedere di San Gervasio, Belvedere di Saragozza, Belvedere di Borgo Salamo.
Belvedere di Borgo Salamo scomparve con l’apertura di piazza Cavour, mentre la riforma toponomastica del 1873/78 trasformò il Belvedere di San Gervasio in via San Gervasio, il Belvedere di Saragozza in via Palestro, e, unica a mantenere la denominazione Belvedere, il Belvedere di Borgo Casse divenne via Belvedere.
Questa denominazione non è peculiare di Bologna, essendo diffusa in tutta Italia: quasi ogni città ha una sua via Belvedere.
Il significato di questa denominazione urbanistica è intuitivo ed indica evidentemente la presenza di qualcosa di bello da vedere. Ancora oggi belvedere viene usato per indicare genericamente un punto panoramico.
Non è da escludere che in qualche caso nell’ambito dei tanti Belvedere esistiti in Bologna, qualcuno sia stato usato per antifrasi, indicando viceversa luogo tutt’altro che bello da vedere.
Due sono le vie a Bologna documentate con la denominazione urbanistica generica bocca: l’esistente via Bocca di Lupo e lo scomparso vicolo Bocca di Ragno (per questo vicolo si vedano le note sulla galleria Cavour). Dal latino bucca, con il significato di imboccatura, come scrisse il Fanti1, il significato si estese per indicare l’intera via. Bocca può essere considerata sinonimo di Capo. Infatti via Bocca di Lupo fu documentata nel 1366 come Co’ di Lovo2, dove Co’ signidica Capo. Altro sinonimo (salace) fu Cul: il vicolo scomparso Bocca di Ragno fu anche chiamato Cul di Ragno3, così come via Capo di Lucca è indicato nella pianta di Agostino Mitelli (1692) come Cul di Lucca.
Il vocabolo borgo deriva dal basso latino burgus, introdotto nel IV secolo, che, a sua volta è latinizzazione della voce tedesca burg (antico germanico burg, gotico baurgs, celtico borg) che ha il significato di castello. La voce germanica probabilmente è legata al vocabolo greco πύργος che ha il significato di torre.
Dal significato di castello, borgo si trasferì a quello di centro abitato fortificato, munito di mura. Le tante città, soprattutto del nord Europa, che hanno la desinenza -burg, -borg, -burgh (come Hamburg, Goteborg, Edinburgh) sono testimonianza di questo significato.
Oggi, essendo scomparsa la necessità di racchiudere le città con cerchie di mura, borgo viene usato generalmente per qualsiasi centro abitato di media grandezza.
In Italia, nel medio evo, borgo assunse anche un altro significato: quello di indicare le zone di crescita urbana al di fuori delle mura.
La crisi che colpì l’impero romano nel III secolo causò la contrazione di molte città (tra cui Bologna) che furono costrette a racchiudersi in mura per fronteggiare il pericolo rappresentato dai popoli cosiddetti barbari. La crisi fu acuita da una peste devastante che nel solo ventennio compreso tra il 250 ed il 270 causò una riduzione della popolazione valutabile al 30%.
Bologna divenne una piccola città le cui mura racchiudevano la parte migliore della antica città romana.
Non è certo che la cerchia di selenite, o delle Quattro Croci sia nata per la crisi dell’Impero Romano, ma è possibile1. La stessa leggenda della collocazione delle croci da parte di San Petronio (il cui episcopato andò dal 431 al 449/450) e la testimonianza di Sant’Ambrogio che nel 387 descrisse le città della via Emilia come semirutarum urbium cadavera rendono credibile che Bologna fosse già cinta di mura a cavallo tra IV e V secolo.
La crisi continuò a lungo: invasioni barbariche, minacce esterne e pestilenze si susseguirono per secoli.
La parte abbandonata della città venne ricordata negli atti come civitas antiqua rupta fino all’inizio del XII secolo, quando ormai era in atto la ripresa economica che portò la città stessa a riappropriarsi degli spazi perduti.
Le abitazioni crebbero all’esterno delle mura, al punto che fu necessario racchiudere i nuovi spazi urbanizzati (la minaccia questa volta veniva dagli imperatori tedeschi) in una nuova cerchia di mura: la cosiddetta cerchia del mille, la cui data di costruzione è tuttora oggetto di discussione, ma che rilievi archeologici ne indicano l’inizio nella seconda metà del XI secolo.
Il fenomeno di crescita urbana continuò rapidamente (Bologna nel frattempo era diventata sede dello Studium, la più antica Università del mondo occidentale) e già alla fine del XIII secolo si cominciò a tracciare il percorso di una nuova cerchia (l’ultima: la circla).
Gli agglomerati di case, costruite all’esterno delle cerchie di mura, vennero chiamate borghi. Il vocabolo borgo andò successivamente ad indicare le vie su cui queste case insistevano.
A Bologna quasi tutti i borghi sono localizzati tra la seconda e la terza cerchia di mura. Fa eccezione via Borgonuovo (Borgo Nuovo nelle lapidette del 1801) che è localizzata tra la prima cerchia e la seconda.
Negli odonimi attuali, la denominazione borgo è sopravissuta, oltre che nella già citata via Borgonuovo) in via del Borgo di San Pietro (Borgo di San Pietro, nelle lapidette del 1801), via Borgolocchi (Borgo Locco nelle lapidette) e via del Borghetto (parte dell’antico Borghetto di San Francesco delle lapidette).
Per parecchi altri odonimi si è persa (con la riforma toponomastica del 1873/78) la denominazione borgo, lasciando intatto il resto dell’odonimo (come Borgo dell’Oro che è diventato via dell’Oro, Borgo San Damiano che è diventato vicolo San Damiano, Borgo Lorenzo, che è diventato via San Lorenzo e tanti altri).
Per altri odonimi invece il cambiamento è stato totale, per cui è scomparso Borgo Cavicchio (diventato parte di via Vinazzetti) e Borgo di Sant’Andrea (diventato via Agamennone Zappoli).
Altri invece sono scomparsi, semplicemente perché è scomparsa la via, come nel caso di Borgo di S. Marino, Borgo delle Ballotte, Borgo Salamo (quest’ultimo divenuto un tratto di via Farini).
1 La costruzione delle Mura di Selenite può essere collocata con ragionevole certezza tra il 387 (visita di Sant’Ambrogio) ed il 727 (inizio della conquista di Bologna da parte dei Longobardi).
Furono parecchie le vie a Bologna che ebbero la denominazione urbanistica braina. Le lapidette del 1801 riportavano la Braina di Fiaccacollo e la Braina di S.Donato. Assieme a queste vi era l’Androna di S. Tommaso della Braina, odonimo che curiosamente riunisce due denominazioni oggi scomparse: androna e braina.
In epoche più antiche, troviamo che i Mirasoli (le attuali vie Solferino, Mirasole e vicolo del Falcone) erano chiamate Braine nel XVI secolo1, così come via Guerrazzi ebbe l’antico nome di Braina di S. Tommaso2 e lo scomparso Borgo di San Marino era anche conosciuto come Braina del Borgo della Mascarella3.
Anche via Begatto fu chiamato in antichità Braina4.
Per gli statuti di Bologna (1250-1267) braina appare sinonimo di braida: De una via fatienda in Brayda sancti Stephani in contrata sancti Petronii usque ad burgum strate majoris: Quia contrata de novo facta in Brayna sancti Stephani, que contrata sancti Petronii nominatur, non habet viam ad aliquam stratam publicam, ideo statuimus et ordinamus quod via una fiat in contrata illa usque ad burgum strate majoris.
Braida è denominazione abbastanza comune nell’Italia settentrionale: deriva dal germanico breit e significa luogo aperto, ampio (inglese broad). Il più significativo odonimo in italia derivato da breit-braida è piazza Bra a Verona.
Le nostre braide indicavano quindi zone aperte, campi, probabilmente destinati a coltivazioni.
Va detto che Braina nel toscano antico ha il significato di frana, ma anche di acquitrino ed era relativamente diffuso nell’appennino tosco-emiliano (a Pistoia nel VIII secolo era documentato un fiume Braina: … adque omnem portionem eius de mulino qui edificatus est in flubio qui dicitur Braina (da un atto di vendita del 20 settembre 726)).
Una contaminazione tra i due vocaboli è possibile. Rimane il fatto che le braine di Bologna indicavano spazi aperti, con scarsa edificazione.
A ricordare la denominazione urbanistica braina è rimasta via della Braina, già Braina di Fiaccalcollo.
1Giovanni Zanti: Nomi, et cognomi di tutte le strade, contrade, et borghi di Bologna. Bologna, 1583.
2Carlo Salaroli: Origine di tutte le strade sotterranei e luoghi riguardevoli della città di Bologna. Scritto con lo pseudonimo di Ciro Lasarolla. Bologna, Ferdinando Pisarri, 1743. Pag. 15.
3Carlo Salaroli: ibidem.
4Giuseppe Guidicini: Cose Notabili della Città di Bologna ossia Storia Cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, Vol. I, Bologna, 1868, pag. 126.
Broglio (e le sue varianti brolo, broilo, brollo) fu usato per poche vie in Bologna: le lapidette del 1801 ne ricordavano tre: il Brollo (vicolo Bianchetti), il Broglio dei Mussolini (vicolo Broglio) e il Broglio dei Piatesi (via de’ Piatesi). Esistette anche il Broglio degli Asinelli (tra Strada Maggiore e via San Vitale, nei pressi della chiesa di San Bartolomeo), chiuso prima dell’istituzione delle lapidette, ed il Broglio dei Maccagnani, scomparso nel XIV secolo, tra via de’ Carbonesi, via d’Azeglio e via Val d’Aposa.
La denominazione urbanistica sopravvive in vicolo Broglio.
Broglio deriva dal tardo latino di origine celtica brogilum, che poi divenne brolium, broilum.
Il significato di questo vocabolo è orto, spazio erboso, ma anche intrico di piante, selva. Il legame tra i due significati è dato dal fatto che il recinto di un orto era spesso una siepe fatta da un intrico di piante.
Generalmente è accettato il significato di orto, giardino, significando che i brogli coincidevano con (o erano nei paraggi di) orti e/o giardini.
Va però notato che broglio, nel suo significato di selva, intrico di piante, ha generato il vocabolo italiano moderno imbroglio (situazione intricata) e che i nostri antichi brogli erano pressoché sempre l’insieme di più tratti di vicolo:
il Brollo (vicolo Bianchetti) fa un brusco angolo retto poco prima di sfociare in piazza Aldrovandi ed in antichità comunicava anche con via Guido Reni mediante la scomparsa via Cospi;
il Broglio dei Mussolini comprendeva. oltre all’attuale vicolo Broglio anche un tratto (ora chiuso da portone) che sbucava in Strada Maggiore, un altro vicoletto scomparso, a nord della chiesa di San Michele dei Leprosetti e quello tuttora esistente a sud della chiesa stessa;
il Broglio dei Piatesi, così come l’attuale via de’ Piatesi, comprendeva due vicoli tra loro ortogonali che il Guidicini si sentì di distinguere chiamando uno Broglio dei Piatesi e l’altro Broglio di Sant’Andrea dei Piatesi;
il Broglio degli Asinelli aveva (ed ha tuttora: il vicolo è chiuso, ma ancora perfettamente leggibile) un percorso tortuoso.
Insomma, per il caso di Bologna ha senso che broglio abbia anche il significato di intrico di vie, cosa implicitamente confermata dal Salaroli1 che affermò che broglio ha lo stesso significato di trebbo (dal latino Trivium). A conferma di questa coincidenza tra Broglio e Trivio sono due documenti, a poca distanza di anni uno dall’altro. Il primo è del 1270 e descrive domos et casamenta in broylo Machagnanorum2; il secondo, del 1272, parla di beni immobili posti in trivio Macagnanorum3.
La denominazione campo fu spesso usata nell’antica Bologna. Per citare alcuni casi: il Campo Marzo (si vedano le note su via degli Usberti) citato dagli statuti del 1296/97, all’ancor più antico Campo Lungo (nei pressi di via Porta Nova), Campo di San Nicolò degli Albari, Campo di San Giovanni Decollato, nei pressi di via del Pallone, il Campo di Santa Lucia (scomparso, nei pressi della chiesa di Santa Lucia), il Campo di S.Sismondo (un tratto dell’attuale via Belmeloro), il Campo dei Bovi (ora via San Leonardo), il Campo o Prato di Sant’Antonio (ora via Castelfidardo), il Campo Magno, nei pressi di un altro campo, il Campo del Mercato (ora piazza dell’Otto Agosto), lo scomparso Campo de Fiori vicino a vicolo Quartirolo, lo scomparso Campo delle Pugliole (nei pressi di via del Porto), il Campo (poi piazza) di San Domenico, il Campo dei SS. Pietro e Marcellino (oggi via San Marcellino). Nelle lapidette sopravvissero i soli Campo de’ Fiori (vicoletto che però non era più elencato nel Prontuario del 1878, scomparso per l’aperture di via dell’Indipendenza) e il Campo dei SS. Pietro e Marcellino.
Per quanto riguarda Campetto troviamo il Campetto di Santa Lucia (poi vicolo Santa Lucia), il Campetto, che era altro nome del Borgo di San Leonardo, poi via San Leonardo.
Le lapidette conservarono il Campetto di Santa Lucia, poi divenuto vicolo con la successiva riforma attuata nel 1878.
Oggi nessuna via di Bologna ricorda la denominazione urbanistica Campo o Campetto.
La derivazione è dal latino Campus (così troviamo questa denomi-nazione negli estimi del 1296/97).
Il significato è evidentemente quello di spazio libero più o meno pianeggiante, con confini bene determinati, arativo e atto alla coltivazione. In questo senso Campo è sinonimo di Prato, come è evidente anche nel caso del Prato o Campo di Sant’Antonio (ora via Castelfidardo).
In realtà Campo e Campetto con il tempo divennero sinonimi di piazza, slargo, perdendo l’attributo della coltivabilità.
Capo è denominazione urtbanistica generica usata nell’esistente via Capo di Lucca e in una denominazione antica dell’esistente via Bocca di Lupo, documentata nel 1366 Co’ di Lovo, dove Co’ significa Capo1.
Dal latino Caput, ha il chiaro significato comune di estremità anche nel parlare comune di oggi (in capo alla via). Nel tempo il significato si estese ad indicare l’intera via, analogamente per la denominazione Bocca, di cui Capo può essere considerato un sinonimo (è evidente il caso di Co’ di Lovo divenuto via Bocca di Lupo). Si veda quanto scritto per Bocca in merito al salace sinonimo Cul.
1Giuseppe Guidicini: Cose Notabili della Città di Bologna ossia Storia Cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, Vol. I, Bologna, 1868, pag. 144.
Corte (dal latino Cors, Cortis) ha il significato di luogo cinto (da Corte deriva Cortile). Come denominazione urbanistica fu usata raramente in antichità. Indicò sia spazi ben delimitati su cui insistevano edifici la cui proprietà era di una unica famiglia (Corte de’ Galluzzi, Corte dei Bulgari, che era nei pressi dell’attuale galleria Cavour), sia spazi di pertinenza di una chiesa (Corte di Sant’Ambrogio, scomparsa, nel pressi di via de’ Pignattari, Corte di Santa Barbara, scomparsa, tra via Ugo Bassi e via dell’Indipendenza). Secondo il Guidicini1 un tratto della scomparsa via Accuse fu chiamato Corte delle Massare, essendo frequentato abitualmente da massaie.
In realtà la città era piena di corti, intese come cortili interni di case. Solo alcune di queste corti ebbero senso dal punto di vista odonomastico nel momento in cui queste divennero zona di transito (non importa se a piedi, cavallo o con carri). Per questa ragione la Corte de’ Galluzzi fu descritta da tutti gli autori mettendo essa in comunicazione via D’Azeglio e piazza Galvani.
La Corte dei Galluzzi fu l’unica elencata nelle lapidette, essendo le altre ormai scomparse da tempo.
Curiosamente oggi nell’odonomastica ufficiale abbiamo una corte in più, che non esistette in passato come odonimo: la Corte Isolani.
1Giuseppe Guidicini: Cose Notabili della Città di Bologna ossia Storia Cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, Vol. I, Bologna, 1868, pag. 33.
Cul fu usato per via Capo di Lucca (Cul di Lucca nella pianta di Agostino Mitelli, 1692) e per il vicolo scomparso Bocca di Ragno detto anche Cul di Ragno) descritto nelle note sulla galleria Cavour.
Si veda quanto scritto a proposito della denominazione urbanistica generica Bocca.
Guasto era la denominazione che veniva data ai luoghi risultanti dalla distruzione di edifici. Spesso il guasto veniva generato come rappresaglia o condanna nei confronti delle famiglie che possedevano gli edifici oggetti del guasto.Altre volte, più raramente, il guasto era risultato di un crollo o di un incendio.
Il guasto più famoso fu quello che portò alla rovina del palazzo Bentivoglio e che lasciò ricordo in un paio di odonimi: via del Guasto e Giardino del Guasto.
Sono documentati parecchi altri guasti (per citarne alcuni: il guasto degli Andalò, dei Ghisilieri, dei Beccadelli, dei Buratti, dei Marescotti, dei Canetoli, …).
Il significato della denominazione guasto è chiaro e non necessita di alcun ulteriore commento.
Almeno cinque vie ebbero questa denominazione in Bologna. In tre di queste (via Paglia, via Paglietta e vicolo Paglia Corta) la denominazione sopravvive tutt’ora, mentre l’antica Paglia dell’Avesella ora si chiama via Tanari Vecchia e l’antico Borgo della Paglia oggi è via delle Belle Arti.
La diffusione di tante vie con questa denominazione è legata alla presenza di magazzini per la paglia, che era, per così dire, il “carburante” più comune fino all’inizio del XX secolo. Per la stessa ragione alcune vie nel centro di Bologna furono chiamate Stallatici (tali vie scomparvero con l’allargamento di via Ugo Bassi).
Piazzola e piazzetta, dal significato intuitivo, fu denominazione usata spessissimo in passato. Tra le tante ricordiamo la Piazzola del Carbone (ora via Giacomo Venezian), la Piazzola delle Bollette (ora parte di via IV Novembre), la Piazzetta di Santa Barbara (scomparsa), la Piazzetta dei Santi Simone e Giuda (ora via San Simone), la Piazzola di San Giovanni in Monte, etc.
Le denominazioni urbanistiche piazzola e piazzetta scomparvero con le riforma sancita dal Prontuario del 1878. La sola denominazione urbanistica piazzetta ricomparve in epoca molto recente con: la piazzetta Marco Biagi, la piazzetta dei Carabinieri, la piazzetta don Antonio Gavinelli, la piazzetta Anna Magnani, la piazzetta Giorgio Morandi, la piazzetta Carlo Musi, la piazzetta Pier Paolo Pasolini, la piazzetta di Santa Maria della Pioggia, la piazzetta Francesco Molinari Pradelli, la piazzetta Prendiparte, la piazzetta dei Servi di Maria.
Oggi nessun odonimo bolognese contiene il vocabolo piazzola1.
1Va detto che con Piazzola si intende oggi il tradizionale mercato che si tiene ogni venerdì in piazza dell’Otto Agosto.
Vi furono diverse vie o piazze chiamate prato: il Prato di Sant’Antonio (via Castelfidardo), il Prato di San Francesco (piazza San Francesco), ben due Prati di Magone (entrambi scomparsi). Prato fu chiamato anche un tratto di via Ca’ Selvatica nel XVIII secolo. Il significato è quello proprio di prato, ovvero area erbosa.
Nessuna via nel centro di Bologna oggi ricorda questa denominazione.
Pugliola ed il suo plurale (pugliole) sono denominazioni bolognesi antichissime. Gli estimi del 1296/97 citano, per esempio, una Strata Puglole (corrispondente all’odierna via del Porto), ma ancora prima, all’inizio del XIII secolo, vi era la chiesa di Santa Maria delle Pugliole, accanto alla quale fu costruita la chiesa di San Francesco.
La forma più usata era pugliole (Pugliole di San Bernardino, Pugliole di Santa Margherita, Pugliole dello Spirito Santo, Pugliole di Sant’Arcangelo, etc.) mentre pugliola fu usata in Pugliola Mozza (oggi vicolo Paglia Corta) e nella scomparsa Pugliola di Galliera (Pugliola per Zanti e Banchieri; gli altri autori usarono Pugliole di Galliera o di Sant’Elena).
Le pugliole erano nella parte settentrionale di Bologna, a nord di via Riva di Reno, nella zona di San Francesco, ad ovest di piazza Malpighi e nelle zone circostanti via Val d’Aposa.
L’Avogaro propose la derivazione di pugliola da pullus, pulleolus, “germoglio”1. Quindi le pugliole sarebbero legate a zone aperte, campestri, con vegetazione, quali erano parecchie aree tra la seconda cerchia di mura e la terza, ove effettivamente si trova la maggior parte delle pugliole, eccettuato quelle circostanti via Val d’Aposa.
Si potrebbe pensare2 che queste ultime pugliole fossero esterne alla prima cerchia di mura ove potevano esservi, prima dell’espansione urbana del XI-XII secolo, zone aperte e con vegetazione, ma in realtà alcune di queste pugliole (le Pugliole dei Celestini, le Pugliole dello Spirito Santo, ora vicolo Spirito Santo) sono bene all’interno della cerchia di selenite o delle Quattro Croci.
Queste non potevano essere zone campestri nel XII secolo nè nei secoli successivi. Inoltre pare che queste pugliole siano state chiamate con questa denominazione relativamente tardi. In effetti tali pugliole non sono documentate dai nostri autori se non dal XVII secolo in poi (nel XVI secolo l’attuale vicolo Spirito Santo era noto come Borghetto del Bordello. Solo più tardi si cominciò a chiamarlo Pugliole dello Spirito Santo).
Una ipotesi che si può azzardare, per mantenere la spiegazione proposta dall’Avogaro, è che in questo caso, più che a luogo campestre si debba pensare ad orto. Pullus, da cui deriverebbe Pulleolus, non è vocabolo registrato dal Du Cange3. Si trova invece la voce Pullum da mettere in relazione con il sinonimo Pulaia e con Pulia4 con il significato di seminarium, orto, appunto. Una derivazione di pugliola da puliola, pulia appare verosimile e, tutto sommato, probabile. Qui in effetti era la chiesa di San Giovanni Battista e il convento dei Celestini che certamente nei paraggi avevano i loro orti5.
L’antichità della denominazione pugliole fa pensare che queste zone fossero genericamente chiamate così anche prima del XVI secolo, per la presenza degli orti dei Celestini e della compagnia dello Spirito Santo, ma che, essendovi anche un postribolo, Borghetto del Bordello fosse l’odonimo più noto, almeno finché il postribolo vi rimase.
Il fatto che le Pugliole dei Celestini e le Pugliole dello Spirito Santo facessero riferimento ad un convento e ad una compagnia spirituale è elemento su cui riflettere: se si controlla il nome di tutte le altre pugliole, si trova: Pugliole di San Bernardino, Pugliole di Santa Margherita, Pugliole di Sant’Elena, Pugliole di Sant’Arcangelo e Pugliole di San Francesco, rafforzando l’idea che presso queste pugliole fossero gli orti dei conventi da cui prendevano il nome.
Fa eccezione la sola Pugliola Mozza (oggi vicolo Paglia Corta) nel cui odonimo non compare alcuna chiesa o convento.
Oggi nessun odonimo bolognese ricorda la denominazione pugliola o pugliole.
1Carlo Avogaro: Contributo onomastico alla corografia di Bologna antica, Bologna,, Nicola Zanichelli, pag. 17.
2Mario Fanti: Le Vie di Bologna…, pag. 69.
3Contrariamente a quanto scritto dall’Avogaro (op. cit., pag. 17), che forse lesse male la voce Pullum. Si veda più avanti.
4Charles Du Fresne Du Cange: Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort : L.Favre 1883-1887 tomo 6 pag. 561, 562.
5Il Banchieri, però, che scriveva nel 1635, dimostrò di non conoscere questo significato di pugliole, proponendo una improbabile etimologia da plebaiol, ovvero gente di bassa condizione.
La denominazione ruga fu usata per la scomparsa via Accuse, che un documento del XV secolo chiama Ruga dei Notari1, per via Orefici, che fu chiamata dall’Aretusi nel 1636 Ruga degli Orefici, ma che, prima del XIV secolo, con via Caprarie costituiva la Ruga degli Scannabecchi2, per la scomparsa via Pelliccerie, che un rogito del XIV secolo documentò come Ruga Pelipariorum3, per via Pescherie Vecchie, descritta come Ruga delle Pescarie, odonimo ancora in uso nel 1738, quando il Taruffi4 scriveva, per via Clavature, di cui il Salaroli5 documentò il nome antico di Ruga delle Chiavature.
Come è evidente la diffusione di questo odonimo fu limitata al centro di Bologna compreso tra il palazzo del Podestà a ovest, piazza della Mercanzia a est, via Rizzoli a nord e via degli Orefici e via Caprarie a sud. L’uso è antico, testimoniato da diversi documenti del XIV e XV secolo.
Ruga deriva dal latino ruga che significa grinza, piega, solco. Dal significato di solco è derivato il significato di strada (si veda lo spagnolo rua ed il francese rue).
1Giuseppe Guidicini: Cose Notabili … , vol. I, pag.33.
2Don Luigi Breventani: Supplemento alle Cose Notabili di Bologna e alla Miscellanea Storico – Patria di Giuseppe Guidicini, Bologna, A. Garagnani, 1908, pag. 180.
3Chartularium studii Bononiensis: Documenti per la storia dell’Università di Bologna dalle origini fino al secolo XV, Vol. IV, Bologna, 1921. pag. 134.
4Gianandrea Taruffi: Antica fondazione della città di Bologna degnissima madre di studj, Bologna, 1738, pagg. 61 e 62.
5Carlo Salaroli: op. cit. Pag. 62.
Vi furono due seliciate nella Bologna antica: la Seliciata di S. Francesco (l’odierna piazza Malpighi) e la Seliciata di Strada Maggiore (l’odierna piazza Aldrovandi).
Entrambe queste piazze furono ricavate colmando con pietre l’antico fossato della seconda cerchia di mura della città, la cosiddetta Cerchia del Mille.
Colmando con pietre, selci, ovvero selciando. Appare così evidente il significato di Seliciata, Salicata, Salegata, in bolognese Salghè.
Con la denominazione Serraglio (dal lat. Seralium) si indicavano a Bologna le porte delle mura, prevalentemente quelle della seconda cerchia (la cosiddetta Cerchia del Mille). Per tali porte si usava spesso un altro nome, ovvero Torresotto. Il vocabolo Torresotto fa riferimento al cassero della porta, mentre Serraglio fa riferimento evidentemente alla funzione propria della porta, ovvero quella di serare1, chiudere. Non esiste oggi alcun odonimo che ricordi gli antichi serragli, ma nella pianta seicentesca di Agostino Mitelli l’attuale piazzetta di Santa Maria della Pioggia era indicata come Serraglio (così chiamata anche dal Monari e nella Tontina Mista). Questa piazzetta venne chiamata anche Serraglio di Galliera (Salaroli2 e Itinerario).
Strada deriva dal latino strata, participio passato del verbo sternere, il cui significato è stendere, render piano. Per il Du Cange1 il significato di strata è via publica lapidibus, seu silice munita, ovvero via lastricata, quindi importante. Nel medio evo, documentate negli atti, stratae a Bologna furono le vie che si irradiavano dalla piazza di Porta Ravegnana alle porte San Donato, San Vitale, Maggiore, Santo Stefano e Castiglione. Le altre vie principali, che portano alle altre porte, raramente ebbero la denominazione di Strada prima del XIX secolo. La pianta del Monari riflette esattamente questa situazione, mentre la pianta del Mitelli oltre a Stra’ Castiglione, Stra’ Stefano, Stra’ Maggiore, Stra’ San Vitale e Stra’ San Donato, elenca, unica eccezione, Strada San Felice. Le altre sono riportate con il solo nome: San Mamolo, Saragozza, Sant’Isaia, Lame, Galliera e Mascarella.
Nel 1801 la situazione cambiò: con la posa delle lapidette, in ottica di standardizzazione e razionalizzazione, tutte le vie che conducevano alle porte della città divennero strade.
La denominazione strata riservata alle vie che si irradiano da piazza di Porta Ravegnana è antichissima (documentata almeno dal XI / XII secolo). Queste stratae probabilmente furono mantenute lastricate durante il periodo di dominazione ravennate, in quanto portavano verso regioni amiche con cui venivano intessuti rapporti commerciali, a differenza delle altre. Le possibili minacce provenivano da ovest, dove erano i nemici. La porta occidentale della città altomedievale era Porta Stiera, di cui una delle etimologie plausibili è che questa porta, essendo rivolta verso i nemici, verso gli ostili, o hostes venisse chiamata hostiera2, da cui Stiera, così come l’altra, rivolta verso l’amica Ravenna, venne chiamata Porta Ravennate o Ravegnana.
Nella lingua bolognese è rimasto un relitto degli antichi odonimi latini: infatti mentre strada in lingua bolognese si dice strè, quando riferito ad una delle vie Zamboni, San VItale, Strada Maggiore, Santo Stefano, Castiglione, diventa strà: Strà San Dunè, Strà San Vidèl, Strà Mazour, Strà Steven e Strà Castiòn, ricordo fonetico dell’antica strata.
Le porte della seconda cerchia di mura (la Cerchia del Mille) erano note come torresotti o come serragli (vedi anche sopra la voce Serraglio). In alcuni casi, con Torresotto, seguito da un specificativo, si andò ad indicare un (breve, per la verità) tratto della via su cui era il torresotto stesso. Si ebbe così il Torresotto del Mercato, il Torresotto di San Martino, il Torresotto di Porta Nova o di San Francesco e il Torresotto di Strà Castiglione. Questi ultimi due tratti di via furono descritti da Adriano Banchieri1, mentre gli altri due furono addirittura ufficializzati nella riforma topono-mastica del 1801, come Via del Torresotto e Torresotto di San Martino, e scomparvero con la riforma toponomastica del 1873/78 divenendo rispettivamente via Piella e parte di via della Belle Arti.
1Adriano Banchieri: Origine Delle Porte, Strade, Borghi Contrade, Vie, Viazzoli, Piazzole, Salicate, Piazze, e Trebbi dell’Illustrissima Città di Bologna con i loro Nomi, Pronomi, e Cognomi, di Camillo Scaligeri della Fratta (pseudonimo di Adriano Banchieri), Bologna, Clemente Ferroni, 1635. Pag. 84, pag. 107.
Dal latino trivium deriva la voce italiana antica trebbio che a Bologna prese la forma trebbo. Ci furono parecchi trebbi a Bologna: il Trebbo dei Carbonesi (oggu via de’ Carbonesi), il Trebbo dei Mercanti (oggi piazza della Mercanzia), il Trebbo dei Ghisilieri (oggi via Monte Grappa) il Trebbo di Sant’Isaia (oggi piazza Malpighi), il Trebbo di Galliera (oggi piazzetta di Santa Maria della Pioggia), il Trebbo dei Preti del Duomo (oggi via Canonica), il Trebbo de’ Preti (oggi via de’ Preti), per citarne alcuni. Le lapidette lasciarono il Trebbo de’ Carbonesi che divenne via de’ Carbonesi con la riforma toponomastica del 1873/78.
Oggi nessuna via di Bologna ricorda l’antica denominazione trebbo.
Va detto che i trebbi erano punti di socializzazione. in cui artigiani e facchini si trovavano per cercare lavoro. Il trebbo acquistò quindi il significato traslato di luogo di svago e andare a trebbo (andèr a trabb), nelle nostre campagne, soprattutto a levante della città, prese il significato di radunarsi per svago: in particolare in inverno divenne sinonimo di andare a veglia (andèr a vàjja).
Due vie a Bologna furono indicate con la denominazione volta: la Volta dei Barberi e la Volta dei Sampieri. In entrambi i casi questa denominazione indicava un punto precisto (caratterizzato da una curva o volta) di un percorso fatto dai cavalli durante i palii cittadini.
Nel caso della Volta dei Barberi, il riferimento è ai cavalli barberi che venivano usati durante i palii, nel caso della Volta dei Sampieri, il riferimento era al palazzo della famiglia Sampieri, costeggiato dalla volta stessa.
La denominazione urbanistica generica volta è scomparsa nell’odonomastica ufficiale bolognese.
Bologna ebbe (e tutt’ora ha) un elevato numero di voltoni (letteralmente, grandi coperture ad arco) sotto ai quali erano vie di passaggio. La presenza di una grande quantità di voltoni è un fenomeno tipico delle strutture urbanistiche sviluppatesi in epoca medievale, in cui la crescita demografica costringeva ad aumentare gli spazi abitativi senza andare a scapito delle vie: ciò determinò il proliferare di sporti, di portici, e di voltoni. Qualcuno di questi voltoni era così importante da essere promosso a denominazione urbanistica e quindi a fare parte dell’odonimo.
Esempi di questi voltoni sono il Voltone del Barracano, il Voltone del Podestà, il Voltone della Madonna del Popolo, il Voltone dei Tubertini, il Voltone dei Gessi.
In un caso si ebbe un volto (da intendere sempre come copertura ad arco, ma evidentemente di dimensioni ridotte rispetto ai voltoni) ed è il Volto dei Ghisilieri (di cui il vicolo degli Ariosti è il tratto iniziale rimasto).