La storia della toponomastica bolognese è stata ampiamente trattata da Mario Fanti nella sua opera “Le Vie di Bologna. Saggio di Toponomastica Storica” (Istituto per la Storia di Bologna, 2000), opera che, per completezza e dettaglio, rappresenta un punto di riferimento insuperato.Qui si vogliono focalizzare le tappe più importanti che hanno portato dalla toponomastica e odonomastica popolare e spontanea alla toponomastica ufficiale moderna.
E’ una sintesi che vuole essere un ausilio per una lettura corretta delle note di odonomastica storica per le vie del centro di Bologna contenute nella presente opera.
Chi scrive preferisce parlare di Odonomastica (dal greco hodós ‘via, strada’ e onomastikòs ‘onomastica: studio dei nomi propri di ogni genere’), lo studio storico-linguistico dei nomi delle aree di comunicazione di un centro urbano (vie, vicoli, piazze, etc.), piuttosto che di toponomastica (dal greco tòpos, ‘luogo’ e onomastikòs ), ovvero lo studio storico-linguistico dei nomi dei luoghi geografici.
Le pietre miliari su cui costruiamo questa breve storia dell’odonomastica bolognese sono sostanzialmente due: l’apposizione nel 1801 delle lapidette (come le chiamò Giuseppe Guidicini) in ogni via, indicanti i nomi delle vie stesse, ed il grande cambiamento odonomastico iniziato nel 1873/74 e concluso nel 1878 che portò ad una radicale trasformazione sia dei nomi (soppressioni di vecchi odonimi sostituiti da nuovi odonimi) sia delle denominazioni urbanistiche generiche (tentativo di standardizzare tutto con via, vicolo, piazza, sacrificando antiche denominazioni urbanistiche generiche come borghi, pugliole, etc.). Per semplicità descriveremo questa trasformazione lunga e complessa (descritta in maniera eccellente dal Fanti) come Riforma Toponomastica del 1873/78.
Per semplicità distinguiamo tre periodi:
- 1° Periodo o periodo dell’odonomastica arcaica o spontanea (mutuando l’aggettivo usato dal Fanti): dalle origini al 1801.
- 2° Periodo o periodo dell’odonomastica contemporanea preunitaria: dal 1801 al 1878.
- 3° Periodo o periodo dell’odonomastica contemporanea postunitaria: dal 1878 ai giorni nostri.
La scelta di questi nomi ha valore all’interno di queste note ed ha l’unico scopo di schematizzare in maniera semplice.
Tecnicamente il periodo storico contemporaneo comincia con la rivoluzione francese (1789). Per quello che riguarda l’odonomastica bolognese, gli effetti della rivoluzione francese si videro con l’apposizione delle lapidette nel 1801, volute dal governo filofrancese, così come l’effetto dell’Unità d’Italia si concretizzò con la necessità di cambiamento ed adeguamento culminato con la pubblicazione del Prontuario nel 1878.
Periodo dell’odonomastica arcaica o spontanea
E’ una necessità della comunicazione assegnare nomi a cose, oggetti, concetti e (come nel nostro caso) luoghi e vie che abbiano significato condiviso. Questo fenomeno avviene in maniera spontanea, così come il bambino impara a parlare prima di andare a scuola. I notai medievali, quando rogitavano l’acquisto di un immobile, dovevano scrivere in quale luogo era questo immobile, luogo che veniva descritto di solito mediante le proprietà confinanti e le vie che erano nei paraggi. I nomi delle vie non erano codificati se non nell’uso comune di cui erano oggetto: tutti sapevano dove era, per esempio, la Strata Maior.
La necessità di dare stabilità ad una odonomastica tramandata oralmente, portò alcuni (studiosi, eruditi, letterati) a produrre documenti (piante della città e libri) che descrivevano le vie della città con i loro nomi.
Così Giovanni Zanti scrisse nel 1583 un libro di oltre cento pagine dal titolo Nomi, et cognomi di tutte le strade, contrade, et borghi di Bologna, stampato da Pellegrino Bonardo, primo importante (e rarissimo) testo sulle vie della città.
Pochi anni dopo, nel 1635, Adriano Banchieri, sotto lo pseudonimo di Camillo Scaligeri della Fratta, scrisse un gustosissimo Origine Delle Porte, Strade, Borghi Contrade, Vie, Viazzoli, Piazzole, Salicate, Piazze, e Trebbi dell’Illustrissima Città di Bologna con i loro Nomi, Pronomi, e Cognomi, stampato dal Ferroni. Si tratta di un libretto quasi completamente in lingua bolognese e proposto sostanzialmente come un rifacimento dell’opera di Giovanni Zanti. Valutato spesso come impreciso ed inattendibile (tante storielle con cui il Banchieri spiega le origini e le etimologie degli odonimi sono da leggere come favole divertenti) cionondimeno contiene informazioni importanti e per certi aspetti unici (per esempio, cita una via Mirandola che è stata ignorata da tutti gli autori successivi.
L’anno successivo, nel 1636, Costantino Aretusi pubblicò una pianta prospettica della città di Bologna (Origine di Bologna), in cui a quasi ogni via è associato un numero. Una legenda a parte associa ad ogni numero il nome della via. Questa pianta è stata sottovalutata grandemente da chi si è occupato fino ad oggi di odonomastica e la sua rilettura attenta rivela importanti informazioni.
Il XVIII secolo viene segnato dalla pubblicazione di un’altra importante pianta: la pianta di Agostino Mitelli Bologna Città del Papa, pubblicata nel 1692 ma rispecchiante una realtà databile alla metà del secolo. Questa pianta, prima tra le piante di Bologna, reca i nomi delle vie direttamente sulla pianta stessa, rendendone la lettura estremamente facile, per quanto imprecisa sia dal punto di visto topografico.
Nel 1711 i pubblici periti Gregorio Monari e Antonio Laghi disegnarono la Pianta della città di Bologna misurata e dissegnata d’ordine dell’Ill.mi S.S. Assonti d’Ornato dell’anno MDCCXI da noi Gregorio Monari e Antonio Laghi pubblici periti di detta città (pianta custodita presso l’Archivio di Stato di Bologna). Questa pianta è estremamente precisa dal punto di vista topografico, ma sostanzialmente si basa sulle informazioni odonomastiche date dal Mitelli.
Nel 1745 Alessandro Scarselli incise su rame la pianta disegnata da Gregorio Monari (salvo piccole differenze, la stessa disegnata assieme ad Antonio Laghi nel 1711) dal titolo Città di Bologna posta in pianta in esatta misura con la distinzione de portici che sono in essa.
Due anni prima, nel 1743, Carlo Salaroli, sotto lo pseudonimo di Ciro Lasarolla, pubblicò l’Origine di tutte le strade sotterranei e luoghi riguardevoli della città di Bologna, stampato nella tipografia di Ferdinando Pisarri. Opera fondamentale, scritta con attenzione, riporta con precisione la situazione delle vie, compresi i condotti d’acqua, sotterranei e scoperti esistenti a Bologna in quegli anni.
Da segnalare un’opera che non fu scritta per documentare le vie ed i loro nomi, bensì fu scritta a corredo documentario di un progetto per illuminare la città di Bologna. Dovendo prevedere la messa in opera di pali con lampioni, necessariamente l’autore del documento dovette fare riferimento ai nomi delle vie. Naturalmente i nomi delle vie erano quelli spontanei, usati dalla popolazione e facenti parte della tradizione. Cionondimeno è un documento di eccezionale utilità ed ingiustamente sottovalutato fino ad ora per lo studio dell’odonomastica storica. Si tratta della Tontina Mista ossia progetto per illuminare la città di Bologna, pubblicata a Bologna dal Sassi successore del Benacci nel 1762.
I nomi delle vie, per quanto non ufficializzati, erano però usati in documenti ufficiali, come i vari campioni fatti stilare dall’Assunteria di Ornato a fini fiscali, così come, nella Bologna pontificia erano usati negli Stati delle Anime, elenchi in cui venivano censiti i parrocchiani, famiglia per famiglia, casa per casa, parrocchia per parrocchia (dentro alle mura della città, prima dell’arrivo di Napoleone Bonaparte, c’erano più di cinquanta chiese parrocchiali).
Periodo dell’odonomastica moderna
Napoleone ed i francesi ebbero un impatto enorme, nel bene e nel male, su Bologna.
Tra le cose positive, a Bologna, il vento del cambiamento arrivato con i francesi portò, ad esempio, alla creazione di un unico cimitero della città, che andò ad occupare il monastero della Certosa, tra i tanti espropriati dal nuovo governo. Precedentemente ogni parrocchia aveva il suo cimitero (nel sagrato, che così si chiama proprio per questa ragione).
E’ con Napoleone che si concretizzò l’odonomastica ufficiale. Nel 1801 venne decisa (ed attuata) l’apposizione per ogni via di lapidette (come le chiamò il Guidicini e come continuiamo a chiamarle noi) dove era inciso il nome della via stessa.
L’operazione non fu priva di errori: in alcuni casi la via rimase senza lapidetta, in altri casi lapidette di vie vicine furono scambiate così che una fu chiamata con il nome dell’altra e viceversa.
Va detto che comunque questa ufficializzazione fu estremamente rispettosa dei nomi tradizionali delle vie bolognesi, che, assai probabilmente, furono desunti dalla Pianta della città di Bologna misurata e dissegnata d’ordine dell’Ill.mi S.S. Assonti d’Ornato dell’anno MDCCXI da noi Gregorio Monari e Antonio Laghi pubblici periti di detta città (disegno su carta, 1711/1712, conservato all’Archivio di Stato di Bologna). Questo disegno, per quanto riguarda i nomi delle vie sembra basato sulla Bologna in pianta città del Papa, disegnata ed incisa da Agostino Mitelli a metà del XVII secolo (ma pubblicata nel 1692).
Ciò portò a riportare sulle lapidette errori dovuti ad imprecisioni presenti sulle piante ed almeno in un caso (vedi Vinazzi Col d’Oca) ad errori di lettura della pianta stessa.
In ogni caso, dopo il 1801, ogni via ebbe il suo nome ufficiale. Se in questa operazione vi fu, come appena detto, qualche errore, cionondimeno questa ebbe il pregio di non alterare l’odonomastica in uso in quel tempo a Bologna, mantenendo anche le denominazioni urbanistiche generiche in uso. Così rimasero i Borghi, le Pugliole, le Androne …
Da segnalare che vi fu un tentativo di standardizzare i nomi delle vie che conducevano alle porte della città come Strade. Così vi fu Strada San Felice, Strada delle Lame, etc. che si andarono ad affiancare a Strada Maggiore, Strada Santo Stefano…
Questo merita un breve inciso: storicamente stratae erano le vie che si irradiavano da Porta Ravegnana. Stratae, ovvero lastricate, secondo il modello stradale dei romani. Così tuttora, nel dialetto bolognese, si dice per queste strade Stràmazour, Stràstèven (via Santo Stefano), Stràsandunè (via Zamboni), Stràcastiòn (via Castiglione), Stràsanvidèl (via San Vitale). Le altre vie, che in epoca di decadenza dell’impero romano e durante l’alto medioevo portavano verso regioni ostili, non erano lastricate, o, se lo furono in passato, si smise di fare manutenzione. Quindi queste non erano stratae. Anche oggi, chi parla in lingua bolognese, per dire “in via San Felice” dice in San Flis: non c’è alcuna traccia di una “via” nè tanto meno di una strada (così come al Lam, San Mamel e così via). Ultima cosa, ma non per questo meno importante: in Stràmazour, Strà si pronuncia con la a! Non con la e (strè) della voce dialettale semplce per strada. Questa a è un relitto del latino strata.
Testimone di questo processo di assegnazione dei nomi delle vie con le lapidette fu Giuseppe Guidicini, che fu funzionario napoleonico ed ebbe modo, oltre che di assistere in taluni casi, direttamente all’apposizione delle lapidette stesse da parte del muratore, di raccogliere una quantità impressionante di informazioni tratte da archivi privati e pubblici. Queste informazioni andarono in stampa nelle Cose Notabili della Città di Bologna ossia Storia Cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, scritto prima del 1837, data della morte del Guidicini, ma pubblicato nel 1868 – e anni seguenti – dal figlio Ferdinando, e nella Miscellanea Storico-Patria Bolognese, pubblicata anche questa dal figlio Ferdinando nel 1872.
L’Indicatore Bolognese riferibile a ciascun edifizio componente la città, scritto da Sebastiano Giovannini e pubblicato nel 1854, descrive i nomi delle vie quali erano ancora quelli delle Lapidette del 1801.
Periodo dell’odonomastica contemporanea
L’Italia appena formata (1861) generò una forte spinta per una revisione dell’odonomastica bolognese (e, naturalmente, non solo bolognese). La cause principali di questa spinta possono essere così riassunte:
- cause direttamente correlate all’Unità d’Italia: la volontà di ricordare nei nomi delle vie i personaggi illustri che contribuirono al’Unità d’Italia. Le Intitolazioni, per esempio a Cavour, Luigi Zamboni, Massimo d’Azeglio, Giuseppe Garibaldi, Ugo Bassi, Luigi Carlo Farini furono attuate tra il 1861 ed il 1867. Già nel 1859 Piazza Maggiore era stata ribattezzata Piazza Vittorio Emanuele, segnando l’annessione di Bologna allo stato piemontese in una Italia ancora da fare.
- cause indirettamente correlate all’Unità d’Italia: nel 1871 fu ordinato il secondo censimento della popolazione della neonata Italia, che prevedeva, come misura preliminare, la nominazione di vie e piazze e la numerazione delle case e fabbricati. Evidentemente il primo censimento (del 1861) incontrò difficoltà proprio per la disomogeneità dell’odonomastica e della numerazioni, che riflettevano ancora le divisioni esistenti prima del 1861.
Motivazioni quindi, sia organizzative, sia dettate dal neonato spirito italiano (in parte spinto dal popolo, ma più spesso trainato dai politici), generarono la necessità di rivedere sia la numerazione (vedi la sezione trattata a parte), sia la denominazione delle vie.
Il processo iniziò operativamente nel 1873 e si concluse con la pubblicazione nel 1878 del Prontuario per la denominazione delle Piazze, Vie e Vicoli e per la numerazione delle case della Città di Bologna attivate il 1° Luglio 1878 (Bologna, Regia Tipografia, 1878). Questo processo è descritto dettagliatamente dal Fanti (I, pag. 24 e seg) ed a questo si rimanda per gli approfondimenti. Qui basti dire che nel 1873 fu prima incaricata la Giunta di Statistica di formulare una proposta per i nuovi nomi. La proposta (che avrebbe stravolto contro ogni logica l’odonomastica cittadina) fu seguita da una serie di norme per la denominazione di Vie, Vicoli e Piazze, con cui la proposta stessa non era completamente conforme e fu necessario riesaminarla completamente. Del riesame fu incaricato Timoleone Bellenghi (assessore delegato di qualcosa che non è propriamente legato all’odonomastica: lo stato civile). Il rapporto prodotto e presentato alla fine del 1874, che affrontava anche il problema della numerazione, non rimediò (ed in qualche casò aggravò) le scempiaggini proposte dalla Giunta di Statistica. L’approvazione del rapporto Bellenghi (3 dicembre 1874) portò ad accese polemiche che costrinse l’amministrazione comunale a congelare l’attuazione della delibera che avrebbe portato alle nuove denominazioni. Si rese necessario un secondo riesame affidato nel 1877 ai consiglieri Giovanni Zoboli e Alberto Dall’Olio. La relazione Zoboli-Dall’Olio fu approvata dalla Giunta il 1 luglio 1877 e finalmente formalizzata (con poche modifiche) dal consiglio comunale il 19 luglio. L’attuazione delle disposizione divenne effettivamente operativa nel 1878 con la pubblicazione del Prontuario, che metteva in relazione nuovi nomi e vecchi nomi di via, vecchi numeri e nuovi numeri di edifici. Va detto che fortunatamente la relazione Zoboli-Dall’Olio fu decisamente migliorativa, se confrontata con la proposta della Giunta di Statistica ed il Rapporto Bellenghi, per quanto riguarda il rispetto storico degli odonimi bolognesi. Purtroppo segnò la scomparsa quasi totale di denominazioni urbanistiche generiche tipiche di Bologna, come borgo, pugliole, campo, voltone, androna …
Con la pubblicazione del Prontuario inizia il periodo dell’odonomastica contemporanea postunitaria.
Per avere una idea delle scempiaggini proposte dalla Giunta di Statistica, si rimanda al libro pubblicato nel 1875 Degli uomini illustri cui sono intitolate le piazze e le vie della città di Bologna, scritto da Innocenzo Lipparini, capo della Sezione Municipale di Statistica, e stampato dalla Società Tipografica Compositori, Bologna, 1875. Le denominazioni sono elencate sotto la voce 1875 (Lipparini) nella mappa.