Dalle “Cose Notabili …” di Giuseppe Guidicini.
1. S. Zama. Si crede sia stato il primo vescovo di Bologna, ma non se ne hanno prove autentiche, ciò che è indubitato si è la non esistenza di altro prima di lui. Se però vogliamo attenerci a quanto ne riferiscono i cataloghi più degni di fede, tale credenza risolverebbesi in verità, citandolo essi Primus Episcopus siccome può verificarsi ancora da quelli di Verona del sesto secolo i quali tutti indistintamente vi concordano. Fatto tanto più rimarchevole perchè a quei dì il cristianesimo cominciava ad essere nel maggior suo sviluppo, S. Pietro mandò in questi paesi S. Apollinare a predicar la fede che i suoi successori emularono, talchè cresciuto in progresso di tempo il numero dei cristiani rendesi probabile che dal governo della chiesa di Ravenna fosse staccata Bologna per formarsi un vescovato a parte, dipendente però da quella pel corso di parecchi anni.
Questo nome Zama sembra Mauritano. Fuvvi un Zama fra i capitani dei Mori di Spagna che pei Pirenei passarono in Francia da dove furono cacciati da Carlo Martello. Un Zama fratello di Gildone si fece vedere in Affrica ai tempi di Teodosio, e di Arcadio. La persecuzione dei cristiani di cui fa menzione Sigonio non è certo avesse luogo sotto Zama o Faustiniano, anzi sembra che Sigonio non determini che Faustiniano fosse immediato successore di Zama, ed invece frapponga fra essi qualche intervallo di tempo nel quale accadeva la persecuzione suindicata e che accagionò in Bologna la Sede vacante per qual che tempo. L’ Ughelli invece mette fra Zama e Faustiniano un vescovo detto AEduus e ciò all’appoggio di un martirologio il quale cita bensì un vescovo AEduus ma non di Bologna. Chi ha promosso il dubbio sulla esistenza di S. Zama vescovo di Bologna è il Baronio che lo mette in campo la presunzione che le città primarie d’ Italia avessero vescovi particolari.
Vi ha opinione che S. Procolo vescovo di Terni fosse successore di S. Zama nel Vescovato di Bologna. S. Zama fu ordinato da S. Dionisio papa, i Bollandisti, Benedetto XIV, e l‘ Arcidiacono Marsili sono concordi nel ritenere S. Procolo vescovo successore di Zama, ma il catalogo dei Vescovi bolognesi pubblicato nel 1755 dai Canonici di S. Salvatore, rilevato dal preclaro codice delle Costituzioni della Metropolitana di Bologna da essi possieduto, scioglie la questione provando che questo S. Procolo non poteva essere vescovo di Bologna. Veggasi Cart. 105.
2. S. Faustiniano. Sul di lui conto nulla più se ne sa al di là di quanto ne tramanda il Sigonio, soltanto aggiungesi in proposito che in un antico sepolcro della Badia trovasi scritto – Secundus Episcopus -. Questo sepolcro è di una data molto remota, e la notizia è basata soltanto su di una tradizione e nulla più.
3. S. Domiziano. Di Questo Vescovo notato nel Catalogo Trombelliano non si hanno notizie certe che sul suo nome.
4. S. Jobiano. L’Ughelli, e l’ Alidosi lo chiamano Giovanni.
5. S. Eusebio. Dopo Sobianus, secondo i nostri storici, dovrebbe ritenersi successore di lui Basilio, del quale più non si fa menzione alcuna nel catalogo Trombelliano. Eusebius potrebbe ritenersi lo stesso Basilius, o per la difficolta di leggere gli antichi caratteri, o per la mala sua formazione dacchè non è molto lungi dal possibile che E chiuso possa prendersi per un B, l’u chiuso per un a, la lettera s ritiensi per entrambi, l’ e per un i ed il b aperto in fondo per un l
Eusebius
Basilius
Nullameno la nostra Chiesa per antichissimo instituto fa ufflcio distinto fra S. Eusebio e S. Basilio sebbene che nella leggenda di S. Stefano ove sono nominati i Vescovi coi sepolti non ricordi S. Basilio. Egli è però vero che nei libri di remotissima data non trovasi citato S. Eusebio, ma ciò perchè S. Ambrogio facendone menzione lo cita soltanto siccome Vescovo di Bologna. Non è però caso insolito che di ‘un solo santo se ne siano fatti due: così S. Alò e S. Eligio. Il Sigonio dice che S. Basilio fabbricasse la chiesa di S. Pietro, ma ciò non è provato da alcun atto autentico.
6. S. Eustasio. Non si ha il di lui nome che dal catalogo Trombelliano. Si congettura che il nome Eustaxius sia lo stesso che Eustachio, perchè anticamente scrivevasi a mo’ di lingua greca mettendo l‘ X invece del ch. In alcuni libri antichi trovasi citato – Societas S. Eustaxii, – ma è probabilissimo che riferissesi a S. Eustachio martire, ma non a questo Vescovo.
7. S. Felice. Nulla di più può aggiungersi sul conto di questo Vescovo, a quello ne disse il Sigonio.
8. S. Petronio. Il più antico documento che esista riferentesi a questo santo, si è la sua vita conservata già nell’ archivio di santo Stefano, ed oggi nella biblioteca dell‘ Università. È falso ch‘esso fosse orientale, dacchè suo padre, che pure chiamavasi Petronio, era prefetto del pretorio occidentale, carica della quale non si sono mai insigniti gli orientali. La moglie di suo padre non era altrimenti sorella di Teodosio, mentre le sorelle son troppo conosciute dagli storici, e neppure si sa ove siasi attinta la notizia che portasi da qualche cronista e scrittore, essere stato mandato da Teodosio al Papa.
Si applica a S. Pier Crisologo, contemporaneo di S. Petronio, una rivelazione di Celestino papa per destinare un Vescovo a Bologna, ma non esiste verun documento comprovante che la scelta cadesse sopra S. Petronio.
Quanto dicesi fatto da S. Petronio non lo abbiamo che tradizionalmente. La suaccennata vita di S. Petronio, non parla punto del diploma conferitogli da Teodosio pel nostro studio, e simile diceria fu al certo emessa solo dopo che la compilazione della vita stessa era già da alcun tempo redatta. La fondazione di S. Stefano per fatto di S. Petronio è probabile. Perciò che si riferisce alle opere scritte da lui è d’uopo consultareGennadio, ma si avverte però che riscontransi ne’ suoi riferti molti fatti dubbi. Il Fleury parla pure di questo santo. Ciò che è oltre ogni dire singolarissimo, si è che un benefattore di Bologna sì tanto prodigioso per tanti titoli tradizionalmente trasmessici, e dalla sua vita stessa, mancasse di una chiesa a lui dedicata, e se pure esisteva che fosse distrutta e negletta; e trascurato pel corso di tant’ anni il suo culto, e che neppure la campagna tutta non possedesse un titolare di S. Petronio, non un benefizio eretto ad onore di lui. non un cittadino, o provinciale che a di lui venerazione portasse il nome di Petronio, e che solo sul finire del secolo XIV si pensasse di innalzargli una sontuosa fabbrica per testimoniargli la meritata riconoscenza e devozione. Infine reca meraviglia sì tanta trascuraggine, mentre all’ incontro troviamo moltiplicate le chiese dedicate a S. Pietro, a S. Ambrogio, a S. Sinesio e Teopompo ecc. ecc. Il più antico monumento che ricordi S. Petronio, è il Borgo che si dice di S. Petronio Vecchio e prima Borgo di S. Petronio.
9. S. Marcello. L’ Ughelli fra S. Petronio e S. Marcello mette un Adrianus successore di S. Petronio. Egli si è informato a quanto ne disse l’Alidosi, che attinge tal notizia dal libro dei Memoriali dato dagli Anziani nel quale sta scritto – S. Adriani Militis – ma non avvertendo l’Alidosi alla parola Militis, lo fa Vescovo.
10. S. Partenio. Questi si è lo stesso che noi chiamiamo Paderniano o Paterniano. Nel catalogo antico e nella leggenda di S. Stefano è chiamato Paternio, e il nome di Paterniano è praticato più tardi. L’ Alidosi pone invece il vescovo Giacchino citando il suddetto libro dei Memoriali, ma letto il testo nel libro delle Provvisioni si trova scritto cosi pat’nus che egli ha letto Gioachino il p chiuso per un jo, ma è Paternius detto ancora Paterniano o Paterno. L’ Ughelli che fu ingannato dall‘Alidosi per Adriano, non insistè nel suo errore per Gioacchino. Sigonio applica a Paternio molti fatti perchè avvenuti circa quell’ epoca.
11. D. Giuliano. Nulla di certo raccogliesi sul di lui conto.
12. D. Ieroncius. Il Sigonio lo chiama Laurentius, ma forse equivocò così leggendo invece di Ioroneius come realmente sta scritto nelle antiche leggende. Esso cita un sinodo a questo riferentesi, ma in quello invece sta scritto Laurentius Botiensis, non Bononiensls.
13. D. Theodoro I. Trovavasi in un chiostro delle suore della Badia una lapide sulla quale leggevasi – Hic jacet in pace Theodorus. – Questa iscrizione sembra barbara e riferibile a’ tempi più bassi, per cui potrebbe essere un altro Teodoro. Il Sigonio pure lo cita.
14. D. Luxerio. L’ Ughelli uniformandosi a quanto ne dice in proposito, l’ Alidosi lo chiama Luso o Lucone.
15. D. Tertulliano. Nulla più di quanto ne dice il Sigonio.
16. D. Giocondo. Esso è citato nel memoriale dell’ Alidosi, ma lo è ancora nel catalogo Trombelliano.
17. D. Teodoro II. Il Sigonio ammette che sotto di lui siano stati fondati molti monasteri. Tale credenza la basa sul privilegio di Gregorio VII che ne fa menzione annunciandolo fondato sotto il Pontificato di Agapito senza indicare però Agapito I che viveva ai tempi di questo Teodoro. Inoltre il detto privilegio genericamente dice: – Monasteria fundata ab Agapito, Pelagio, Gregorio, – per cui tale privilegio non prova che fosse Agapito I e potrebbe invece essere che intendesse parlare di Agapito II. Sigonio a’ tempi di questo Vescovo, cita S. Procolo di cui si è precedentemente parlato, ma nulla è con certezza provato. Nella storia risguardante S. Procolo s‘ incontrano molte contraddizioni ed in essa perfino supponesi che Totila re dei Goti fosse idolatra.
18. D. Clemente. Il Faleoni invece di Clemens dice – Eldurensis. – L’ Ughelli conformasi alla di lui opinione, e l’ Alidosi equivocò leggendoEldarensis invece di Clemens.
19. D. Pietro I. Havvi chi ad esso attribuisce la fondazione del Monastero di S. Colombano, ma è un errore, mentre questo fu fondato da un Vescovo anonimo: questo decreto va messo sotto Pietro II. “Decretum Caroli Magni” quo Petrum Bon. Epis. eum Geminlano Mutinensi, et Appolinari Regiensi Episc. et Anselmo I. Abb. Nonantulano, judicare jussit de quibusdam Oratoriis Ecclesiae Regiensium Anno 781. Aliud ejusdem Diploma, quo omnia bona et jura Episcopi Bonon. quae privilegiis Agapiti Pelagii et Gregorii contenebantur confirmat. Ex Sigonio, loco citato”. Quest’ ultimo non è nel Sigonio se non una congettura, che non può tradursi in atto autentico.
20. Don Germano.
21. Don Costantino.
22. Don Giuliano.
23. Don Deusdedit.
24. Don Giustiniano.
25. D. Luminoso. Il Sigonio dice trovarlo nominato in un Concilio del 648 (si osservi la raccolta dei Concili).
26. D. Domno volgarmente chiamato Donnino, e sul quale nulla si sa.
27. D. Vittore. Sul conto pure di questo non si sa, se non che intervenne ad un Concilio celebrato nel 680.
28. D. Eliseo.
29. D. Gaudenzio. L’ Alidosio crede che sotto il vescovato di questo seguisse la conferma, dei privilegi di Gregorio, ma non è certo.
30. D. Clausino. L’Alidosi lo chiama Clarissimo, e gli attribuisce un atto da lui compito che non lo fu realmente; e cioè la divisione fra i Bolognesi e Modenesi fatta sotto il re Rachis che esso chiama Imperatore. Se questa divisione ebbe luogo, seguì certamente in epoca più a noi vicina, e forse sotto gli Ottoni. Il re Rachis non fu a’ tempi di questo Vescovo, ma posteriormente, e cioè a quelli di Barbato e del di lui successore. Ma l’atto citato dall’ Alidosi è evidentemente falso, in prova di che basta la circostanza dei due Cursori che dovevano incontrarsi.
31. D. Barbato. Famoso pel catino in S. Stefano. Visse al tempo in cui Luitprando re dei Longobardi ebbe associato al regno Ildebrando e cioè circa il 740. Rachis venne dopo il re Luitprando.
32. D. Romano. Il Muratori, Antiq. Ital. Med. Aevi T. 5. p. 667, lo cita siccome convenuto alla donazione di Crevalcore fatta dal re Astolfo all’ abate di Nonantola nel 750. La successione di Barbato, e di Romano è provata da’ documenti autentici, e giustificata. dal catalogo Trombelliano.
33. D. Pietro II. Il Sigonio l’ha trovato nominato in un atto di Reggio in data del 780.
34. D. Vitale. Il Muratori Antiq. Ital. Med. Aevi T. 5. pag. 667, riporta un atto nel quale questo Vitale è nominato e corrisponde all’ anno 802.
35. D. Martino.
36. D. Teodoro III. Nel Muratori, Antiq. Ital. Med. Aevi T. 2, pag. 32 è ad osservarsi dove Agnello riferisce che Teodorius cioè Teodoro avevaEpiscopium, cioè una casa del Vescovo (di Bologna) in Ravenna per comodo ed abitazione sua quando andava al Sinodo in Ravenna, e che portossi in casa una cassa fatta per sepolcro degli Arcivescovi di Ravenna, e che di là la trasferì a Bologna. Questo fatto coincide coll’ anno 824. Egli è bene prendere sott’occhio la rifiessione che su tal argomento ne fa l’ Agnellus.
Sembrerebbe che questa cassa fosse quella in cui presenteinente si veggono incisi gli stemma degli Orsi (che potrebbero esservi state incise dopo), quella che oggidì vedesi collocata sotto il portico di S. Stefano. Certamente la forma sua ed il lavoro è di quei tempi, ma potrebbe cader dubbio ancora che fosse l‘altra, in cui sono le armi dei Bertuccini e però questo lavoro si riferirebbe a tempi più prossimi.
37. D. Cristoforo. Riportasi dal Muratori, che Agnello dice: il vescovo Teodoro esser morto contemporaneamente a quando egli scriveva circa nell’ anno 829, quindi è a ritenersi che l‘ iscrizione apposta in una croce a Budrio citata dal Golinelli coincida coi tempi di Cristoforo.
38. Don Martino.
39. Don Pietro III.
40. D. Ursio.
41. Don Giovanni. In Collect. Cono. Labbe t. XI pag. 182 col. 4 in una epistola ad Romanum. num. Archiep. Ravenn. è nominato Bononiensis Episcopus circa l‘ 850. Questi sono i tempi del vescovo Giovanni, perchè in detta Collect. Concil. pag. 187 trovasi Epistula diretta Iohanni Bononiensi sotto l’indizione XIV che viene a coincidere circa coll’ 880 o 881.
42. D. Severo e Rambertus. Il catalogo Trombelliano dice Mambertus, non Rambertus come lo lesse il Sigonio. Questi due Vescovi contemporanei lo furono in conseguenza d‘uno scisma. L’ Alidosi cita un Sinodo di Ravenna del l’ 898 per provare l’esistenza di questi Vescovi, ma in quello però non trovansi sottoscrizioni di Vescovi e mancandone i nomi non può dedursene prova autentica su di essi. Il Sigonio aveva saputo che in quell’epoca erasi tenuto il Sinodo nell’ Emilia e congetturò che i suaccennati Vescovi vi fossero intervenuti.
43. D. Pietro. Il Sigonio frappone un Vescovo nominato Giovanni, fra Severo, e Pietro. Questi positivamente fu nominato ed eletto Vescovo di Bologna, ma non prese mai possesso del Vescovato, perciò il catalogo Trombelliano non lo cita fra i vescovi. Il motivo pel quale non prese possesso si fu perchè venne promosso all’Arcivescovato di Ravenna, poi perchè fu eletto Papa sotto il titolo di Giovanni X. Che questo Giovanni fosse prima eletto Vescovo di Bologna lo dice Luitprandus riferito dal Muratori Antiq. Ital. Med. Aevi. Tom. V. pag. 206 e dal Luitprandus lo rilevò il Sigonio.
Circa quest’ epoca Sigonio a pag. 45 cita una carta di Leone V che dice esser conservata nell’ archivio del Capitolo di S. Pietro di Bologna. Si è verificato in detto archivio essere invece quella carta di Papa Giovanni che conferma quella di Leone V e ciò segue circa 50 anni dopo la data portante quella di Leone. Veramente tali circostanze recano non poca meraviglia perchè Leone V, visse soltanto un mese nel papato e questo brevissimo periodo fu turbato dalle invasioni degli Ungari per cui sembrerebbe alquanto dubbio che Leone si fosse occupato di quella carta. Dal vescovo Pietro nulla si sa, solamente scrivono tutti i nostri cronisti, che ai tempi del vescovo Pietro sia stata fondata la Cattedrale di S. Pietro ed in quella di S. Stefano fosse trasportata la sede Episcopale. Tutto ciò venne supposto ma non provato da’ documenti autentici, però siccome in quei tempi fu distrutta dagli Ungari la Basilica di S. Stefano, potrebbe ritenersi che per evitare una ulteriore catastrofe fossesi quivi trasportata la sede perchè così locata lo era entro il recinto della Città.
44. D. Giovanni II. Egli è molto probabile che ai tempi di questo Vescovo avesse luogo la donazione di Aimerico, e Franca, riferitasi dal Sigonio a pag. 49 e che trovasi nell’ archivio dei canonici di S. Pietro. Il Sigonio a pag. 50 dice che in quei tempi i Vescovi di Bologna cominciarono ad esigere le decime ma anche su tal particolare esso sbagliò perchè non essi l’ esigevano ma bensì i parrochi.
45. D. Alberto. Nella Badia di. S. Stefano trovasi l’ atto seguente che tratta un’enfiteusi. « In nomine Domini Jesu Christi temporibus Joannis Apostolici Pontificatus ejus anno quarto Regnantibus D. D. Berengarius et Albertus ejus filio magnis Regibus anno octavo (corrisponde all’ anno 959). Si sottoscrive: Servus Christi Iesum. Adelbertus Dei gratia Episcopus Bononiensis Ecclesiae. In quest’ atto sono sottoscritti i Canonici, che vi erano e cioè sei preti, e cinque Diaconi cioè – Ioannes Archipresbiter – Petrus Presbiter , Ioannes Presbiter, Abraham Prespiter – Ursus Presbiter, Ioannes Diaconus , Petrus Diaconus, Ioannes Diaconus et Vesterarius Leo Diaconus. L’ Arcidiacono o non era presente o è quelIoannes che è nominato pel primo fra i Diaconi, anzi positivamente il detto Ioannes era arcidiacono perchè nella Collectio Conciliorum Labbe, Tom. VI pag. 956 vi è un atto nel quale sono sottoscritti i detti canonici, e fra questi due loannes uno col titolo di Ioannes Diaconus Vesterarius l‘ altro Joannis Arcidiaconus dal che devesi dedurre che il sudetto primo Diacono sottoscritto Ioannes Diaconus era Arcidiaconus.
Nella detta Conciliorum Coll. Labbe trovasi un sinodo di Ravenna dell’anno 967 nel quale questo Vescovo si sottoscriveva Adelbertus. Nella stessa Collect. LXI pag. 951 vi è un altr‘ atto di altro sinodo di Ravenna celebrato sotto Onesto Arcivescovo in cui è nominato questo Vescovo Albertus.
46. D. Gio. III. Il Sigonio dopo Alberto mette Clemens Episcopus invece di Iohannes. L‘ atto del 1014 di Enrico Imperatore che riporta il Sigonio sotto Clemente a pag. 55 realmente si conserva nell’ Archivio dei Canonici di S. Pietro, ma nell’ atto non vi è espresso il nome del Vescovo. Nell’ Archivio della Badia di S. Stefano vi sono atti che nel 997 annunciano per Vescovo di Bologna Iohannes, e successivamente altri se ne veggono nell’ Archivio medesimo, che lo danno per Vescovo fino al 1012 per cui si verifica quanto ne dice l’ Alidosi e l’ errore nel quale è incorso il Sigonio; potrebbe però nascere il dubbio fra Alberto e Giovanni, vi fosse stato un Clemente per Vescovo di Bologna. Il Sigonio se n’era avvisto, ma perchè tale privilegio non portava data di sorta, non sapendo dove collocarlo lo collocò dopo Alberto, ma quel privilegio non sembra però di quei tempi.
Del miracolo di S. Pietro riferito da S. Pier Damiano e che Sigonio ripete a pag. 56 non se ne conosce l’ epoca precisa. Egli è certo che Giovanni Vescovo era morto nel 1017 perchè nell’ archivio della Badia di S. Stefano vi è un atto in cui si legge – Pro anima D. Ioannes Episcopi, ed è dell’ anno 1017. In una carta di Lamberto d’Ermengarda della quale furono eredi i Torelli si dice – pro anima parentum nostrorum, et D. Jo. Bonon.,onde sembra che Giovanni fosse suo parente, e forse suo zio. Era questa famiglia di Lamberto la più potente di Bologna. Ermengarda era figlia di Adelberto che possedeva immenso dominio nelle montagne la di cui eredità passò ai Torelli di Salinguerra dalla quale probabilmente gli pervennero le case che erano poste in piazza.
Nel trattato de Clericis Curialibus di S. Pier Damiano si dice che ai suoi dì eravi stato un Vescovo dl Bologna che aveva alienate moltissime possessioni delle Chiese e che morì paralitico senza poter parlare.
47. Frogerio. Se Giovanni Vescovo era morto nel 1017 come sopra si è provato, Frogerio era Vescovo certamente nello stesso anno. Il Sigonio pone in tal epoca tre Vescovi di Bologna non susseguentisi l’un l’altro ma tutti ad un tratto e cioè – Frugerius – Adelfredus – Ioannes Lambertus.
Il catalogo Trombelliano anch’esso amette l’esistenza di questi tre Vescovi, ma l’uno dopo l’altro e non siccome il Sigonio il quale darebbe a credere che a Bologna vi fossero stati tre Vescovi ad un tempo. Nella carta della consecrazione della chiesa di S. Lucia di Roffeno che il Masini pone sotto l’ anno 1042 e che dice averla veduta e che il Sigonio invece riferisce all’anno 1047 parrebbe che alla suddetta consecrazione intervenissero Giovanni, Adelfredo, e Lamberto, tutti e tre Vescovi di Bologna e che tal consecrazione fosse fatta da Frugerio Vescovo pur esso di Bologna con i suddetti tre altri nel 1047 pagina 62 e 66.
Per giustificare un tal dubbio non puossi oggi ricorrere agli atti originali di detta consecrazione che il Masini pretende aver veduti perchè oggi più non esistenti, ed in quanto al Sigonio che denuncia tutti questi Vescovi contemporanei di Bologna non lo può aver fatto che all’appoggio di quell’ atto di consecrazione che pur egli dice di aver veduto.
Alcuni però manifestarono apertamente che le sottoscrizioni di questi Vescovi non potessero comprovare l‘essere stati tutti ad un tempo Vescovi di Bologna ma solo una rettifica successiva di quella consecrazione, però tale opinione non regge quando si prenda in considerazione che le consecrazioni della Chiesa non avevan duopo di conferma essendo privilegiate.
Alcuni altri hanno creduto che tutti i sopra citati fossero vescovi ad un tempo ma non sotto il titolare di Bologna, ma soltanto predestinati a succedersi l’un l’altro, ma allora non erano informati alla disciplina ecclesiastica la quale mai ha praticato preordinazioni di sorta.
L’ opinione più sensata ed ammisibile si è invece quella di coloro che ci riportano esser sottoscritto nelle carte della consecrazione di S. Lucia di Roffeno; Frigerius Episcopus che ne fu l’estensore, e dopo lui i canonici del Capitolo, Alfredus, Ioannes, Lambertus i quali realmente dopo morto Frigerio furono vescovi di Bologna e di altro luogo, e che poscia da altra mano vi fosse aggiunto il titolo Episcopus, invece di qui postea fuit Episcopus e da tutto ciò nacque l’ equivoco già accennato.
E di fatto furono dessi successori di Frugerius; sembra quindi debbasi uniformare al catalogo Trombelliano, che mette Frugerius, Adelfredus,Lambertus vescovi che si succedettero, e ciò precisamente all’ epoca dello scisma. In altro atto pure riferentesi alla consecrazione della confessione di S. Lucia di Roffeno corso nelle mani del Masini, e Sigonio, si nomina più Vescovi cioè Bernardus, Victor, Henricus, Gerardus, e sembra non fossero vescovi ad un tempo ma succedentisi l’un l’altro, e qui pure si crede che essendo essi canonici e poi vescovi, si sottoscrivessero nell’atto come canonici e perchè in progresso di tempo divenuti vescovi di Bologna a mano a mano vi fu aggiunto l’ Episcopus.
Ciò che dice Sigonio alla pag. 58 circa i corpi dei santi Vitale ed Agricola, lo dice pure la cronaca di S. Stefano che trovavasi nell’ archivio della Badia d’ onde forse il Sigonio l’avea saputo, sarebbe stato mestieri però l’avesse osservata onde notar l’anno in cui seguì ciò che malaugurato non fece. Egli è vero che Martino allora era abbate di S. Stefano. La vita di S. Bononio cui accenna il Sigonio pag. 18, 59, esistente nell’ archivio della Badia di S. Stefano fu stampata da Celestino Petracchi.
48. D. Alfredus. Egli è positivo che in alcuni atti ove trovasi la sottoscrizione di questo Vescovo vi ha sotto il nome di Adelfredus. Circa la donazione di Gerardo fatta nel 1034 cujusdam Predioli aIl’Abbate del Monastero Sanctae Helenae presente Aldefredo Episcopo di cui fa menzione Sigonio a pagine 59 è da avvertirsi che questo monastero trovavasi recentemente in Secerno o Sacerno, Comune che ne’ bassi tempi chiamavasi S. Elena di Sacerno abusivamente perchè, poi il vero nome era S. Chierno che tale vocabolo i nostri contadini corottamente pronunciavano S. Elena. Egli è positivo che negli atti antichi mai si legge S. Elena di Sacerno ma soltanto Sanchierna in femminino ma più comunemente S. Elena. Si trova anche spesso Cappella sanctiuse (nota del Breventani: è San Giuseppe di Galliera, cappella soggetta al Monastero di S. Elena). Il Comune di S. Ilaro che era monastero posto lunghesso il Lavino chiamavasi come pure presentemente chiamasi Sanchierlo. Il Rossi nella sua Hist. Rav. sotto l’ anno 1032 nomina Adelfredus optimus. Il Muratori nell’ Antiq. Ital. Med. Aevi riferisce due giudicati nei quali si crede che nel 1038 Adelfredo fosse in Lucca con un messo Imperiale.
L’atto riferentesi alla riduzione dei canonici della Cattedrale a cinquanta ed alla donazione che loro fece Adelfredo della terza parte delle decime nel 1045 non si trova nell’ archivio dei Canonici. La copia che stampa l’ Alidosi è più completa di quella del Sigonio. Quest’ atto è riportato nel codice diplom. cart. 84 num. II.
Sigonio parla di due privilegi ricordati da Enrico II imperatore durante a vita d’ Alfredus. Uno lo accenna dell’ anno 1039 accordato ai canonici a pagine 62 l’ altro a pag. 65. Intorno a ciò egli è mestieri avvertire che sebbene circa il secondo privilegio il Sigonio così si esprima – Canonici vero aliud ab Henrico Imp. obtinuerunt – pure egli è l’ identico ch’ esso applica all’ anno 1039 che però non lo fu realmente, ma bensì nel 1155 quando detto imperatore passò per Bologna. I Canonici non possedevano l’ originale ma sol tanto quello che Enrico IV aveva accordato nel 1116 e che era la conferma dell’ altro di Enrico II.
Il rescritto di Papa Vittore rilasciato ai Canonici emanato nel 1055 riferito dal Sigonio a pag. 64, esisteva autentico nell’ archivio di essi canonici. Poi a pag. 65 il Sigonio dice – Idem Henricus anno 1065 privilegium Episcopo Mutinensis – parlando di Enrico II, ma esso incorse in grave errore, perchè era egli morto nel 1065, per cui se il privilegio è vero e se fu dato in detto anno non poteva mai essere di Enrico II, ma del suo successore, a meno non fosse un errore di data. Aggiungasi a confutazione del Sigonio che Adelfredo nel 1045 fece la consacrazione della Chiesa di S. Biagio di Cento. Quest’ atto lo ammette il Trombelli nel suo trattato della forma per conoscere i Codici.
Gli Annali Camaldolesi emettono un giudizio sfavorevole ad Adelfredo, credendo ch’ egli fosse quel Vescovo che secondo ne riporta S. Pier Damiano nell’opuscolo de Clericis Curialibus dilapidasse i beni della chiesa ed in espiazione di tal colpa fosse colpito da paralisi pel corso di sette anni. L’ Ughelli è della stessa opinione intorno quella dei Camaldolesi ed è a considerarsi, che Sigonio a pag. 55 circa l’anno 1014 ci porta quel rescritto di Enrico II contro i dilapidatori dei beni del Vescovato di Bologna, per cui sembrerebbe che la dilapidazione cui accenna S. Pier Damiano avesse luogo allora ma non però dopo il detto decreto non riferibile ad Adelfredo ma agli ultimi anni di vita del vescovo Giovanni. E quantunque S. Pier Damiano che era nato nel 1007 dica il fatto accaduto – temporibus nostris – ciò non osta e resta a verificarsi. Forse non potrebbonsi verificare tutti i sette anni di paralisi sapendosi che Giovanni funzionò non molto prima di morire. nulla meno poteva esserne stato colto sulle prime ma non in guisa da non potere assistere alle funzioni; peggiorò bensì e poi morì nel settennio.
Dalla concessione dell’ imperatore Ottone si scorge che i Canonici prima possedevano fondi ma è mestieri il credere o che non bastassero o che fossero dissipati. Non sappiamo se vi fosse distinzione di mensa Episcopale, o Capitolare, o se il Vescovo mantenesse i Canonici. L’atto di Enrico emanato da lui nel 1014 che inibisce di alienare i beni dei Canonici proverebbe che li avessero separati dal Vescovo anche per quanto ne assicura S. Pier Damiano sul conto del Vescovo dissipatore. Adelfredo assegnò tre quarti delle decime, ed altre oblazioni, e l’ altro quarto se lo riserbò. Sembra però credibile che qualche anno dopo commutasse in un fondo detto Roverenzano i detti tre quarti di decime, ed anzi per la conferma che ne fa Clemente II (che sembra fosse nell’ anno 1048) riferentesi all’ atto che pure era stato confermato dal vescovo Clemente, furon tratti in errore, non pochi a credere che dopo Adelfredo ‘fosse vescovo un Clemente quando questo era Clemente secondo. Venne poi Enrico II, del 1051 che nel suo atto attribuisce la suddetta concessione a Clemente.
L’altr’ atto di Adelfredo che trovasi nel Sigonio è del 1054 al quale anzi tutto si riferiscono, e si ratificano le donazioni fatte a tutti i Canonici; ma siccome non vivevano collegialmente, per cui solo Papa Leone IX cominciò ad inculcare la vita comune del clero, cosi sembrerebbe che Adelfredo per risolvere alcuni Canonici a vivere collegialmente, facesse a questi soltanto la detta donazione. Ciò si rileva dalle parole dell’ atto cioè – Domum quo que juxta Palatium nostrum – Ed ecco che da loro la casa affinchè possano vivere collegialmente. Omnes decimationes non le allude alla quarta parte delle decime di S. Pietro ma bensì d’ altre chiese che avessero posseduto nel territorio siccome Montovolo, Buida o Buda – Ipsis et eorum sucessoribus Canonum jure viventibus – dunque dato a chi vivrà collegialmente – Petro Archipresbitero et Fratribus – Nell’ atto di pochi anni prima erano 50 Canonici. ed in questo ne nomina sette soltanto. Dunque furono pochi quelli che elessero di vivere collegialmente. – Ut regulariter ipsi, et successores eorum vivant – perciò dato a quelli che collegialmente vivranno e perchè lo possano susseguentemente – Si vero instigante Diabulo canonici vel successores eorum canonica vivere desinerint vel ipsa canonica penitus destructa fuerit – Nuovo argomento di separazione dai canonici viventi collegialmente da quelli che non vi aderivano. Papa Vittore prova maggiormente l’esistenza di queste due classi di canonici quando dice – regulanter viventibus aut vobis vestrisque successoribus Canonico jure viventibus.
49. D. Lamberto. Era esso Vescovo nel 1062. Il Sigonio a pag. 66, dice che nel 1064 intervenne ad un Concilio in Mantova, asserto però che ha d’ uopo di essere verificato assicurandosi se in detto Concilio sia citato e sottoscritto. Lo stesso Sigonio dice a pag. 66 che nel 1065 ottenne da Papa Alessandro II, una conferma delle donazioni fatte al Vescovato. Quest’atto era nell’archivio dei Canonici, ma vi ha errore attribuendo tale conferma o donazione a Papa Alessandro, essendo invece di Lamberto vescovo – Anno 1065 Donatio Lamberti Epi. Bono. – Capitulo suae Ecclesiae quarundam terrarum in loco q. v. Arcoveggio. Vide S. Pietro Capitolo Documento A pag. 1. 2. 3. – Così il Sigonio ha errato perchè nell’ atto invece si dice Alexandro sedente.
Sigonio a pagine 66, 67 cita il privilegio di Gregorio VII dato a Lamberto nel 1073 nel quale conferma alle Chiese di Bologna le concessioni d’Agapito, di Pelagio, di Gregorio e Formoso tutti Pontefici. Quest’atto non si trova nell’Archivio dei Canonici, ma trovansi invece in una copia in quello del Comune, ed un altro in quello del Masina dove pure accennasi ad una compilazione dei privilegi del Vescovato fatta ai tempi del Beato Nicolò Albergati. Il Muratori nella sua opera Antiq. Ital. Medi Aevi sostiene che questo privilegio indicato nella disertazione sopra i Monasteri è falso. Di fatti il titolo Reverendissimus non è di quel tempo – Anno primo Pontificatus – Datum X Kal. Aprilis, ed in tal giorno del 1073 Gregorio non era papa. Ben è vero che l’ aggiunta del 1073 potrebbe dare spiegazione sull’anno primo; ma indictio septima non correva allora, invece era la XII. Potrebbe invece ritenersi che i copisti avessero cambiata la X, per cui sembrerebbe dovesse dirsi 1074 che era l’anno primo ed allora combinerebbe il giorno e l’indizione. Ma resterebbe sempre una differenza da superarsi. quella cioè che lo stile della intestazione del privilegio non è di quei dì.
50. D. Gerardo e Sigifredo amendue ad un tempo. Deve dire Sigifredus, e questo fu al tempo dello scisma, Sigonio a pag. 70 dice Germanus: Questa è mera sua congettura dedotta dal nome e perchè Sigifredo fu nominato dall’Imperatore. Sigonio a pagina 70 dice, che Gregorio citò Sigifredo nel 1075 al Concilio Romano e non essendovi comparso – exautoravit – lo depose. Credesi che la deposizione avesse luogo nel 1076 e non nel 1075 perchè Sigonio annunzia la elezione di Sigifredo nel 1074, quando vi hanno documenti che attestano il vescovo Lamberto vivere nel 1074, per cui sembrerebbe che Sigifredo fosse eletto nel 1075, e che il Concilio Romano che depose i Vescovi fosse invece celebrato nel 1076, vedi Concil. Coll. Labbè T. XII pag. 599 Dice poi Sigonio a pag. 71. – Quinquennio vero post Sigifredum ipsum adhuc in contumacia permanentem Gregorius communione in Concilio Romano sine gratiae recuperatione privavit – cioè nel 1079. Ditfatti si legge nel Labbaci tom. XII, pag. 631 che al Concilio Romano del 1079 fra i Vescovi dei quali conferma la deposizione vi fosse Sigifredus dictus Bononiae Episcopus. Nel 1077 si trova una lettera di Giuberto Arcivescovo di Ravenna colla quale invita que’ Vescovi al perdono e ad umiliarsi al Pontefice Gregorio per cui il primo atto del 1076 non sarebbe che una sospensione, e la condanna emanata nel 1079, della quale Labbaci tom. XII, pag. 417.
Sigonio a pag. 71 accenna ad una donazione di alcune possessioni fatte da Albertus Comes et Mathilda coniuges cives Bononienses ai Canonici di Bologna nel 1074. Quest’ atto di donazione realmente trovavasi nell’archivio de‘ Canonici, ma essendo del quì sopra annunciato anno sembrerebbe che si dovesse attribuire ai tempi del Vescovo antecessore. Di più il Sigonio dice: – Cives Bononiensis – ma la carta di donazione dice: – Albertus de Comitatu Bononiens – forse perchè aveva amministrazione nel contado di Bologna.
Sigonio a pag. 70 dice che i Bolognesi invitati dal decreto di un Papa Gregorio si tolsero con altri popoli dall‘ubbidienza dell‘lmperatore e si diedero al governo repubblicano. – Quo decreto invitati Bononienses una cum caeteris vicinis Populis a Rege se averterunt et libertatem primum amplexi novam Republicam ordinarunt. – Questo non è vero perchè il dominio Imperiale durò anche dopo; bene è vero che cominciarono allora i bolognesi a ribellarsi sebbene totalmente non riuscissero a sottrarsi dal dominio Imperiale.
Sigonio non tien discorso sul conto del vescovo Gerardo ma non cosi l’ Ughelli nell’ opera sua sui vescovi di Bologna a pag. 15 e con esso il catalogo Trombelliano, il quale nota Gerardo, e Sigifredo – eodem tempore – perchè si sostennero l’un l’altro in carica. Lo stesso Ughelli nella sua opera sui Patriarchi di Venezia pone una serie degli Abbati di S. Giorgio sotto l’anno 1203. In questa inserisce un atto nel quale è nominato Gerardo siccome vescovo di Bologna nel 1090. Nella sottoscrizione di quest‘ atto si legge così: – Ego Bernardus – perchè allora era questi soltanto canonico, che poi successe a Gerardo, e vi è con esso sottoscritto – Daldus Archidiaconus.
Il vescovo Sigifredo incoronò l’antipapa che era Giberto Arcivescovo di Ravenna nel 1084, (vedi Rossi storia di Ravenna pag. 309, e il Muratori Annali 1084), Sigifredo morì poco dopo. Che fosse morto nel 1086 rilevasi dal suaccennato Rossi a pag. 312 ove leggesi un atto di Clemente ossia Guiberto antipapa nel quale parlando come Arcivescovo di Ravenna s’ intitola Guiberto e nominando Sigifredo dice Sanctae memoriae Sigifredi Bononiensis Episcopi et Orlandi fratris sui. – Quest’ atto è del 1085 per cui Sigifredo era morto in quell’anno. Dice dunque bene l’Ughelli a pag. 17 asserendo che gli scismatici in luogo di Sigifredo elessero Pietro, per cui Bernardo fu successore di Gerardo vescovo cattolico, e Pietro di Sigifredo vescovo scismatico.
51. D. Bernardo e Pietro. Sul conto però di Pietro nulla abbiamo di positivo e probabilmente seguitò ad essere ai tempi di Bernardo per qualche anno. Sigonio a pag. 71 dice che a’ tempi del vescovo Bernardo fu istituita la congregazione de’ Canonici di S. Maria di Reno. Poscia alla medesima pagina e successiva 72 sotto l’ anno 1087 cita la fondazione del romitorio o convento del Monte della Guardia fatta da Angela, od Angelica. Però questa fondazione non poteva darsi per certa in quell’ epoca. Fra Leandro Alberti che aveva esaminato i documenti dell’archivio delle suore di S. Mattia la mette circa cent’anni dopo. Il padre Trombelli nella storia di S. Salvatore, non porta verun documento nè prova certa intorno a questo fatto. Non ci opponiamo alla possibilità che la congregazione Renana fosse fondata circa quell‘ epoca, ma gli è certo che non si cominciano a trovar atti riferentisi al romitorio o convento della Guardia se non dopo l‘ anno 1160 quando fu portata la santa immagine di Maria di S. Luca e consegnata a quelle eremitesse.
L‘ Angelica sul dicui conto si parla, viveva ancora nel 1243 siccome provasi mercè gli atti autentici della lite che ebbe a sostenere contro i Canonici di S. Maria di Reno conservati nell’archivio delle suore di S. Mattia, dunque non poteva l‘Angelica essere fondatrice di questo monastero nel 1087. Quello poi che Sigonio su questo particolare attribuisce a Celestino II, lo si dovrebbe più verosimilmente a Celestino III. Nel nostro codice, Diplomatico T. 1. Cod. 84. Num. XXI vi è una lettera data Papiae XIII. Kal. Oct. e cioè 19 sett. 1095 di Papa Urbano indirizzataCatholicis in Clero Bononiensi, nella quale gli raccomanda Bernardo vescovo; quindi sembrerebbe potersi dedurre che Bernardo fosse fatto Vescovo da Urbano. Da questa stessa lettera si rileva che in quel tempo andò un corpo d’ Italiani alla Crociata ma che non può però ritenersi per certo dacchè quella lettera porta la data dell’ anno 1095. Nello stesso codice T. I. Cod. 84. N. XVII. trovasi un’altra lettera data Laterani VV. Kal. May. che corrisponde al 17 aprile 1097 di Urbano Papa diretta a Bernardo Vescovo di Bologna dalla quale si deduce che a quei dì il partito scismatico in Bologna cominciava a diminuirsi. Si rileva ancora da questa stessa lettera che Bernardo prima del Vescovato era stato canonico di Bologna. Nell’ anno 1098 il Vescovo Bernardo si trovò presente ad una donazione che la contessa Matilde fece dello spedale di Bombiana. L’ atto vien riferito dal Muratori Ant. It. Med. Aevi. Di questi tempi e probabilmente circa l’ anno 1099 successe l’ inauguramento del Monastero di santa Cristina di Stifonte sebbene il Sigonio gli attribuisca una data di molti anni dopo ed a conferma del nostro asserto veggansi gli Annali Camaldolesi. Nella cappella Bolognini in S. Stefano si legge l’ epitaffio di questo Vescovo Bernardo dove sta scritto – Displicuit Regii vel proprio generi – quindi è a ritenersi che Bernardo probabilmente appartenesse alla famiglia Imperiale.
52. D. Vittore. La lettera di Pasquale II a Vittore Vescovo di Bologna che il Sigonio riferisce a pag. 73 si crede inserta nel decreto di Graziano. Lo stesso autore a pag. 74 sotto l’ anno 1114 pone la donazione fatta dalla contessa Matilde ai canonici di Bologna della Chiesa di S. Michele presso il Castello di Argelata. Questa. donazione non seguì nel 1114 ma bensi nel 1105.
L’atto che stabilisce questa data trovavasi nell‘ archivio dei Canonici di S. Pietro nel quale è sottoscritto Clarissimo Arcidiacono. Da quest’ atto l’Alidosi ha rica vato l’ Arcidiacono Clarus Franciscus avendo egli cosi letto Clarisslmus, di più gli applica la data del 1124 ma ha in tutto questo equivocato. Il rescritto di Pasquale II, che conferma i privilegi alla chiesa di Bologna accennato da Sigonio pag. 74, credesi sia nell’ archivio dell’ Arcivescovado.
La dedizione dei‘ Rodiliani, Sanguinetani, e Capreliani al Comune di Bologna che il Sigonio a pag. 74 dice aver avuto luogo l’anno 1116 lo fu invece alcuni anni dopo e cioè nel 1123 e ciò vien provato dagli atti pubblici che trovansi nell’ archivio della Città. Quest’ atto è notabilissimo per essere il più antico di tutti.
Sigonio a pag. 74 e 75 parla della fondazione e consecrazione della Chiesa della Madonna del Monte. Circa la consecrazione, e fondazione di questa Chiesa, bisogna riferirsi alla cronaca di Graziolo Accarisi, il quale viveva circa la ‘metà del secolo XV, Essa però non dà il nome del Vescovo che la consacrò, ma si sa però per certo che i monaci di S. Felice avevano questa chiesa nel 1185. Il Sig. Giovanni Pellegrino Savini siccome erede dei Loiani possedeva due o tre atti che lo provano.
Sigonio a pag. 76 dice che Bernardo Vescovo nel 1125 donò la Chiesa di S. Cristina all’ Eremo di Camaldoli e più un fondo detto Stifonte, otto miglia fuori porta Santo Stefano al qual eremo siedeva priore un padre Martino che nel suindicato fondo eresse un monastero di Monache. È da osservarsi però che Sigonio distingue S. Cristina dalla chiesa e luogo di Stifonte. Non può però esser questa la chiesa di Santa Cristina di Bologna perchè la sua fondazione ebbe luogo soltanto nel secolo decimoterzo. Dunque tutto va riferito a Stifonte nè può accogliersi tale distinzione dacchè santa Cristina di Stifonte ed il monastero delle Camaldolesi sono la stessa cosa, a prova di che è duopo consultare gli Annali Camaldolesi.
Dei quattro Cardinali che il Sigonio a pagine 77 dice esser stati creati da tutti bolognesi non vi ha che il Cardinal Caccianemici. Egli è ben vero che a quei dì viveva un Cardinale di Bologna che prima era stato Generale dei Camaldolesi, ma è vero pur anco che nè alcun altro autore seppe darcene il nome, nè da qual Pontefice fosse creato. Sotto l’anno 1129 il Sigonio a pag. 78 fa menzione della conferma fatta da Onorio II ai Canonici dl S. Pietro dei beni che possedevano e della donazione a loro fatta di Monte Palense. L‘ atto di questa conferma è nell’ archivio di essi Canonici. La donazione di Monte Palense è inserita nel privilegio o Bolla di Gregorio VII dell‘ anno 1129 Bulla Honorii II Pape, qua canonicis Bononiensibus requlariter viventibus bonaque possidebant rata fecit et ut componere super Decimas possent indulsit atqae Ecclesiam S. Mariae in Monte Palense donavit. Sig. Hist. Bon. pag. 115. De Episcopis Bon. pag. 78. Extat in tabulario Canonicorum.
Il Sigonio a pagina 78 sotto l’anno 1129, dice – Eodem vero anno Victor Episcopus ecclesiae administrationem Henrico civi Bononiensi jampridem desi gnato Episcopo tradidit. Non si sa d’ onde Sigonio abbia ritratta la notizia di questa rinuncia, e non la corrobora con alcun documento. Nella vita poscia del successore Henricus dice, che Vittore mori 10 anni dopo, ma forse fu errore del copista mettendo il 1139 invece del 1129.
Aggiunge il Sigonio – che Vittore nel 1121 diede alcune terre in enfiteusi ai priori di S. Vittore, e di S. Giovanni in Monte. In questa investitura si dice che Vittore dà in enfiteusi. – Petro pribistero priori ecclesiae S. Victoris. I primi atti che troviamo di questi priorati sono del 1117 mentre antecedenti non se ne trovano; dopo detto anno però sono continuate tanto nel pubblica archivio che in quello di S. Giovanni in Monte. Nel 1118 i canonici di S. Vittore ebbero in dono la chiesa di S. Giovanni in Monte dalla famiglia Grassi alla quale apparteneva ma non però dalla restante famiglia d’ oggidì la cui superstite è moglie del marchese Luca Marsigli, ma di altra ben più antica che chiamavasi ancora dei Clarissimi come rilevasi dai Libri dei memoriali. Questa donazione trovasi nell’ archivio di S. Giovanni in Monte.
Nel Necrologio di S. Giovanni in Monte si legge V. Kal. Octobris obiit Victor Episcopus Bononiensis qui multum dilexit nos pro quo novem lectiones fecimus. Si crede adunque che Vittore non sopravvivesse i dieci anni siccome Sigonio scrive a pag. 79, dopo la sua rinuncia, e morisse non come già si disse per errore del copista che cambiò il 1129 nel 1139. La consecrazione di Enrico seguì in Marzo del 1130 e questa data vieppiù avvalora quella della morte di Vittore.
53. D. Enrico. Fu consacrato vescovo nel 1130 in marzo. L’ atto di questa consecrazione trovasi nell’ arcivescovato di Ravenna e l’abbate Sarti ne trasse copia inserendola poi nella sua storia dello Studio. Fuvvi molta sollecitudine nell’effettuare tale consecrazione, e ciò perchè nel 1106 era stato tolto il gius Arcivescovile di Ravenna sopra Bologna poi ricuperato, per cui l‘Arcivescovo fu premuroso di fare tale consecrazione con molta solennità. Ferveva allora accanita guerra fra i Bolognesi ed i Ravennati onde fu scelta per la consecrazione la terra di S. Giovanni in Persiceto ove si recò l’Arcivescovo essendovi presente ancora il Cardinale Gerardo Caccianemici il quale dichiarò solennemente il gius antico del Metropolitano di Ravenna sopra il Vescovato di Bologna facendo sottoscrivere da molti altri Signori l’attestazione sua.
Enrico vien nominato nell’atto per la fondazione della chiesa di S. Nicolò nella Pieve di S. Maria di Buda. La dotazione (?) di S. Nicolò di Medicina è vera siccome dice il Sigonio a pag. 78 sotto la data dell’ anno 1130 e questa trovasi nell’ archivio dei frati de’ Servi. A pag. 78 sotto l’anno stesso qui sopra citato dice che Enrico consacrò la nuova chiesa di S. Cristina e che l’ ha rilevato da una lapide, (veggansi gli Annali Camaldolesi). Poscia soggiunge che il vescovo Enrico donò ai monaci Camaldolesi la chiesa de’ SS. Cosma e Damiano posta nel centro di Bologna. Circa S. Damiano veramente non si conosce la data precisa in cui fosse donata ai monaci Camaldolesi, ma però vi sono bolle pontificie che nel 1149 glie ne confermano il possesso e dominio, (vedi Annali Calmaldolesi). Si noti che in S. Damiano vi era una lapide nella quale fu sbagliata la data che al detto dell’Alidosi invece della data del 1007 doveva essere del 1107.
A pag. 78, 79 il Sigonio sotto i’ anno 1131 dice che per un incendio fortuito fu abbruciata la chiesa cattedrale di S. Pietro e che rimase così rovi nata per circa 34 anni. Le nostre cronache non accennano però a questo disastro.
Circa quell’istessa epoca Sigonio a pag. 79 dice che Ildebrando abb. di Nonantola concordò un trattato coi bolognesi, mercè il quale promise di ricevere in perpetuo dal vescovo di Bologna l’olio santo, ed il crisma essendo per lo addietro stato in di lui arbitrio prenderlo ove più gli avesse piaciuto e così venne a prenderlo sotto la sua protezione. Questo fatto è vero e l’atto autentico si trova nel pubblico archivio, dal quale pur anco rilevasi che a quei dì l‘ Abbate aveva giurisdizione temporale sopra Nonantola, e suo distretto. I Modenesi che aspiravano al dominio di Nonantola credettero di assicurarsi secondati daIl‘Abbate di quel privilegio mettendosi sotto la protezione del Comune di Bologna facendo unire al temporale quello ecclesiastico e spirituale, ma che fu però origine delle lunghe guerre che ferverono fra i Bolognesi ed i Modenesi. Che il vescovo Enrico nel 1140 consacrasse la chiesa di S. Giovanni Battista di Ronzano siccome Sigonio asserisce a pag. 79 è molto incerto, come pure la fondazione sua nell’ epoca stessa.
Sigonio a pag. 79, 80 racconta sempre sotto l’ nno 1141 l’invenzione del corpo di S. Petronio nella Basilica di S. Stefano, ed aggiunge il decreto emanato dal Consiglio che per otto giorni antecedenti alla festa di questo santo e per altrettanti successivi i debitori non potessero essere menomamente molestati dai loro creditori. I’invenzione di S. Petronio è provata; ma non così questa seconda notizia che non vien ricordata da alcun atto ad essa relativo. Era a quei dì l’abbate di S. Stefano un certo Paolo come risulta dagli atti. Il decreto poi d’immunità credesi fosse emanato soltanto molt‘ anni dopo.
Sigonio a pag. 80 dice che il Vescovo Enrico morì nel 1145, viveva esso ai 3 ldus Iannuari 1144 come rilevasi da un atto che trovavasi nell’ archivio di S. Stefano e perciò la sua morte potrebbe essere benissimo avvenuta nel 1145, ma però sarà mestieri osservare che questa Enrico è indicato come uno fra i tre vescovi o preordinati sessant’anni prima; converrebbe quindi dire che fosse designato ancora fanciullo; ipotesi che di nessuna guisa può reggere e che distrugge affatto la sopraddetta preordinazione.
Innocenzo II in Pisa l’ anno 1136 confirmò la congregazione dei Canonici di S. Maria di Reno come dice Sigonio a pag. 81, riferendosi alla bolla che trovavasi nell’archivio di S. Salvatore. Questo fatto è vero. più è da aggiungersi che Enrico confirmò le costituzioni, privilegi e la congregazione stessa dei Canonici di S. Vittore e di S. Giovanni in Monte essendovi priore Albertus che poi fu vescovo di Reggio, poi contemporaneamente furono confermate da Gualtieri Arcivescovo di Ravenna. L‘ atto trovavasi nell’ archivio di S. Giovanni in Monte.
Circa quest’ epoca sorse un‘ altra congregazione di Canonici regolari, e cioè nel 1133 nella chiesa di S. Eutropio della Cella di Altedo. Furono tre preti che unironsi, quindi ben facile l’ argomentare da quali principii potesse essere informata questa congregazione. Durarono cinquant‘ anni isolatamente. poi furono uniti a quelli di S. Giovanni in Monte. Gli atti di quest’ unione trovavansi nell’ archivio di S. Giovanni in Monte. Il Masini ed altri nostri scrittori non essendo ben certi della posizione in cui trovavasi questo S. Eutropio la dissero quella chiesuola della Beata Vergine posta nella via dei Chiari.
Che Olivario diacono nel 1136 fabbricasse in Bologna pei Canonici di S. Maria di Reno la chiesa di S. Salvatore lo assicura il Sigonio a pagine 80 ed 81 ed è credibile. Il medesimo sotto la data del 1144 accenna pure all’ elezione di Gerardo Caccianemici a Pontefice chiamato Lucio II. L’ elezione è vera in quanto all’ epoca ma non che egli portasse allora il cognome Caccianemici. Che Lucio II confermasse alla chiesa di Bologna i privilegi concessi dai suoi antecessori è fatto positivo; ed il Sigonio lo asserisce a pagine 82 avendolo ritratto dalla bolla che trovavasi nell’ archivio dell’ Arcivescovato. Successivamente a pagina 81 riferisce i Cardinali creati da Lucio II e dice averli trovati nei libri di Iacopo Corelli e fra questi, Ubaldo Caccianemici, Guarino Guarini, Ugo Misani e Riniero Marescotti, ma non è però documento da prestarvi molta fede.
54. D. Gerardo e Samuel uno tempore. Sigonio dice che era cittadino bolognese e canonico regolare di S. Giovanni in Monte. Che fosse cittadino bolognese è fuor di dubbio dacchè apparteneva alla famiglia Grassi non della presente ma di altra che si estinse nel secolo XII. Lo dice pure il Muratori nella sua cronica Rer. Ital. T. 18 pag. 248 dove trovasi. – Morì Grasso Vescovo di Bologna – ma più autenticamente rilevasi in un atto di Vittore vescovo dei 9 ottobre 1128 che era nell’ archivio di S. Stefano ove leggesi fra i testimoni. – Gerardus Clericus Bon. Ecclesiae filius Alberti Grassi causidici. Ma che fosse canonico regolare di S. Giovanni in Monte come asserisce il Sigonio non regge punto. Il Necrologio di S. Giovanni in Monte dice: Anno 1145 ed è errore dovendo dire 1165: – Gerardus beatae memoriae bonon _Episcopus et frater noster migravit ad Dominum gemma sacerdotam et decus ecclesiae. Vivat Christo nunquam moriturus, ad sortem summi capitis , flos ipse futurus. Il Frater Noster ha ingannato senza considerare che quest’ espressione non altro riferisce si che ad una pura fratellanza, perchè in questo siccome in altri necrologi, quando il defunto era canonico regolare veniva notato non solamente frater noster ma ben anco canonicus. Era egli veramente canonico di S. Pietro e si è trovato notato in alcuni atti Gerardo canonico nel 1122 e 1123. Di più nel 1128 in un foglio di Vittore Vescovo del 9 ottobre che era nell’ archivio di S. Stefano si legge. Gerardus Clericus Bononiensis ecclesiae filius Alberti Grassi causidici.
Nel 1183 VIII Id. Feb. vi è un atto nell’ Archivio di S. Giovanni in Monte nel quale si legge: – Nos quidem Gerardus clericus et canonicus S. Petri Bon. Eccl. et Marchesellus et Albertus Germanu filius Alberti Grassi pro anima Patris nostri etc. – Altro atto in detto archivio che è del 1143 si legge: – Henricus Bon. Epis Gerardus canonicus S. Petri. – Nella cronaca inserita dal Muratori, tom. XVIII, pag. 243, trovasi: morì Grasso Vescovo. Sembrerebbe adunque che Gerardo Grassi canonico, fosse lo stesso che Gerardo Grasso vescovo. Il Sigonio a pag. 82 incomincia a narrare sul conto di questo Vescovo fin dalle esequie che celebrò per Lucio II, avendolo attinto dalle cronache. La conferma de’ privilegi alla chiesa di Bologna che Sigonio nota a pag. 82, è vera, l’ha ritratta dal privilegio che si conserva nell’ archivio Arcivescovile. Alla detta pagina sotto l’anno 1154 dice che Gerardo implorò da Anastasio IV di ottenere in enfiteusi i fondi che la Chiesa Romana possedeva nel bolognese. Questo pure può dirsi vero, il privilegio è inserito in quello di Alessandro III, che trovasi nell’ archivio dell’ Arcivescovado.
La dedizione di Monteveglio al Comune di Bologna, nel 1157 notata dal Sigonio a pag. 82, è positiva perche constatana nei registri del Comune, nel Pubblico Archivio. Le lettere di Alessandro III al vescovo Gerardo inserte nel Sigonioa pag. 82 e 83 sono pur vere ed importanti, e si leggono nelle memorie di Roderico Frisingense.
La consegna della immagine della B. V. di S. Luca che il Sigonio data nell’ anno 1160 è tolta dalle Cronache. L’ atto autentico di questa consegna trovavasi nell’ archivio delle Suore di S. Luca. In esso però non si dice che quest’immagine fosse nel tempio di S. Sofia in Costantinopoli e neppure ne ha tramandate le altre particolarità: soltanto dice che questa santa immagine fu portata di Grecia da un pellegrino e consegnata al Vescovo e da questo alle suore del Monte della Guardia. L’ atto si legge ancora nella cronichetta Azzoguidi, e l’Azzoguidi si fu il primo a stamparla.
Dice Sigonio a pag. 84 che Gerardo rinunciò al Vescovato nel 1165. Non si ‘può prestar fede sì facilmente a questa rinuncia sulla quale non abbiamo documento alcuno che ce la confermi, mentre anzi la cronaca del Muratori al tom. 18, dice che nel 1165 morì Grasso vescovo di Bologna ma non che lo fosse già stato. Sigonio alla medesima pagina parla d’ Ildebrando cardinale che realmente era canonico Renano. Se questo fosse fratello del vescovo Gerardo non si sa, mentre neppure nella divisione successa fra Gerardo ed i suoi fratelli che ebbe luogo nel 1133 non vien nominato, poteva però essere stato in quell’epoca già fatto regolare, siccome esso pure figlio di Alberico e fratello dall’Alberto quindi cugino di Gerardo. Sul conto di quest’ Ildebrando Sigonio così si esprime – Episcopus Bononiensis reperitur, verum , ut opinor electus abdicavit. – Ma su questa elezione non trovasi alcun documento, nè memoria alcuna. È da aggiungersi che Gerardo fu alla Dieta delle Roncaglia, come nota Roderico Frisingense, e precisamente nel 1158, ma su tal particolare convien attenersi a quanto ne riferisce l’Ughelli ed il Muratori non dovendosi dare alcun apprezzamento a quanto altri ne dicono e di questa verità ne convien pur anco il Trombelli. Il Necrologio di S. Salvatore lo dice canonico Renano ed a questo convien prestar fede presentando tale documento un carattere di incontrastabile autenticità.
Per quanto riguarda il vescovo Samuele non potremo che ritenere la sua nomina in conseguenza dello scisma insorto per la dissensione allora fervente fra Alessandro III e Federico I. Per altro sul di lui conto non si conosce se non quanto ce ne tramanda il Catalogo Trombelliano, e cioè il puro nome. Lo scisma e la deposizione fatta da Gerardo e l’ installazione di Samuele fu opera di Federico I quando s’ impadronì di Bologna nel 1162 – Anno 1162 Federico I imperatore di Roma quo Canonicos SS’. Victoris et Ioan in Monte a Tributo, Fodro , et Mansionatico immunes esse jubet Extat in Tabul Can. S. loan in Monte.
55. D. Giovanni. Sigonio a pag. 85 dice che era canonico di S. Giovanni in Monte, e cita a prova del suo asserto il Calendarium di S. Giovanni in Monte. Ma quì pure incorse in grave errore, perchè il Necrologio di S. Giovanni in Monte non dice se non che – Idib. Januarii obiit D. Ioannes Episcopus bonae memoriae Bononie1187. _ Sigonio dice loco citato. Lo scioglimento dipende dalla ricerca del Vescovato del Cardinale Ildebrando, e dalla morte di Gerardo che il Calendarium dice accaduta nel 1165 coll’enunziativo Vescovo. Dice poi a pag. 85 e 86 che rifabbricò la chiesa di S. Pietro e che l’ ultimò nel 1165, qual notizia ci vien trasmessa da varie croniche, e a pagine 86, prosegue raccomandando la traslazione delle reliquie de’ santi Vitale e Agricola, il di cui atto autentico era nell’ archivio di santo Stefano, poi a pag. 86, riferisce la consecrazione fatta da Giovanni della – Chiesa di S. Vittore nel 1178. Questa ebbe luogo; l‘atto trovasi nel pubblico archivio. Indi a pagina 86, 87 dice che Giovanni vescovo ottenne da Alessandro III la conferma dei beni enfiteotici che il Papa Anastasio aveva dati alla chiesa di Bologna, e precisamente nel 1162. Dice averlo ritratto dal privilegio di Alessandro III, che trovasi nell’ archivio dell‘ Arcivescovato e questa conferma è vera. Sigonio a pag. 87, dice che nel 1184, Lucio III papa trovandosi in Bologna consacrò la Chiesa di S. Pietro e di averlo imparato dalle cronache e da una lapide che trovasi nella piazza di Modena, poi aggiunge a pag. 88, che varie concessioni furono rilasciate da Urbano II rilevatesi desse dai registri degli archivi dell’ Arcivescovato. A pag. 88 dice che Papa Alessandro III avendo nel 1160 data la regola ai frati crociferi di S. Maria concesse ai medesimi il privilegio di fabbricare ed aprire un ospitale fuori di porta Ravegnana nel 1169. Il Sigonio l’ha tratto dalla bolla di detto Papa che a suoi dì trovavasi nell’ archivio di detti frati. Queste carte presentemente trovansi presso i canonici di Siena ai quali Alessandro VII applicò i beni di questo convento, dopo la soppressione sua. Poi a pagina 88 dice che Alessandro III creò Cardinale Lesbio Grassi bolognese nel 1177 e dice d’ averlo ricavato dal libro sui Cardinali di Iacopo Corelli. Questa è pura favola e non più. Alla stessa pagina dice che Imelda vedova di Bulgaro celebratissimo giureconsulto istituì eredi gli Eremiti Camaldolesi con obbligo di fabbricare in un suo predio un eremo ed un ospitale che di fatto vi fu fabbricato e precisamente fuori di porta S. Felice nella via Emilia presso il torrente Ravone dedicato a S. Salvatore ed alla Beata Vergine e ciò precisamente fu nel 1177. Veggansi gli Annali Camaldolesi. A pag. 87 dice che Urbano II nel 1186 confermò il privilegio di Adriano IV, accordato al monastero di S.Stefano, e tale notizia averla ritratta dal privilegio di Urbano II che trovasi nell‘ archivio del Vescovato. – Anno 1186. Bulla Urbani P. 111, Confirmationis privilegiorum Monasterii S. Stephani. Extat in tabulario Canonicorum. A pagina 89 il più volte citato Segonio dice che nel 1187 Gregorio VII successore di Urbano II passò da Ferrara a Bologna dove consacrò Gerardo Gisla o Gisella cittadino bolognese, arcidiacono e già canonico di S. Giovanni in Monte designato Vescovo di Bologna, e che il Gerardo stesso consacrò poi la chiesa di S. Maria Maggiore in via Galliera fabbricata dal Vescovo Giovanni. Prova la venuta di Gregorio VIII mediante cronache; e quanto riferiscesi a Gisla col calendario di S. Giovanni in Monte; ma sopra tale argomento rimandiamo i lettori a quando parleremo del Vescovo Gerardo Gisla.
A pag. 89 Sigonio dice che il vescovo Giovanni morì Idib Ianuaris 1188 riferendosi al Calendario di S. Giovanni in Monte ed anche quì errò dacchè e positivo morisse invece nel 1187 siccome lo conferma il Rossi nelle sue Ist. di Ravenna nel Lib. 5 pag. 358. Nell’ archivio dei Canonici di S. Pietro trovasi un istrumento che tratta di una composizione avvenuta fra il vescovo Giovanni ed il Capitolo che porta la data del 1186, presenti Beltrando abbate di S. Procolo e Rinieri abbate di S. Stefano. Lucio III nel 1183 fece una Bolla a favore dei Canonici di S. Giovanni in Monte e questa fu la prima emanata in favor loro che esiste nel loro archivio, tutti gli altri di conferma, o di privilegi sono dei vescovi di Bologna. A quei dì vivevano due Cardinali che realmente erano Bolognesi e cioè Hugo de Bononia creato nel 1164, che morì a Benevento nel 1177 e Romualdo Salernitano.
Petrus de Bononia del titolo di S. Sabina che si attribuisce al Cardinale Lesbio Grassi e per questo gli scrittori nostri hanno equivocato, trovando scritto Petrus de Bon, e da questo creando un Petrus de Bono. Certo è però che Petrus de Bononia viveva nel 1186 1187.
Quelli di Bagnacavallo della diocesi di Faenza volendo erigere una chiesa del loro ordinario avevano piantata la croce per fabbricarla. Vi si recarono due canonici da Faenza per toglierla e per piantarla essi, ma quelli di Bagnacavallo si opposero, minacciando di far benedire la chiesa dal Vescovo di Bologna o di Reggio. Per questa differenza Alessandro III intimò ai chierici ed ai laici di Bagnacavallo di obbedire al Vescovo di Faenza e non a quello di Bologna o di Reggio, e questo fu emanato da Anagni il II non. Junii che corrisponde al 4 giugno 1172 Cod. Depl. Cod. 84. XX.
Nel 1177 Alessandro III concesse le decime de’ molini che recentemente erano stati costrutti dal laici sul fiume Savena, ed accordò che in perpetuo potesero tenere il Sindaco. L‘ autografo di questo privilegio si conserva nell‘ archivio Arcivescovile.
Nell’anno 1184 Lucius PP.III Gerardo Archiep. Ravennat. – Eum certum reddit quod quamvis mutinae Ecclesiam S. Geminiani ac Bononiae Ecclesiam S. Petri solemni ritu consecrasset nullum tamen ex hoc praeiudicium juris Metropolitano inferri posse. – Datum Veronae non septcorrisponde al 5 settembre 1184. Cod. Dipl. Cod. 84 N. XXI.
56. Gerardo di Gisla, anno 1187. Da un atto autentico nell‘archivio del Capitolo di S. Pietro si rileva che nel predetto anno Gerardo Gisla era canonico di quella Cattedrale, e non arcidiacono, perchè contemporaneamente eravi altro arcidiacono detto pure Gerardo.
Sigonio a pag. 89 dice che Gregorio VIII venne da Ferrara a Bologna, dove consacrò Gerardo Gisla o Gisella cittadino ed arcidiacono di Bologna già canonico di S. Giovanni in Monte, e designato Vescovo di Bologna, il quale consacrò la chiesa di S. Maria Maggiore in Galliera siccome superiormente avvertimmo e tutto ciò lo mette seguito nell’anno 1187 essendo morto il vescovo Giovanni cui successe Gerardo. La venuta di Gregorio VIII l’ha attinta dalle cronache. Che Gerardo fosse canonico di S. Giovanni in Monte lo ritrasse dal calendario di S. Giovanni in Monte. Le nostre cronache l’ hanno istrutto della consecrazione di S. Maria Maggiore. La morte di Giovanni, nel 1188 dice di averlo trovato nel Calendario ossia Necrologio di S. Giovanni in Monte.
Su tali asserti è mestieri fare alcune osservazioni e cioè: – Gerardo non fu canonico regolare di S. Giovanni in Monte, perchè era canonico della Cattedrale come più oltre verrà provato. Il Calendario ossia Necrologio di S. Giovanni in Monte che il Sigonio cita a conferma del suo asserto null’altro dice se non che – Obiit Bon. Mem. Gerardus Episcopus 1198. – Che poi fosse arcidiacono non è ben certo, e su tal proposito basti quanto ne scrisse l’ abbate Ruggieri. Che in quei di vivesse un Gerardo è fuor di dubbio, risultando da autentico documento; ma non è però certo che fosse Gerardo Gisla, perchè si trovano atti nei quali è nominato Gerardo Gisla canonico della Cattedrale, ma l’aggiunta Gisla si trova bensì accompagnata col Gerardo canonico, ma non mai Gerardo Gisla arcidiacono, e solo Gerardo arcidiacono. Gli atti ne‘ quali è nominato Gerardus de Gisla canonicus cominciano dal 1170 e continuano fino al 1187 nel qual anno fu eletto vescovo dai canonici. Nell’ anno stesso in cui fu eletto Vescovo si trova un atto X. Kal. Iulii 1187, nel quale sono nominati Gerardus de Gisla, e Gerardus de Ariosti canonici perchè nel giorno. X Kal. Iulii 1187 era bensì morto il vescovo Giovanni, ma la sede era tuttavia vacante perchè l’ elezione di Gerardo ebbe luogo alla fine del 1187. Di più gli atti nei quali è nominato Gerardo Gisla canonico, sono posteriori agli atti, nei quali è nominato Gerardo arcidiacono, per cui non è probabile che fosse prima arcidiacono e poi decadendo in grado divenisse semplice canonico. Leggesi una bolla di Urbano III nell’ archivio del Capitolo sotto la data di Marzo nel 1187 nella quale Gerardo è iscritto arcidiacono dopo che Gerardo Gisla era già stato consacrato Vescovo. Egli è però vero che fu poi Arcidiacono pure il canonico Gerardo Ariosti e che probabilmente successe al suddetto Gerardo arcidiacono. Il padre Sarti ha molto discusso su tale quistione, e sembra che inclinasse a credere che il Gisla fosse stato realmente Arcidiacono.
Che il vescovo Giovanni morisse Idibus lanuarii 1188 e che ciò lo provi il Calendario o Necrologio di S. Giovanni in Monte, è un errore perchè invece lo dice morto nel 1187, supponendo erroneamente il Sigonio, che morisse nel 1188, e trovando la consecrazione di Gerardo nel 1187 per porvici riparo dice che Giovanni rinunciasse nel 1187 e per questo fosse eletto e conservato, Gerardo e così Giovanni vissero fino al 1188. Ma Giovanni morì Idibus Jannuarii 1187 sicome gia riferimmo rendercene certi il Necrologiò più volte citato al quale pure conformasi il Rubeus Hist. Ravenn. lib. 5 pag. 358. La sede era tuttavia vacante quando Gerardo Gisla era puramente canonico, fu eletto Vescovo sul finire del 1187 e da lui positivamente consacrata la chiesa di S. Maria Maggiore.
Gerardo Gisla appartenne alla famiglia Scannabecchi siccome vien confermando una cronaca inscritta dal Muratori nel tom. XVIII, e dall’ abb. Sarti nella vita di Alberico Scannabecchi. Sigonio a pag. 90 dice che Carlo IV imperatore dichiarò il Vescovo di Bologna principe del sacro Romano Impero ed agginge che il privilegio leggesi nell’ archivio dell’ Arcivescovo; su questo particolare sarà bene consultare l’ abbate Ruggieri.
Alla stessa pagina 90 dice che Gerardo fu eletto Pretore ossia Podestà, ma non tiene parola veruna su quanto successe; avrebbe però potuto ritrarlo dai libri Actorum del Comune di Bologna che trovansi nell’ archivio pubblico, dai quali rilevasi che il vescovo Gerardo Gisla fu Podestà di Bologna per due anni e cioè nel 1192 e 1193 benchè le nostre cronache dissentano nelle date.
Gerardo essendo delle famiglia Scannabecchi fu magnatizio, ed appartenne alla fazione imperiale come vi ci appartenero moltissimi magnati, in conseguenza fu promosso da quella a questa dignità. Vi si oppose però la fazione popolare, ma non potè impedirlo; e soltanto dopo l’elezione costituì un partito abbastanza forte per riuscirvi. La fazione imperiale perseverò nel sostenerlo, ma gli convenne assoggettarsi ad una modificazione eleggendo i Consoli, i quali dovevano però governare di pieno accordo col Vescovo Podestà e cosi l’autorità in lui scemò non poco e si fu questa l’ ultima volta in cui vicendevolmente governarono il Podestà ed i Consoli. L’ elezione di questi Consoli cadde su individui appartenenti a famiglie popolari.
Circa la sedizione che ebbe luogo sotto il governo di Gerardo Gisla è mestieri osservare che allora praticavasi dal Consiglio generale di determinare ogni anno, se nel successivo il governo del Podestà o meglio di un solo o dei Consoli il di cui numero era indeterminato, dovesse continuarsi e cosi questi si eleggevano anno per anno. In allora non era stabilito se il Podestà dovesse essere uno straniero, ragione per cui trovansi molti Podestà Bolognesi. I Consoli però lo erano sempre, e talvolta è accaduto che fossero eletti per due anni mentre il Podestà non lo era che per uno soltanto. È probabile che essendo stato l’Imperatore Enrico l’anno precedente 1191 in Bologna (quando concesse il privilegio della moneta) e che abitò presso Gerardo, questo coll’ appoggio della fazione imperiale ottenesse di esser fatto Podestà e che l’Imperatore stesso glielo ingiungesse. Gerardo fu dunque Podestà per tutto l’ anno 1192 e si adoperò per esserne confermato, come di fatto lo fu nel 1193, nel qual tempo non vi era nè nome, nè carattere di magnati, ma soltanto il fondamento della qualità o meglio – in sola extimatione hominum – cioè di più parenti, che non erano caraterizzati per legge, la quale fu emanata soltanto nel 1230 e che escludeva dal governo, certune famiglie alle quali fu conferito il titolo di Magnato e conseguentemente introdotta quella distinzione.
Nel maggio 1193 scoppiò la sollevazione. Gerardo contro i popolani era sostenuto dai nobili il cui numero era composto di famiglie nuove e non di tal qual richezza, ma che però il maggior numero proteggeva. Il partito del Vescovo inclinava a collocare alle cariche primarie la nobiltà e cioè l’ aristocrazia per restringerle agli ottimati del partito democratico, il quale sollevatosi ne cacciò il vescovo Gisla. La famiglia Geremei allora non riuscì ad essere capo partito popolare, essendo bensì contraria a Gerardo, ma devota all’aristocrazia imperiale.
Questa sollevazione dicesi avesse luogo dopo la disfatta di Enrico in Sicilia che infiuì a quella del vescovo Gerardo e fece espellerlo dalla pretura succedendogli dodici consoli, numero eccedente di fronte a quanto mai furono. Fra questi, alcuni appartenevano a famiglie che poi furono magnatizie, a quei dì però prediligendo un Governo democratico. Quantunque le nostre cronache ci assicurino che Gerardo restò espulso sino a tutto il 1194, pure si trova che nel 1193 si recasse a Surizano o S. Martino di Soverzano che apparteneva a Iacopo d‘ Alberto Orso, già ritornato prima del 1193 e rientrato in possesso della pretura avendosene atti come Podestà da’ quali s’ impara che contemporaneamente eranvi i Consoli, per cui sembrerebbe che dopo il tumulto sorto pel suo ritorno si accordasse che tutti unitamente appartenessero al Governo fino al termine del suo anno di Podesteria Vescovile.
Finito l‘ anno 1193 probabilmente proseguirono i Consoli fino al maggio 1194 per compiere il loro anno essendo stati eletti nel maggio 1193. Dopo quest‘ epoca i consoli più non esistettero ma soltanto i Podestà. Sembra adunque che ciò coincida coll’epoca nella quale Enrico tornò a risorgere; in guisa che il partito democratico vedendosi umiliato da quello dei nobili protetti dall’ Imperatore non osò rialzar il capo prima del 1230 nel qual anno trionfò su tutta la linea. Di qui nacque la legge che escludeva dal potere le famiglie che colla loro infiuenza avessero potuto opprimere il popolo, e così si formarono due consigli; uno del Comune al quale potevano concorrere anche gli stessi magnati, e l’altro del popolo dal quale i medesimi erano esclusi. Entrandovi col volger del tempo famiglie popolari ricchissime, ottenero desse la supremazia. Manchiamo dello statuto che assegnava gli attributti ai Magnati, vediamo però col tempo che una famiglia magnatizi diramata, si mantenne tale quel ramo soltanto che seppe conservare la propria ricchezza, e potenza, a che passarono nel Consiglio de’ popolani quelle cadute in povertà, e nei magnati quelle che possedevano feudi. Per ottenere maggiore schiarimenti sul Governo popolare ed aristocratico basterà consultare l’Ammirato Storia di Firenze tom. primo libro 2 pag. 123 dove trovasi dettagliatamente espressa la differenza che passava fra i magnati ed i popolani.
Nel 1193 ebbe luogo la riapacificazione fra i Bolognesi ed i Ferraresi e precisamente a S. M. di Dugliolo essendo Gerardo vescovo e Podestà. Si vegga Ronconi Catalogus monumentorum Bonon. Mss. tom. 1, pag. 294. Le nostre cronache dicono che l’ elezione dei suddetti consoli seguisse nel 1194, ma è errore perchè fu invece nel 1193. Nell’ archivio della Badia di Santo Stefano ove trovasi un atto portante la data del 4 dicembre del 1193 trovasi – de Mandato Gerardi Episcopi, et nunc Potestatis Bononiae et eius Consulum. – In altri atti poi si trovano soltanto nominati i Consoli senza il Podestà che cominciarono soltanto nel 1194. È bensì vero che questi consoli non durarono tutto quell’anno, ma soltanto fino al compimento della loro elezione siccome superiormente già esponemmo. Spirato quell’ anno la Città elesse a Podestà uno straniero e così perdurò per lungo tempo.
Le nostre cronache dicono pur anco che nel mese di agosto dell’ anno stesso seguì una sedizione con grande Spargimento di sangue in Bologna per rimettere il vescovo Gerardo nella carica di Podestà, ma che essendo rimasto soccombente il suo partito gli fu giuoco forza fuggire dalla Città, ma ciò non è che una applicazione data all’anno 1193 di quanto successe nel 1194.
Gerardo Gisla alli VIII Kal. Junii 1194 pose la prima pietra nella fabbrica della chiesa della Madonna di S. Luca sul monte della Guardia la qual pietra fu mandata da Celestino III, ove trovavasi allora Angelica succeditrice della prima Eremtessa. Queste eremitesse erano secolari, e questi romitaggi case laicali che esse possedevano in loro proprietà diretta. Diffatti nei libri de’ Memoriali si trovano atti e testamenti da’ quali si deduce che disponevano liberamente di tali romitori o per contratti o per ultime loro disposizioni testamentarie.
Nel 1195 Gerardo approvò la fondazione dell’ eremo di Camaldoli fuori porta santo Stefano a circa due miglia di lontananza (così il Sigonio), ma sarebbe mestieri consultare gli Annali Camaldolesi per accertarsene.
A pagine 92 il Sigonio riferisce il privilegio concessogli da Celestino III e dice trovarsi l’originale nell‘ archivio Arcivescovile, siccome alla morte di Gerardo avvenuta ai VII Id. Nov. 1198, ma il Necrologio di S. Giovanni in Monte dice: VII Kal. Nov. obiit Gerardus Episcopus Anno Domini 1198; finalmente parla della B. Lucia da Stifonte. Ma intorno a ciò nulla si sa di certo e nulla pure ne sanno gli annali Camaldolesi.
Al tempo di Gerardo Gisla vescovo seguì I’ unione dei canonici di S. Eutropio con quelli di S. Giovanni in Monte. Quest’ unione si trova annunciata nella bolla di papa Clemente IV nella quale si dice che tale unione seguì essendo priore di S. Vittore Ribaldo. Questo Ribaldo fu fatto priore nel 1175 e cessò d’esserlo nel 1198, dunque l’ unione seguì ai tempi di Gerardo. e questa bolla trovavasi nell’ archivio di S. Giovanni in Monte.
57. D. Gerardo d’Ariosti figlio d‘ Alberto. Dell‘ anno 1187 da atti autentici che sono nell’ archivio dei canonici di S. Pietro si rileva che Gerardus de Riosto era puramente canonico di S. Pietro perchè allora eravi pure l’arcidiacono detto Gerardo, ma persona affatto diversa da lui. Il padre Sarti trovò nella Biblioteca Vaticana un formolario di lettere in cui sonvi varie formole, e fra le altre una che descrive l’inganno usato dal canonico Bonaguisa nell‘ elezione di questo vescovo la qual lettera fu stampata dal detto Sarti nella sua storia dello studio. Il Bonaguisa era uno degli scrutinatori, ed asserì il concorso dei voti in Gerardo quando non era vero.
Sigonio a pag. 93 dice che Gerardo nel 1199 dedicò a S. Bernardo lo spedale fabbricato dai Griffoni. I Gritfoni sono molto più moderni, erano speziali e soltanto nel 1330 cominciasi a trovarli nominati nei libri de’ Memoriali col cognome Griffoni forse ad essi applicato come altra volta dicemmo, dal Griffo che serviva d’ insegna nella loro spezieria. Questo spedale invece fu fabbricato dai frati del terz’ ordine degli Umiliati. Lo stesso dice a pag. 94 che il vescovo Gerardo nel 1208 diede licenze a Sabino prete di fabbricare la chiesa di S. Lucia in Urbe ad claustrum Castellionis e dice averlo ricavato da scritture esistenti nell’archivio di S. Giovanni in Monte, e ciò è vero. Poi a pag. 94 dice che Gerardo Ariosti vescovo rinunciò la chiesa di Bologna nel 1213 cavandosi d’impaccio con queste parole: “Millesimo vero ducentesimo tertio decimo canonicis exationem Decimarum suarum permisit atque honore se abdicavit“; e soggiunge avere estratta quest’ abdicazione dalle cronache. Questa rinuncia non fu spontanea perchè Gerardo fu rimosso dal Papa stesso. La causa si legge nel C litteras de temporib ordinat che è Decretale d’ Innocenzo III ed il Vescovo Albertus ivi nominato era Alberto Uccelletti bolognese. Di questa rimozione ne parla pure speculator de accusatione can. 4 e tutto combina colla lettera che è nel Baluzio, vedi Ep. 16.
I nostri storici e cronisti scrivono che molti dei nostri Vescovi erano stati canonici regolari di S. Giovanni in Monte o di S. Maria di Reno; ma ciò altra volta asserimmo non esser vero. Nessuno però dice che Gherardo Ariosti fosse canonico regolare di S. Giovanni in Monte, come fu di fatto. Il Necrologio di S. Giovanni in Monte dice: – Obiit Gerardus quondam Bononiae Episcopus canonicus et frater noster die Kal. feb. – ma non cita l’anno. Sappiamo con certezza che Gerardo Ariosti prima di essere eletto Vescovo era stato canonico di S. Pietro, ed arcidiacono di Bologna, cosi potrebbe a taluno sembrare che ciò non potesse conciliarsi coll’esser stato anche canonico regolare, ma essendo di fatto si l’una, che l’altra circostanza, conviene persuadersene. Dopo che Gerardo fu obbligato rinunciare al Vescovato, si ritirò a S. Vittore ove fecesi canonico. Lo attesta lo stesso necrologio più sopra citato quando dice frater noster. Ai tempi di Gerardo Ariosti vescovo ebbe principio il convento delle suore e frati di S. Caterina di Quarto che poi passarono a S.Maria Maddalena di Strada S.Donato, poi in S. Giovanni Battista. Ai tempi del medesimo e cioè nel 1210 seguì la fondazione delle suore di Ronzano come rilevasi dalla cronaca Borselli dell’ anno stesso; seguì poi anche nel predetto anno la separazione dei canonici del Monte della Guardia da quelli di S. Maria di Reno, di modo che formaronsi due compagnie separate. Gli atti Avendo il Card. Ildebrando Grassi eretto nella chiesa di S. Salvatore un altare a S. Tommaso di Cantuaria che il Vescovo Ariosti non volleconsecrare quantunque tre anni prima avesse consecrato l’ altro dedicato allo stesso Santo fatto fabbricare da Rainiero Iacopo medico nella chiesa di S. Giovanni in Monte, ne. 1202 Innocenzo III ordinò al Vescovo di Modena che lo consacrasse.
58. D. Enrico dalla Fratta. Sigonio a pagina 94 dice che il clero creò‘ Enrico della Fratta canonico di S. Vittore. Non fu esso canonico nè di S. Giovanni in Monte nè di S. Vittore quantunqe Sigonio lo desuma dalle cronache, e dal Calendario di S. Giovanni in Monte. In quei documenti trovasi soltanto, – 11 Kal. May. obiit D. Henricus Bononien Episcopus frater noster qui sepultus est in ecclesia Sancti Victoris A. D. 1241. – Non dice canonicus ma solamente frater noster. Dopo aver rinunciato al Vescovato si ritirò a S. Vittore. vi morì, ma non si fece canonico. Quelli della Fratta erano famiglia antica e magnatizia di Bologna. Questi fu bensì canonico di S. Pietro ed in un atto del 1200 si trova nominato in qualità di canonico sotto il nome di Enrighetto dalla Fratta. Fu ancora arcidiacono, prima di lui trovasi Gerardo Ariosti arcidiacono che fu eletto vescovo nel 1198. Enrico della Fratta nel 1200 non era ancora arcidiacono perchè siccome superiormente fu detto era semplice canonico. S’ incomincia a trovarlo nominato arcidiacono soltanto del 1203 e si prosegue fino al 1213 nel quale anno fu eletto vescovo; convien dunque credere che fra Gerardo Ariosti, ed Enrico dalla Fratta vi fosse un altro arcidiacono del quale non abbiamo notizia veruna a meno che forse per le discordie civili avvenute in quel tempo non fosse rimasto vacante l’ arcidiaconato. Sigonio a pag. 95 narra la lite avvenuta fra il Vescovo e la Città negli anni 1215 e 1216 e dice avere questa notizia ritratta dai registri del Comune. Si aggiunga che la controversia nacque nel 1215 in causa di S. Giovanni in Persiceto ma si estese nel 1218 per Anzola e Dugliolo luoghi sui quali il Vescovo pretendeva aver giurisdizione. Dopo 15 giorni sembrava appianata qualunque ditferenza, ma il Podestà s’appellò a Roma, per cui la lite andò molto per le lunghe. Nel 1217 ebbe luogo un compromesso fra il Vescovo e la Città, e precisamente ai ’23 di dicembre mercè due giureconsulti che furono Bagarotto ed Ugolini, ma non i ha memoria che accenni ad alcun laudo da loro proferito del quale forse non se ne impacciarono; per cui si vede dai registri del Comune che la controversia perdurò. Nel 1218 Guido Canossa Podestà interpellò il Consiglio se si doveva mandare una commissione in queste terre controverse. Rispose esso li 26 dicembre che si mandasse il podestà salvo però iure Episcopi. Nel 1220 il Podestà fece un de facto mandando a carcerare in quelle terre un reo d’ omicidio. Il Vescovo pose l’interdetto alla Città, poscia deputò il giureconsulto Guicciardino per trattare di unanime accordo, e fu deliberato che il reo fosse restituito, levossi l’ interdetto sine pregiudicio delle sue ragioni per le quali proseguì la lite per il lasso di undici anni e risultando da registri del Comune trovasi pure il laudo proferito nel 1231.
Sigonio a pag. 95 e 96 dice che il Vescovo Enrico dalla Fratta nel 1218 diede la chiesa de’ SS. Iacopo e Filippo fuori porta S. Vitale ai frati Umiliati fatto che dice essere riferito dalle nostre cronache. Anzitutto non trovasi alcun atto antico che parli di questa chiesa sotto il titolo de’ SS. Iacopo e Filippo ma semplicemente sotto il solo di S. Iacopo che è ben altra cosa cominciando soltanto del 1300 a prender l’altro nome: – Vedi Tiraboschi Storia degli Umiliati, – poi non fu in quell’ epoca che gli Umiliati andarono in quella. Fu essa fabbricata dai padri Agostiniani nel 1248 e gli Umiliati non vi passarono prima del 1268 come si vedrà poi.
Sigonio fa menzione della fabbrica che fece questo Vescovo nel Palazzo Vescovile e nella Basilica nel 1220 dicendo averlo imparato dalle nostre cronache; ed a queste converrà riferirsi dacchè non trovasi alcun altro documento in proposito. Sigonio a pag. 96 e 97 accenna ad una lite insorta fra il Vescovo e la Città in causa delle decime; e dice aver ritratta pur questa notizia dalle cronache e dai registri del Comune sotto l’ anno 1231.
Questa controversia per le decime è falsa, perchè tanto negli atti pubblici, quanto ne‘ registri del Comune che il Sigonio cita a conferma del suo asserto non ne è fatta parola veruna; accennando soltanto a quella insorta per le Castella. Il Sigonio certamente non li avrà veduti, e si sarà lasciato invece ingannare da frate Leandro Alberti che la racconta senza inoltrarsi punto nel merito della questione stessa, non facendo distinzione dall‘una all’altra. Egli è ben vero però che in quell‘anno 1231 fu sistemata la questione delle Castella. mediante il laudo già accennato, e gli atti di questa controversia trovansi nel Codice Diplomatico. Sigonio a pag. 98 dice che Onorio III, nel 1219 concesse all’Arcidiacono il privilegio di esaminare ed approvar quelli che addocendi munos assumebantur. Riferisce il privilegio e dice che l’originale si conserva nell’ archivio del Capitolo e ciò è di fatto. Pare che Grazia fosse fatto arcidiacono nel 1219, per cui sembrerebbe che fra l’elezione di Enrico nel 1213 che era stato Arcidiacono e l’elezione di Grazia nel 1219 vi sia stata vacanza od altro arcidiacono, intermedio, ignoto. Noi però ci atterremmo al primo partito perchè allora ferveva sempre disaccordo fra il Vescovo ed il Capitolo per l’elezione dell’Arcidiacono, per cui succedeva che quel posto rimanesse vacante per alcuni anni. Da questo inconveniente ne nacque nel Papa la determinazione di far esso le elezioni. Onorio II poi nel 1221 diresse una bolla al Vescovo e Capitolo di Bologna colla quale ingiungeva che vacando l’ Arcidiaconato l’elezione del medesimo dovesse farsi dal Vescovo e dal Capitolo comuniter o divisim pro ut de jure. Questa bolla trovavasi nell’ archivio del Capitolo, ed accenna ad una spiegata controversia su tal proposito. Ma non ostante a ciò essendo stato fatto Vescovo di Parma l’ arcidiacono Grazia, ed avendo il Vescovo ed il Capitolo tardato due anni ad eleggerne il successore, fu esso eletto dal Papa nella persona di Tancredi arcidiacono, nel qual temperamento proseguì per l’avvenire. Sigonio dalla pagina 99 alla 103 riferisce il privilegio di Federico II imperatore dato nel 1220, nel quale esponesi che il Vescovo ottenne il dominio, e possesso di Cento e della Pieve e di altri luoghi (cosi nell’archivio dell’Arcivescovato). Però in tutto questo traducesi in ispiegata contraddizione perchè a pagina 98 dice che il Vescovo ebbe Cento e la Pieve dal Comune di Bologna nel 1233.
Si trova un atto del 1203 in cui addimostransi le ditferenze che fervevano fra le Comunità di Cento e Galliera pei confini, vedonsi intervenire da una parte le comunità di Cento e della Pieve, dall’altra una sola comunità rappresentata però dal Vescovo in capite. Cosi è a ritenersi che il Dominio sopra Cento e la Pieve era esercitato dai Vescovi molto prima di Federico II ed il Canonico Orsi pubblicò quell’ atto.
Circa tutto quant’altro ne aggiunge il Sigonio a pag. 104 e 105, converrà riferirsi alle nostre cronache ed a quanto ne dice in proposito pag. 105 alla 111. S. Domenico il padre Mammachi negli Annales Ord. Predicatorum. Egli è positivo però ciò che assicura a pag. 112 e cioè che i frati minori di S. Francesco avessero la chiesa di S. Maria della Pugliola, e cioè che ivi dimorassero S. Francesco o S. Antonio, ma che non ebbero la chiesa dell’Annunziata di Porta Stieri (poi S. Francesco) viventi detti Santi. I frati minori non vi passarono che nell’ anno 1237 e cosi dodici anni dopo la morte di S. Francesco siccome ne assicura il Padre Azzoguidi. Sigonio a pag. 114 dice che nel 1217 fu fabbricato S. Martino dell’ Avesa ed averlo rilevato dalle nostre cronache. da notarsi che questo presentemente è S. Martino Maggiore. Era un Ospedale ed all‘infuori delle Cronache non si ha documento certo che asserisca esser stato fabbricato nel 1217. Quest’ Ospedale era governato dai Conversi e Converse che si eleggevano il proprio Rettore. A pag. 114 dice che nel 1221 fu consacrato l’ oratorio di S. Maria degli Alemanni fuori di porta Ravegnana, così detto perchè tu fabbricato da quelli della nazione Alemanna per servire di comodo ospizio ai loro connazionali che andavano a Roma, e tutto ciò è constatato dalle Cronache. È però indubitato che questa Chiesa era residenza e commenda dei Cavalieri dell’ordine Teutonico, ove risiedeva un precettore, nè fu mai solo un ospedale per pellegrini ma tutto al più un’ appendice non l’interno principale di essa fabbrica.
Sigonio a pag. 115 dice che il Vescovo Enrico nel 1240 rinnuciò la Chiesa di Bologna in mano del Papa, ma a costatare l’asserzion sua non esibisce alcun documento autentico. Però questa rinuncia ebbe luogo, siccome è vero che ritirossi a S. Vittore, ma non si fece canonico come già altra volta riferimmo anche riguardo all’ epoca della sua morte. Che rinunciasse la chiesa in mano del papa non si sa, ma si sa bensì che il vescovo a lui succeduto fu per elezione dei Canonici, e non del Papa.
A’ tempi di questo Vescovo e cioè nel 1217, seguì la fondazione del convento di S. Michele in Bosco e nel 1223 i frati e le suore di Ronzano che fino allora erano vissuti senza regola la chiesero ad Onorio III che accordò quella di S. Marco di Mantova congregazione eretta in quella Città (cosi il Borselli).
Nel 1230 le suore di S. Mariae de Humilitate o de Humilitatis ebbero la stessa regola da Papa Gregorio IX, poi furono quelle stesse che chiamaronsi di S. Maria Nova, una cui colonia passò a S. Maria della Pugliola nel 1137 dopo che ne furono partiti i frati minori, la qual colonia fondò il monastero di S. Bernardino. Nel 1239-1241 seguì la fondazione del Convento delle suore di S. Giovanni Battista.
Giova però dire alcun che sopra la Pieve di Cento prima di chiudere questo paragrafo. È opinione invalsa che tanto Cento quanto la Pieve, fossero date al Vescovo in iscambio delle declme; ma però secondo il gius canonico i Vescovi non decimavano, ma bensì i curati. Quando i primi erano poveri esigevano da‘ secondi – Quarta decimarum, – ma questa supposizione vien meno di fronte ad un atto del Cardinal Cossa perchè la distrugge del tutto. Il Vescovo aveva fatta prima locazione ad tempus col Comune di Bologna mediante un’ annua corrisposta, e Bonifacio IX rese questo contratto perpetuo per cui tanto la Pieve che Cento furono sotto la giurisdizione di Bologna. Nella guerra del Duca di Milano contro Giovanni Bentivogli, il Duca mandò Nanne Gozzadini suo funzionario ad occupar Cento e la Pieve e resosi esso padrone di Bologna concedette Cento e Pieve come feudo a Nanne. Il Cardinale Cossa poi tentò di cacciar Nanne che per certo lasso di tempo potè resistere, ma poi gli fu mestieri cedere. Allora il Cardinal Cossa decretò che Cento e Pieve fossero come appannaggio de’ Legati in Bologna pro tempore. Quest’atto del Cossa trovasi unito a molt‘altri decreti da lui emanati; da esso emerge che i Centesi dovevano prestare al Legato quanto anticamente solevano,causa od occasione decimarum dovute al vescovo , per cui tale benefizio rimaneva alla Legazione. E di qui nacque l‘equivoco nel credere che la primitiva concessione fatta dal Comune fosse per le decime che poi si risolvevano in laicali. Quando i vescovi cominciarono a dominarvi, questi paesi non erano che valli bonificate, facendone enfiteusì sopracaricate del canone di decima.
Nel 1218, Onorio III ordinò al vescovo di pubblicare i nomi de‘ Bolognesi interdetti per aver occupato Medicina.
Nel 1219 lo stesso Onorio concedette all’Arcidiacono e Capitolo di Bologna in perpetuo, le chiese ed i plebanatl di Medicina, di S. Maria di Montovolo, di S. Maria di Castel S. Pietro, di S. Pietro di Castagnolo minore e di S. Michele d’ Argelato.
Nel 1220, Federico II imperatore, confermò i beni alla Chiesa di Bologna, siccome riferisce il Sigonio. Il Diploma si conservava nell’ archivio del I’ arcivescovo; e nell’ anno 1226 concedette I’ erezione di un oratorio privato nel Palazzo pubblico della città.
59. D. Ottaviano Ubaldini della Pila, toscano. È segnato dal Trombelli. Il Sigonio, a pag. 115 e 116, inserisce l’atto della postulazione di Ottaviano, fatta dai Canonici.
Egli era canonico di S. Pietro nel 1232, e ciò si prova mediante un atto che trovasi nell’ archivio del Capitolo. Fu arcidiacono e successore di Tancredi, ed eletto circa il 1236. Ugolino Ubaldini, suo padre, era degli Ubaldini di Mugello, del ramo detto della Pila, ma aveva però casa aperta in Bologna e forse quì si recò perchè era perseguitato dai fiorentini. Non fu mai consacrato in causa della sua giovanile eta; perciò appunto trovasi sempre intitolato Archidiaconus et administrator Ecclesiae Bononiensis.
Nel corso della sua amministrazione istituì i canonici di S. Maria Maggiore. Questa chiesa tenevano le monache Benedettine che soppresse, e co’ loro beni formò tante prebende di canonicati. L’atto di quest’ erezione si vide per qualche tempo nell’archivio di S. Maria Maggiore, ma dappoichè venne loro in mente di essere di fondazione più antica, lo tengono nascosto; esso è del 1243. Innocenzo IV con sua bolla appròvò questa collegiata nel 1244, ed allora questo Capitolo cominciò ad avere un Priore. Nel detto anno fu fatto cardinale diacono di S. Maria Nuova, e così rinunciò all’ amministrazione di questo vescovato. Morì nell’ anno 1272. Aveva egli scacciati i monaci di S. Elena di Sacerno, e di S. Alberto di Piano, riducendo questi monasteri in commende che appropriò a se medesimo. Dopo la sua morte, S. Elena di Sacerno fu unita alla Mensa vescovile e precisamente ai 20 marzo 1272, e poi concessa ai frati Serviti. Il monastero di S. Alberto era priorato dipendente dall’ Abbazia di san Pietro di Mugello in Toscana, dalla quale dipendeva pure il priorato di Monzuno. Erano i componenti quella confraternita Vallombrosani, che decideronsi nominare il priore soltanto sotto Eugenio IV.
60. D. Fra, Giacomo Boncambì, figliuolo di Giovanni di Guido di Boncambio. Sigonio, a pag. 117, dice che Innocenzo IV sostituì ad Ottaviano Ubaldini, fatto cardinale, fra lacopo Boncambio, Domenicano e suo cancelliere, e di questa sua collazione scrisse lettere ai canonici. Tutto ciò è vero, ma però conviene aggiungere, che saputasi in Bologna la promozione di Ottaviano al cardinalato, e per conseguenza la sua rinunzia all’ amministrazione di questo vescovato, i canonici di Bologna, che fin d’ allora era in essi il privilegio di eleggere il vescovo, si radunarono; ma non trovaronsi concordi, poichè una parte elesse lacopo, che probabilmente era della famiglia Lambertini, trovandosi nell’atto del Capitolo spesse volte nominato, ed altra parte elesse certo Alberto che non si sa chi fosse. Papa Innocenzo IV, che aveva creato cardinale Ottaviano Ubaldini, conferì il vescovato di Bologna a frate lacopo Boncambio che teneva presso di se come cancelliere, e così prevenne l’elezione del Capitolo, scrivendone in proposito ai canonici, la qual lettera trovavasi nel nostro Codice Diplomatico; onde, jure praerentionis, ottenne il vescovato nel 1244. Quest’ epoca è ben notabile nel caso nostro, perchè in appresso il papa conferì sempre il vescovato di Bologna, e cessò ne’ canonici il diritto di elezione, che unicamente esercitarono ancora ai tempi del B. Niccolò Albergati o almeno vi ebbero parte, perchè la sede era vacante ai tempi del Concilio di Costanza.
Fra lacopo Boncambio era fratello, non figlio, di Filippo Boncambi. Veramente nel pubblico archivio, e cioè nei libri dei Memoriali, vi è un atto nel quale si enuncia: F. lacobus q. Guidonis de Boncambio; ma conviene avvertire che l’uso d’ allora era che talvolta, quando i fratelli erano uomini illustri, la denominazione si prendeva da essi e non dal padre; in questo caso abbiamo da altri atti indubitabilmente il nome di suo padre. Il suo testamento si legge nell’ar chivio delle suore di S. Agnese, nel quale esso chiamasi lacobus Boncambius, quondam Guidonis, quondam Inizellae, ed in questo si fa menzione di Guido suo fratello. Egli lo fece prima di far professione fra i Domenicani. Dagli atti che trovansi nei libri dei Memoriali, si rileva che i Boncambi erano mercanti o cambisti assai facoltosi. Guido, suo fratello, fu celebrato dottore in leggi e nel 1225 fu destinato da Federico II, imperatore, suo Giudice delle appellazioni in Bologna per le cause che oltrepassavano le lire 25. Da ciò può ritenersi che fino a quei dì in Bologna continuava qualche ombra di giurisdizione imperiale, come conseguenza delle convenzioni della pace di Costanza.
Si trae inoltre dalla Matricola de’ Notari che sino al 1239, i notai di Bologna erano eletti o dall’imperatore o dai conti palatini. Dopo l’ anno 1239, nel quale Federico II imperatore fu scomunicato per la seconda volta, cominciò la stessa città ad eleggere i notari, e proseguì fino a quando fu eletto il collegio. Alcuni hanno creduto che questo frate lacopo, prima di farsi Domenicano, fosse dottore, e di fatti nel suo testamento dispone de’ suoi libri, i quali a quei dì non si tenevano per ornamento; nullameno non vi sono prove che attestino questo dottorato. Sembra piuttosto che fosse studente e si convertisse mediante una predica del B. F. Giovanni, Domenicano, che erasi recato a Bologna per pacificare la città con Enrico Dalla Fratta. Il succitato testamento porta la data del 9 aprile 1233, col quale istituisce erede Francesca sua madre, ed ordina un fidecommesso a favore di Guido e Niccolò, suoi fratelli.
Nell’ archivio di Santo Stefano, trovavasi un atto col quale Guido Boncambio, fratello del Vescovo, così s’intitola: Ego Guido Boncambi, Iegum Doctor, et imperialis Judex cognitor causarum appellationis quae excedunt quantitatem 25 lirarum imperialium — che sono triple delle nostre: circa 50 fiorini d’ oro ch’ equivalgono a lire 500 d’ oggidì.
II Sigonio, a pag. 119, dice che nel 1217 diede facoltà a Scolastica, badessa di S. Cristìna di Settefonti, di trasportare il detto monastero nel Borgo fra Strada Maggiore e Santo Stefano; ed egli stesso pose poi la prima pietra nella Chiesa di esso. Si veggano gli Annali Camaldolesi Sigonio dice che la città elesse in suoi protettori S. Domenico e S. Francesco nel 1251; poi soggiunge che il vescovo F. lacopo nel 1256 chiamò i frati della Penitenza di Gesù Cristo, detti del Sacco, e li collocò presso la Porta di S. Mamolo. Questi frati del Sacco erano di un Ordine allora nato ; vi rimasero poco tempo e cedettero quel luogo ai canonici di S. Frediano di Lucca, mediante vendita nel 1283. Il contratto di questa vendita è nell’ archivio di S. Giovanni in Monte, ed in quello dicesi che la congregazione di S. Frediano lo comprò per farvi un ospizio da alloggiare i suoi canonici che recavansi agli studi in Bologna. Sigonio prosegue alla stessa pagina col dire, che frate lacopo vescovo: Registrum Comunis confectum auctoritate sua, salvo ecclesiae jure probavit. Registrum autem appellant volumen in quo omnia civitatis acta relata sunt. Notisi che questo non è Registrum Grossum, ma novum, ed è quello dove per l’ appunto è enunciato frate lacobus q. Guidonis Bonicambii. A pagina 119 dice che III nonas decembris 1260 morì il vescovo, frate lacopo, et propter eximiam probitatem, a suis inter beatos relatus. Si osservino le nostre Cronache, ed il libro dei Santi dell’ ordine de’ predicatori.
Fondazione del convento di S. lacopo di Savena, nel 1247.
Dell’ Ordine Eremitano di S. Agostino nel 1256, passata poi a S. lacopo Maggiore (1267).
Delle suore Penitenti di S. Maria Maddalena, fuori di Porta Maggiore.
Delle suore di S. Giovanni Battista.
Del Monte della Guardia, ossia Madonna di S. Luca, consegnata alle suore di Ronzano nel 1249.
Del monastero di S. Gregorio fuori di Porta Maggiore nel 1254, (ma credesi sbagliata la data).
Del convento delle suore di S. Pietro martire circa il 1252.
Nessun cronista narra che F. Boncambi passasse con truppe nel regno di Napoli a militar per la S. Sede, eppure ciò è accertato. Circa la fondazione dell’Ospedale della Vita, avvenuta in questa epoca, il dott. Trocchi possedeva molti documenti. Pare che questo vescovo eseguisse pure una spedizione in Inghilterra, sul qual proposito convien consultare Matteo Paris e gli atti nel Rismer.
61. D. Ottaviano Ubaldini, detto il luniore, e nipote del cardinal Ottaviano. Sigonio, a pag. 124, dice che fu fatto, vescovo, in questi termini :lacobo inde Octavianus Ubaldinus, ex fratre Octaviani Cardinalis natus, extemplo successit, cum vivente ilio ab Innocentio electus fuisset. È veramente probabile che fosse eletto vivente F. lacopo. Questo Ottaviano nel 1251 era canonico di S. Pietro, e ciò risulta da un atto che è del Capitolo. Gli atti della sua consacrazione si vedono nel Rubeus, Hist. Rav., da quali si scorge che tardò qualche tempo a ricevere la consacrazione stessa. Sigonio, a pag. 125, dice che questo vescovo nel 1265, Fratres servos S. Mariae in Burgo S. Petronii collocavit, e ciò dice averlo estratto dalle cronache e scritture dell’ archivio dei Padri Serviti. La chiesa che ebbero i Padri Serviti, fu quella di S. Maria nel Borgo S. Petronio, o meglio nella strada detta di S. Petronio Vecchio, così chiamata senza potersene dare ragione alcuna, non sapendosi che quivi sia mai stata una chiesa di S. Petronio. Questa chiesa e questa prima località che occuparono i Serviti era in detta contrada, o Borgo S. Petronio, all’ incirca dove in proseguimento di tempo fu la casa abitata dal dottor Beccari, e vi è il portone delle carra dei Padri Serviti. Di tratto in tratto andarono acquistando casamenti in guisa che vennero a riuscire in Istrada Maggiore, dove fabbricarono la loro chiesa; Sigonio, a pag. 125, dice che questo vescovo nel 1284, Fratres Eremitas S. Augustini, de variis sodalitatibus in unnm collatos, ad S. Iacobum constituit, e cita le Cronache. Questo è errore, perchè gli Eremitani non andarono a S. Giacomo nel 1284, .ma prima; a pag. 125 dice che il detto vescovo nel 1293:
Fratribus Carmelitis, quos item Honorius approbaverat, sedem ad S. Martinum ad Aposam tribuit, e che ciò ha ricavato dalle scritture dei frati Carmelitani; ed a pagina pure 125, dice che il vescovo Ottaviano collocò i cavalieri Gaudenti nel Borgo dell’ Oro, nell’anno 1261; ed a pag. 127, che Nicolò III, papa, nel 1279 : Ordinem Canonicorum S. Augustini in Monasterio S. Michaelis in Bosco firmavit, citando le scritture de’ monaci Olivetani di san Michele in Bosco nel loro archivio. È da notarsi che questo asserto è assai equivoco in quanto al titolo di Canonici , perchè i frati che vi stavano fino dal 1217, sono sempre chiamati in tutti gli atti: Fratres. Forse Nicolò III loro confermò questo possesso. Il medesimo, a pag. 127, dice: Anno 1280 Virgines S. Mariae in Monte Guardiae habitum S. Dominici assumentes, atque in monasterio S. Mathiae, nuper a se in Urbe securitatis causa constructo , considentes probavit, e cita la Cronaca della B. V. di San Luca; ma qui pur anco vi è errore. Se s’intende parlare del convento di S. Mattia fuori di Saragozza, esso era già fabbricato fino dal 1254 , se quello dentro in città, questo lo fu dopo; od è altresì indubitato che le suore del Monte della Guardia avevano la regola di S. Domenico fino dal 1278. Bisogna aggiungere che gli Ubaldini erano di fazione Ghibellina; per cui, mentre fervevano discordie nella Città, furono fatti processi contro il vescovo Ottaviano, contro Ruggieri, arcidiacono, suo fratello, e contro tutta la famiglia Ubaldini, la quale compreso anche il vescovo si ritirò da Bologna. Questo fatto seguì nel 1274, o soltanto nel 1270 ripatriarono, previa revoca de’ suindicati processi. Taluno crede che fosse figlio di Ubaldino Ubaldini della Pila, quindi fratello del vecchio cardinale Ottaviano.
62. D. Eclata cioè Schiatta (il Breventani uggerisce Sclatta) Ubaldini, che prima fu canonico d’ Aquileia poi di Liegi. Questi era fratello d’Ottaviano vescovo, suo predecessore, ed ebbe altro fratello per nome Ruggieri, che era Arcidiacono di Bologna e che poi fu arcivescovo di Pisa. Schiatta, era invece canonico di S. Pietro, ed amministratore del monastero de’ Vallombrosani di S. Zaccaria in Trecento, che convien credere fosse allora Commenda. Sigonio, a pag. 128, dice: Cui Schiatta frater, jampridem post mortem Gerardi designati Episcopi, ex canonico, ecclesiae destinatus successit. Si noti poter essere, che vivente Ottaviano fosse designato un Gerardo a vescovo, ma su tal rapporto non si ha documento alcuno. Sigonio, a pag. 128, dice: Hic nunquam Ecclesiam adiit neque consecrationem accepit. Schiatta, prima di esser vescovo dimorò in Bologna, rilevandosi da un atto, che vi era nel 1276; ma dopo quell’anno fu assente trovandosi nei libri dei Memoriali molti suoi atti che sono celebrati per procuratorem. Ma dopo essere stato eletto vescovo venne a Bologna e vi era sicuramente nel 1290, perchè nei Memoriali stessi vi è un atto di detto anno, col quale ei dichiara di aver preso a Bologna una somma di denaro in prestito per andare a Roma, e forse per le spese che dovette incontrare per la consacrazione. Si rileva poscia dai libri succennati che nel 1298 non era in Bologna; perchè in essi trovasi un atto celebrato da uno che s’ intitola: procurator D. Schiattae Episcopi; e qui si noti, che aggiune: electi , donde congetturasi che potrebbe non esser stato ancora consacrato. Sigonio, a pag. 128, dice: Idem. anno 1297 (orig. 1207. Il Breventani a questa riga chiede di correggere un inesistente 1208 in 1298. Io credo che la correzione vada applicata al 1207 portandolo a 1297), testis fuit Messanae cuìusdam constitutionis: e dice averlo rilevato da una bolla data in Messina, senza dire da qual papa, ed il papa Bonifacio VIII, che viveva a quei dì, non si sa che mai sia stato a Messina; poi a pag. 128; soggiunge et Fratrum Servitarum studio deditus, Monasterium S. Ansani in collibus situm concessit. Dice avere ciò rinvenuto tutto nelle cronache dei Padri Serviti. Questo può essere, ma si consultino gli Annali dei Serviti.. Finalmente dice, che la città nel 1297 fece la sua dedizione a Bonifacio VIII, in prova del che cita le cronache; ma ciò non è vero.
Nel Campione Rosso, istromento primo, nell’archivio di S. Francesco, trovasi sotto la data del 25 agosto 1319 il consenso del Guardiano di S. Francesco e del Priore di S. Domenico, entrambi commissari d‘ Ugolino di Montezanico, esecutore testamentario di Schiatta Ubaldini vescovo di Bologna, perchè i beni nel comune di Bagnarola, per L. 1300 comprati dall’ eredità di detto vescovo, si rilascino alle suore di S. Francesco, coll‘obbligo di darne una terza parte all’infermeria di S. Domenico, e l‘ altro terzo ai Padri suddetti come poveri.
63. F. Giovanni Sabelli. Il Catalogo Trombelliano non fa menzione di questo vescovo, ed è questa una grave mancanza in cui è incorso. Il Sigonio, a pag. 129, dice: Postero Anno (1302) Monasterium S. Helenae a monachis S. Benedicti desertum, quod Sclatta quoque facere cogitaret , ex decreto Pontificis fratribus Servitis attribuit. – Dice averlo trovato nelle scritture dell’ archivio de’ frati di S. Giuseppe. Può essere che la cessione di S. Elena di Sacerno ai Serviti accadesse in quest’ anno.
F. Giovanni Sabelli, vescovo, esonerò le suore di S. Maria Maddalena di Val di Preda dalla soggezione al Priore. Nel 1301 ebbe luogo la fondazione di un monastero di monache alla Chiesaccia di Ravone fuori di Porta S. Felice.
64. D. Uberto della famiglia Avvocati. – Il Sigonio, a pag. 130, dice che nel 1303 il vesc. Uberto: Fratres Armenos S. Basilii sectatores, sedem in Urbe quaerentes, ad Portam S. Mamae locavit; e cita le cronache. Il luogo fu S. Spirito, che poi fu denominato l’ Annunziata degli Osservanti; poi dice: Biennio post (1305) Neapoleoni Cardinali, Clementis V. Pontificis successoris, Bonifacii, Legato assensit, qui titulum S. Ioseph, in vico Galeriae situm, Monasterio S. Helenae, quod a Servitis tenebatur, adiunxit; eique, in Monasterii formam redacto, S. Helenae bona attribuit atque sub eundem Priorem Monasterium utrumque subiecit. Si nota che S. Giuseppe dipendeva già da S. Elena o Sacerno, ed era stato dato ai Serviti fino dal 1301, onde questa è una ripetizione fuori di tempo, oppure egli intese riferirla come una conferma. Bisognerebbe quindi consultare le carte dell’ archivio de’ Padri Serviti di S. Giuseppe, ch’esso cita. Poi a pagine 130 dice del vescovo Uberto: Proxima, cioè anno 1306, Henricum Caesarem, Romam ad coronam augustalem accipiendam euntem, hospitem apud se habuit. L’alloggio di Enrico imperatore è erroneo, dacchè non entrò in Bologna ed anzi era inimicissimo dei Bolognesi; è falso, che Enrico venisse in Italia nel 1306, perchè invece fu del 1311 e 1312. Ciò che dice del Pozzo,a carte 130, 131, parlando dell’altare di S. Petronio in Santo Stefano lo prova coll’ allegazione: ex Chronicis. Si aggiunga che ciò provasi anche maggiormente cogli atti pubblici della Città che sono nel Registro del Comune. Circa il 1308 il Comune decretò alzare una chiesa a S. Petronio, che per allora però non si fece. Nell’ archivio vi è un atto comprovante essersi depositate somme dal Rettore della Vita a questo fine. Sigonio, a carte 131, racconta l’ affare dei Templari , e che i loro beni sul Bolognese furono dati ai Cavalieri Ospitalieri, che poi furono di Malta; e cita il Rubeus, Hist. Ravenn. Ciò è vero e si possono vedere questi atti, concernenti i Templari, nelle collezioni dei Concili. Poi dice nella stessa pagina, che il vescovo Uberto, nel 1318, fece le costituzioni del Capitolo di S. Maria Maggiore. Questo pure è vero, anzi i canonici di S. Maria Maggiore le hanno sempre conservate nel loro archivio. A pag. 132 poi cita la fondazione delle chiese della Madonna delle Grazie, ed a conferma di ciò, cita ex lapide, et chronicis. Questo pure è vero; ciò fu nel 1322. A pag. 132, scrive che nel 1311 i bolognesi si sottrassero al dominio della Santa Sede e si posero in libertà. Questo fatto non è vero. Si aggiunga che Uberto prima era stato canonico di Lodi, e che in quel frattempo arcivescovo di Ravenna era un Rinaldo di Concoreggio, che molto poteva presso il papa che pure era stato canonico di Lodi; si crede che egli fosse quello che proponesse Uberto al papa per il vescovato di Bologna. Sotto questo vescovo fu inaugurata l’istituzione della congregazione chiamata Fratres Verecundorum. Il vescovo Uberto aveva due nipoti, uno arciprete di S. Ansano alla Pieve del Pino, per nome Gregorio, l’ altro, detto Ruggiero, arciprete di S. Stefano a Pontecchio, che entrambi furono uccisi nel 1312 alla Pieve del Pino,e credesi dai Conti di Panico. Nel 1315 il Consiglio decretò che sì celebrasse una messa quotidiana presso ciascuna delle quattro croci esistenti nelle strade di Bologna. Nel 1315 si fabbricò la chiesa di S. Martino Maggiore. Nel 1308 si unirono le badie di S. Stefano e di S. Bartolomeo di Musiano. Nel 1317 fu fondato l’Ospedale di S. Giobbe, e nel 1320 quello di S. Francesco e di S. Maria dei Servi, nonchè la Compagnia dei Poveri, ed Uberto fondò due cappellanie in S. Pietro.
65. D. Arnaldo Sabbateri. – Il Sigonio scrive: Huberto Arnaldum Accarisium, civem Bononiensem, anno 1322 clerus populusque, vetere restituta consuetudine, subrogavit. È falso che fosse degli Accarisi, siccome falsa la sua elezione per fatto del popolo e del clero. Negli atti pubblici, sotto la data del 19 maggio 1322, si trova che essendo disperata la salute di Uberto, vescovo di Bologna, la città determinossi a spedire ambasciatori al papa, ed al re Roberto di Napoli, che allora godeva di molt’infiuenza presso la Corte pontificia, onde ottenere che l’elezione, da farsi dal papa, cadesse sulla persona di F. Francesco di Cervio Boattieri, domenicano; a condizione però che le spese, che s’andrebbero ad incontrare pel viaggio degli ambasciatori, si sostenessero dalla famiglia Boattieri. Dagli atti stessi emerge che Uberto poi moriva il 30 maggio 1322. Si trova registrata negli atti, sotto la data 22 luglio 1322, la lettera del Consiglio, diretta al papa. Ma avendo questi preventivamente deliberato altrimenti, il Consiglio tornò a pregare il papa perchè provvedesse in qualche altro modo per il detto F. Francesco Boattieri, che infatti dopo, fu fatto vescovo di Comacchio. Si rileva da tali carte che il Papa aveva già conferito il vescovato ad Arnaldo, prima di avere ricevuta la lettera del Consiglio di Bologna a prò di F. Francesco dunque è falso che fosse eletto dal clero e dal popolo, e si rileva che Arnaldo era della famiglia de’ Sabbateri e non degli Accarisi. Si noti ancora la formola usata nella lettera, cioè: Populus Libertatis, mai prima praticatasi in alcun atto pubblico, ma che cominciò ad usarsi soltanto dopo l’espulsione di Romeo Pepoli, che aveva tentato concentrare in se l’ autorità e restringere il governo all’aristocrazia, per cui volevansi dar segni autentici che il dominio invece aveva base nel popolo. La famiglia Sabbateri è ritenuta francese:Sabatier; Arnaldo è pure nome francese, mentre in italiano si sarebbe detto Rinaldo. Arnaldo e Rinaldo son lo stesso nome, colla sola ditferenza che in francese dicesi Arnaud o Arnald, ed in italiano Rinaldo. La cronaca inserita dal Muratori Rer. Ital. Tom. 18, lo dice: Arnaldus de Charusio, e forse da questo nome ne venne l‘equivoco de’ scrittori o copisti che scrissero Arnaldo de Accarisi tanto più che la famiglia Accarisi era famiglia bolognese; così lo dissero cittadino di Bologna. Il papa allora sedente era da Cahors in Francia, e forse il vescovo era esso pure di quella città; gli scrittori ne interpretarono (fors’ anco per difetto dei copisti che male lo avevano scritto) il nome della patria, male latinizzato, per il casato del vescovo.
Arnaldo, prima di essere vescovo di Bologna, era Collettore de’ frutti della Camera Apostolica, nella Provincia di Ravenna, Milano, Genova; e dagli atti pubblici si rileva che con tale grado risiedeva in Bologna a S. Frediano. Così è a credersi che fosse francese, perchè risiedendo allora la Corte pontificia in Francia, quasi tutti gl‘impieghi si davano ai francesi. Dagli atti pubblici si rileva ancora che fu decretato doversi rendere onorificenze al vescovo pel suo ingresso solenne, e cioè che fosse accompagnato dal Podestà, dal Capitano, Cavalieri, Rettori degli studi, Scolari ecc. Ciò seguì nell’ ottobre dell’anno 1322, nel qual mese ebbe luogo la sua consacrazione. Dagli stessi pubblici atti si rileva ancora che ritenne l’ufficio suaccennato, di Collettore, anche dopo avere ottenuto il vescovato, e che ai 30 maggio 1323 era assente da Bologna per le cure di detto impiego. Si trova inoltre che a cagione di questo impiego aveva contratto un vistoso debito colla Camera Apostolica; e ciò da un atto esistente nel nostro Codice Diplomatico. Nel 1323 fu unita la chiesa di S. Cecilia al convento di S. Iacopo. Sigonio, a pag. 133, scrive: sequente anno (1324) duo nova virginum monasteria comprobavit, unum in Via Majori, prope S. Thomam, alterum in Parocchia S. Mamae sub vocabulo B. Elisabetta reginae Hungariae. Pel primo cita le cronache, pel secondo le scritture nell’ archivio dell’ arcivescovo. Nello stesso anno ebbe origine il priorato di S. Antonio in S. Mamolo. Il Sigonio, parlando di questo vescovo Arnaldo , soggiunge: eodem anno (1324) Turrim Caballorum recepit, quam Passarinus, Mantuae et Mutinae dominus, Episcopo eripuerat. Cita le nostre cronache, ma secondo queste il fatto dovrebbe riferirsi all’anno 1327. Non si sa, se la Torre dei Cavalli sia mai stata del vescovo; gioverà però il dire che vien nominata Torre dei Cavalli per corruzione, – mentre realmente il suo vero nome era Torre dei Cavoli, (vedi Cod. Dipl. anno 1528.) Il convento delle monache di S. Elisabetta, in S. Mamolo, era detto delle Santuccie. Sigonio, a pag. 134 e 135 dice, che papa Giovanni, per ricuperare i domini della Santa Sede, mandò il suo Legato in Italia nel 1326, Bertrando del Podietto, card. d’ Ostia, con grosso esercito. Si noti che il cardinale Bertrando era già venuto in Italia nel1319. Poi a pagine 135 dice, che nel 1327 i bolognesi lo ricevettero in città con grande incontro, e che Consilio Populi habito, urbis imperium tradiderunt. Si noti che la dedizione è vera, ma fu poi annullata. Il medesimo dice, a pag. 135, che il card. Bertrando nel 1330 urbem adversus hostes moenibus confirmavit. La fabbrica delle Mura nel 1330 è vera. – Prima il recinto era un argine di terra e circa quarant’ anni dopo furono alzate ed ingrossate, aggiugnendovi archi e merli. A pag. 135 dice: Ita que Arnaldum, etiam Episcopum, hominem Civitati maximo carum , credo vitio creatum a populo, criminatum removit. Cita le cronache dalle quali ha attinta questa notizia risguardante il governo della Città. però da ripetersi che nel 1328, detto vescovo Arnaldo aveva contratto colla Camera Apostolica un debito di 4800 fiorini d’ oro, a conferma del che, il 21 settembre dello stesso anno, fece un contratto, mediante il quale ipoteca per molti anni la rendita del vescovato, per erogarla nel pagamento di questo debito, libri dei Memoriali. Apparisce, che il cardinale Bertrando, Legato , lo sospese dall’ amministrazione del vescovato, poichè nel 1328 trovasi nei libri dei Memoriali registrato un atto, sotto la data del 13 novembre, anno stesso, in cui si legge: Bernardus Prior S. Amantii, administrator Ecclesiae, seu Episcopatus, a D. Bertrando Card. constitutus. Successivamente trovansi in detto libro dei Memoriali altri atti per tutto l’ anno 1329 e nel principio del 1330, ne’ quali Ber nardo, priore di S. Amanzio, è intitolato Amministratore del Vescovato di Bologna.
Così, al sette febbraio 1330, in detto libro dei Memoriali è registrato un atto, in cui il detto Bernardo, priore di S. Amanzio, è intitolato Amministratore del Vescovato di Bologna, con un compagno chiamato: Georgius de Caymis, Ordinarius Ecclesiae Mediolanensis. Pare poi, che dopo questo tempo, il vescovo Arnaldo rientrasse nei suoi diritti di amministrazione, perchè il più volte citato libro dei Memoriali ha registrato, sotto la data del 17 marzo 1330, un atto in cui si legge: D. Ubertus de Novi, Vicarius Generalis D. Arnaldi. Successivamente poi, sta registrato un altro atto, nel mese di agosto 1330, in cui si legge: Bernardus prior S. Amantii, non più qualificato col titolo d’ Amministratore del vescovato di Bologna, ma solamente con quello di Vice-camerarius (Legato); ed un altro nel mese d’ ottobre dello stesso anno, in cui i procuratori di Arnaldo, vescovo di Bologna, assolvono quelli che avevano presi in affitto i beni del vescovato. Il vescovo Arnaldo, sul finire dell’ anno 1330, fu traslocato al vescovato di Retz (V. Gallia Christiana). Nel 1328 ebbe’ luogo la fondazione del convento di S. Maria degli Angioli, fuori di Porta S. Mamolo; quella dell’ Ospitale, presso S. Benedetto in Galliera, che fu poi trasportato a S. Bartolomeo di Reno; e quello di S. Antonio, presso S. Margarita. Sotto questo vescovo cominciarono le discordie fra Cento e la Pieve, insorte fra quei popolani a cagione delle imposizioni che loro si volevano applicare.
66. D. Stefano Ugonet, narbonese. -Il Sigonio, a pag. 135, scrive: Atque ei Stephanum Agonettum, narbornensem, Cancellarium suum (1330). Notisi ch’era stato arcidiacono di Parma e cancelliere del card. Bertrando, Legato; ed il suo cognome non era Agonettus, ma Ugonet. Da un atto registrato nel libro dei Memoriali, sotto il 20 gennaio 1331, rilevasi che allora era già vescovo di Bologna, chè con detto atto l’ abate di S. Procolo, quello di S.Felice ed altri capi del clero presero a prestito 500 fiorini d’oro, per le spese occorrenti alla consacrazione di D. Stefano. Morì fra il 2 ed il 14 luglio 1332. Vedi quanto scrivesi riguardo al suo successore.
67. D. Bertrando Tessenderi. Sigonio, a pag. 136 , 137 e 138, invece dcl vescovo Bertrando, che non nomina, sebbene lo citi il Trombelli, mette successivamente due altri vescovi, cioè Lambertus de Podietto, cadurcensis , e poscia Albertus Acciaiolus florentinus, dei quali il Trombelli non fa menzione veruna; di più, per provare il suo asserto, non adduce altra citazione. che: ex Chronicis. Questo è colossale errore del Sigonio, scambiando Bertrandus de Texenderio, nipote, ex sorore, del cardinale Bertrando Del Poggetto, Legato, con Lamberto del Poggetto caorsese,ex fratre natum, del detto cardinale. Poco più oltre vedremo l‘equivoco che ha preso per Alberto Acciaiuoli quanto circa questi due che mai furono vescovi di Bologna. Partendo da questo errore, esso nella sua storia distribuisce ne’ tempi di questi due soggetti, supposti vescovi, tutto quanto accadde durante il vescovato di Bertrando Texenderi. L’Ughelli, nell’Italia Sacra, e tutti gli altri nostri scrittori, ingannati dall’errore del Sigonio, v‘ incorsero essi pure. Questo Bertrando, adunque. chiamavasi Texenderius, era nipote ex sorore del card. Beltrandus de Podietto, Legato di Bologna; ed era arcidiacono di Bologna, quando fu eletto vescovo. sebbene giovanissimo. Dagli atti pubblici si rileva che il vescovo Stefano Ugonet era vivo il 2 luglio 1332 e che Bertrando era eletto vescovo il 14 luglio dello stesso anno. Dunque il vescovo Stefano Ugonet morì nell’ intervallo di questi giorni, ed immediatamente dopo la sua morte, il cardinale Bertrando, Legato, in virtù delle facoltà amplissime avute dal papa, conferì il vescovato a Bertrando suo nipote, che nella qualità di arcidiacono trovavasi in Bologna. Gli atti del vescovo Bertrando sono tutti dati inCastro Civitatis Bononiae, cioè nel Castello situato alla Porta di Galliera. Dunque Bertrando, benchè vescovo, non risiedeva nel palazzo vescovile, ma bensì nel Castello, in compagnia del cardinal Legato, suo zio.
Il Sigonio, a pag. 136, dice che il suo Lambertus de Podietto soppresse quattro conventi: Ipse ex auctoritate patrui quataor monasteria infamia flagrantia abrogavit : S. Columbani, S. Gervasii, S. Augustini, et S. Salvatoris quae postea restituta sunt – e si fonda sulla solita citazione: ex chronicis.
La soppressione è vera, ma ebbe luogo per fatto di Bertrando vescovo nè fu solo di quattro conventi, ma di sei, e cioè di altri due che sono: quello di S. Maria di Ravone, e quei di S. Niccolò della Casa di Dio; e tutti sei di suore. La soppressione era già certamente iniziata vivente il vescovo Stefano, e probabilmente sotto l’autorità del cardinale Bertrando, Legato; perocchè il giorno 12 agosto 1332, che segnava appena un mese dalla morte del vescovo Stefano, si trova eseguita non solamente la soppressione, ma trovasi anche il motivo e scopo di questa determinazione, cioè di fondare, colle proprietà di tali monasteri, quattro Colleggiate di canonici con un Decano per ciascuna, e precisamente una per ogni quartiere della città. Esse furono S. Colombano, S. Iacopo de’ Carbonesi, S. Sigismondo, e S. Michele de’ Leprosetti, che come rilevasi da atti pubblici, erano già fondate al 12 agosto 1332. Le suore espulse dai suddetti conventi, allorquando fu poi cacciato il cardinale Legato dalla città , presentarono querela al Consiglio onde loro fosse restituito quanto era stato loro tolto, senza neppure provvederle di pensione. Questo ricorso ebbe luogo nel 1334, come rilevasi degli atti pubblici, ne‘ quali rinviensi che cinque dei suddetti conventi furono restituiti, e soltanto rimase soppresso quello di S. Niccolò della Casa di Dio. Dopo non molto però furono di nuovo rimosse le suore da quattro dei suddetti conventi, rimanendo in possesso del loro, unicamente quelle di S. Gervasio, che perdurarono fin quasi ai nostri dì; mentre i beni dei suddetti quattro conventi furono di nuovo assegnati alle quattro colleggiate. Ciò seguì circa trent‘ anni dopo, per opera del card. Albornoz, Legato, che volle ristaurate quasi tutte le ordinanze del card. Legato Bertrando, siccome rilevasi dagli atti pubblici.
Nel 1332 fu fabbricata la chiesa della Mascarella.
Il Sigonio, a pag. 176, 177, ricorda la rivoluzione, scoppiata nella città, mercè la quale fu scacciato il card. Bertrando. Il vescovo Lambertus(dic’egli, dovendo invece dire Beltrandus), sentendo che il cardinale, suo zio, era ritornato in Francia, lo raggiunse colà, sempre citando però puramente le cronache. Il tumulto nacque il 7 marzo 1334, ed allora il vescovo trovavasi infermo. Da un atto registrato nel libro dei Memoriali, sotto la data del 27 marzo 1334, che tratta precisamente di un contratto stipulato dallo stesso, si vede che così infermo erasi fatto trasportare nel Castello di Porta Galliera, per essere più sicuro e garantito. Dopo risanato egli pure partì per la Francia. Il vescovo Bertrando, essendo dunque assente e dimorante in Francia, deputò per le funzioni episcopali, nella diocesi di Bologna, Giovanni Acciaioli, vescovo di Cesena; ed ecco da dove nacque l‘equivoco del Sigonio per due circostanze, cioè, l’una sul nome, che era Giovanni e non già Alberto, l’altra nel crederlo vescovo di Bologna, quando effettivamente non era che semplice Amministratore, deputato dal vescovo. E tuttociò provasi mediante gli atti seguenti registrati nei libri dei Memoriali. Uno è sotto la data del 17 agosto 1335, così espresso: D. Ioannes Episcopus Cesenae et Administrator Episcopatus Bononiae l‘ altro sotto quella del 29 ottobre 1335, nel quale Giovanni produce la patente fattagli dal vescovo Bertrando, portante la data del settembre, la quale però non era la prima, perchè altra già glie n’ era stata spedita, quindi una sola rinnovazione od aggiunta di facoltà o commissione generale. Nel 1334 si fondò la Certosa e nel 1336 la compagnia di S. Maria della Morte.
Il Sigonio, a pag. 138, dice, che fra il vescovo Acciaioli Iacopo Taddeo Pepoli nacque contesa: perniciosa cum eo altercatione contracta, in qua se inter se percusserunt, metu urbe prougit; Episcopium per tumultum ab accensa factione expilatum. – E cita: ex Chronicis. – Il fatto fu che Iacopo Pepoli diede un pugno al vescovo Acciaioli, ed il vescovo si rivoltò e ferì il Pepoli. Negli atti pubblici trovasi quanto segue: “Questa lite nacque in agosto 1336. Il Vescovo fuggì. Furono eletti 12 sapienti per vendicare l’ingiuria fatta dal Vescovo al Pepoli nel Palazzo Vescovile, e fu stabilito un premio a chi desse il Vescovo nelle il lui mani”. – Ecco ancora quanto si legge negli Atti pubblici dello stesso anno: Decernitur ut lnjurae factae D. Iacobo de Pepulis sint et intelligantur ab omnibus tamquam offensae factae generaliter toti Popolo et Comuni Bononiae; praeterea constituitur premium, illi qui principaIem malefactorem adduxerit ad eum, pecuniae quantitatem, quae D. Thadaeo videbitur.
Si esentò da ogni pena il Vicario, che non ne aveva colpa, e che era stato derubato nel tumulto; e questi era Guido Settimio, che fu poi arcivescovo di Genova, al quale il Petrarca scrisse più lettere. E tuttociò rilevasi dagli Atti pubblici. Il Sigonio, a pag. 138, scrive: Albertum vero Episcopum cum ad se venisset (dal Papa), Episcopum Nivernensem constituit – e cita : ex Registro canonicorum. Si noti che il Sigonio continua sempre nel primo errore per un anno, poi ne aggiugne un secondo, quello cioè che Alberto (Gio. Acciaioli) divenisse poi vescovo di Nivers. Colui che fu trasferito al vescovato di Nivers, fu il vescovo di Bologna, Bertrando Tessenderi; e ciò ebbe luogo nel 1339. Giovanni Acciaioli, sebbene fuggito da Bologna, proseguì nondimeno per un anno a tenere l’ amministrazione di questa Diocesi, ed in sua assenza vi deputò un Vicario. Ma quando Taddeo Pepoli divenne Signore di Bologna, il vicario del vescovo partì pure , e Bertrando Tessenderi deputò allora ad amministratore del suo vescovato di Bologna un Bonaccursius abate di S. Procolo, il quale proseguì a coprire questa carica lino al 1339, all’anno istesso, cioè, in cui Bertrando fu trasferito a Nivers. (Veggasi Gallia Christana). Il detto abate Bonaccorso era vicario nel 1337, e nel 1338 è come tale nominato in un atto registrato ne‘ libri dei Memoriali, che è un compromesso fatto dal vescovo Bertrando col vescovo Acciaioli, per differenze fra loro insorte e che per torre di mezzo delegarono in arbitro assoluto il celebre giureconsulto Giovanni Andrea. Nel 1339, il 16 febbraio, Bertrando era ancora vescovo di Bologna. ciò risultando da un atto registrato nei libri dei Memoriali sotto lo stesso anno.
e giorno, nel quale F. Polone priore di S. Barbaziano, è qualificato Economo del vescovo Bertrando. A quei dì la chiesa di S. Barbaziano era sede di Canonici regolari. Nel 1339, al 3 di giugno, Bertrando Tessenderi non era più vescovo a Bologna, e ciò ritraesi da un atto registrato nei libri dei Memoriali, sotto lo stesso giorno ed anno in cui è menzionato: Bonaccursius abbas, Vicarius Capitali, sede vacante. – Da un altr‘altro atto dei suddetti libri, si vede che il vescovato di Bologna era tuttora vacante all’ 11 marzo 1340.
68. D. Beltramino Parravicini, milanese. — Il Sigonio dice che il papa dichiarò Taddeo Popoli: Urbis Vicarium. Il papa non gli diede mai questo titolo, ma soltanto quello di Conservatore, per tre anni. (Veggansi gli Atti del nostro Codice Diplomatico). Beltramino fu fatto vescovo di Bologna, circa la fino del 1340; per cui la sede-vacante durò .per più di un anno. Prosegue il Sigonio, che il vescovo Beltramino: sequenti autem anno(circa 1341), absens XV Kal. Maii, Canonicis a Pontifice impetravit ut Archidiaconatum in demortui sufficere locum possent, quod Honorius Il], diplomate jam exoleto, indulserat. E cita il Diploma che è nell’ archivio dei canonici. Si noti che la Bolla di Onorio III concedeva l’elezione dell’ Arcidiacono al Vescovo, ed al Capitolo cumulative; ma questa Bolla non ebbe effetto perchè Onorio III, che la fece, alla prima vacanza, conferì esso l’arcidiaconato. In quell’ epoca era arcidiacono Raimondo di S. Autemio, francese, che nel 1334 era fuggito da Bologna con gli altri francesi, quando scoppiò la rivoluzione contro il cardinale Bertrando, Legato; ed in questo stesso anno era tuttavia assente, ma percepiva gli emolumenti dovutigli per la sua carica. Dopo la di lui morte, il papa conferì quest’ufficio ad Agapito Colonna, per cui neppure questa seconda Bolla o concessione ebbe effetto. Il Sigonio, a pag. 139, scrive: anno proximo, (1342) aedes Monachorum Armeniorum, nonis martii, per Dulmensem(Dulma, in Bosnia) Episcopum consecrata. E cita: ex Chronicis — Ciò credesi vero. Nel 1343 seguì la fondazione dell’Ospedale di S. Onofrio, detto poi dei Putti della Maddalena. Il Sigonio, a pag. 140, dice che ebbe luogo la restituzione delle decime di Bagnarola al vescovo e alla chiesa di S. Giacomo. Nel 1345 i Serviti si trasportarono ove presentemente stanno. Ricorda il Sigonio, a pag. .140. la peste che cominciò nel 1347 e che infierì nel 1348. Nel 1345 venne fondato il convento delle suore de’ SS. Lodovico ed Alessio. Nel 1347 le suore di S. Colombano furono di nuovo espulse dal vescovo, per rimettervi i canonici; finalmente si aggiunge che Andrea Maineri , priore di S. Maria Maggioro, era Vicario Generale presso questo vescovo, probabilmente di famiglia o per nascita milanese.
69. D. Giovanni Nasi, di Gallarate nel milanese. – Il Sigonio, a carte 143, dice che nel 1347 i figli di Taddeo Pepoli vendettero Bologna ai Visconti,approbante populo (cita: ex chronicis); ma ciò non è vero, dacchè il popolo invece fu forzato dalle truppe, che a mezzo de’ Pepoli si erano introdotte in Bologna. Fu data la Conforteria alla Compagnia della Morte, la quale fondò la sua chiesa detta di S. Giovanni Battista del Mercato. Nel 1352 pone il Sigonio la fondazione della chiesa del Buon Gesù in S. Mamolo, ed a carte 144 scrive che Giovanni Nasi, vescovo, (1355) duo coenobia eflificari assensit, unum mulieribus meretricibus, alterum viris blasphemis conversis. lllis Iacobus Calderinus duas domos ad habitandum in vico Saragotiae dedit, et S. Magdalenae vocavit. Hi extra portam S. Mamae, ad Balneum Marinum hac occasione sederunt. – aggiungendo il racconto di un miracolo, e citando: ex chronicis. Si conviene sul primo convento, che fu quello conosciuto sotto l’invocazione di S. Agostino; ma del secondo, degli uomini bestemmiatori, nulla se ne sa. Il Sigonio, a pagina 145, scrive che Giovanni Naso, vescovo di Bologna, nel 1359: idem aquilonare Episcopium instauravit, atque ei aedern continentem SS. Sinesii et Theopomtii junxit – e cita: ex lapide. Si noti che questa chiesa era sulla piazzetta dove sono ora le stalle e rimesse dell’arcivescovo; e non ha guari vi si vedevano tuttora gli stemmi del vescovo Nasi. Nel 1359 la canonica di S. Maria di Reno fu rovinata dall’ esercito di Bernabò Visconti. Furono vicari di questo vescovo: Giovanni Magenta, milanese, canonico di S. Sigismondo: Bernardo Cattenacci, parmigiano, già rettore degli Studii quando fu fabbricata la chiesa delle Grazie ; e Lorenzo del Pino, che da giovane fu canonico di Volterra ed ebbe il vicariato a Bologna nel 1359.
70. D. Emerico Chatty, limosino. – Nel 1358 era Cantore nella chiesa di S. Martino di Tours, e venne a Bologna come Tesoriere generale di S. Chiesa. Fu poi fatto vescovo di Volterra, indi promosso al vescovato di Bologna. Il Sigonio, a pag. 147 e 148, segna nel 1362 la concessione del Collegio di Teologia, emanata dal papa; e ne riferisce l’Atto, che trasse ex actis Theologorum. Nel 1364 fu fondato il convento di S. Michele in Bosco, e nel 1369 quello dei Celestini. A pag. 150, dice che il vescovo Emerico, nello stesso anno, Bartholomeum Mezzavaccam, civem bononiensem, qui post Cardinalem evasit, iureconsultum delatis honoris insiqnibus declaravit, – e cita: ex chronicis. È cosa da osservarsi, che il vescovo, con il Capitolo, adottorò il Mezzavacca, perchè l’ arcidiacono allora era assente, non per servizio della chiesa nè per causa leggittima. Nel 1370 furono stabiliti i Monaci Camaldolesi a S. Maria degli Angeli, fuori di Porta S. Mamolo. A carte 150, il Sigonio racconta che: Aimericus vero ecclesiam altro deposuit – e ciò nel 1371. Emerico rinunciò perchè fu fatto vescovo di Limoges. Il Ghirardacci ed altri nostri scrittori dicono che fu ucciso a Cento, ma è pura favola. La sua rinunzia non diede nel 137l,_ma nel 1372; e morì vescovo di Limoges, nel 1390, la vigilia di S. Martino – Veggasi Gallia Christiana, T. 2, pag. 534.
71. D. Bernardo Bonnevalle, limosino. – Fu eletto vescovo di Spoleto nel 1371. L’ Ughelli nella sua opera sui vescovi di Rimini, e precisamente nel tom. 2, scrisse che Giovanni Bonnevalle, già canonico di Bologna, ed auditore del cardinale Albornoz fu fatto vescovo di Rimini nel 1367; poi dice che morì nel 1375 Esso comette due errori perchè il suo nome era Bernardo, non Giovanni; poi non mori in quell’anno, ma invece fu trasferito al vescovato di Spoleto. E così non lo annovera fra i vescovi di questa diocesi. La Bolla della collazione fatta a Bernardo del vescovato di Bologna, che si trova nel Codice diplomatico bolognese, dice chiaramente che fu trasferito a Bologna dal vescovato di Spoleto. Egli non prese possesso sì presto del vescovato di Bologna, perchè in un contratto che si trova registrato nel libro dei Memoriali del 1375, trovasi scritto che in remotis agebat. Eccone il testo: D. Iacobus de Castro Britonum , Decretorum doclor, Vicarius Generalis D. Bernardl Episcopi in remotis agentis. Questo Iacopo era già stato vicario anche del vescovo Emerico. Il Sigonio, a pag: 150 e 151 , narra che il vescovo Bernardo celebrò il Sinodo nel 1374, al quale Sinodo il Sigonio stesso fa intervenire Filippo Caraffa, arcidiacono, che troviamo realmente rivestito di questa dignità anche del 1373.
Il Sigonio, a pag. 151, dice che nel 1375 Cento si ribellò contro i suoi magistrati e si sottopose a Bologna. Si osservi che i centesi effettivamente tumultuarono ma non si sottoposero a Bologna, la quale allora era suddita del papa, ed aveva i Legati. L‘ atto di concordia dei centesi, per mezzo del quale si effettuò la divisione delle comunità di Cento e Pieve, è un prezioso documento che si conserva nell’archivio di Bologna, dal quale lo trasse e copiò il P. Melloni. Nel 1375, i fiorentini ed i milanesi fecendo guerra al papa: Aimericum, bononiensem modo episcopum, quia Quaestor pontìficis erat, ceperunt, ac mori maturius coegerunt, cosi soggiunge il Sigonio. Questo è errore , perchè Emerico era in Francia, nel suo vescovato di Limoges, e non ebbe malanni di sorta. A pag. 152 dice che i bolognesi. nel 1376, tumultu per quosdam nobiles excitato, Legatum ipsum urbe egredi coegerunt, ac Repubblica instituta, quam Statum Ilibertatis vocaverunt, duodecim Antianos et Vexilliferum Justitiae creaverunt. Questa riforma della libertà è vera, ma la ragione che ve li spinse si fu la tema che papa Gregorio, penuriando di danaro, volesse dar Bologna al marchese d‘ Este; ed infatti era già stata iniziata qualche trattativa dal Legato nel 1376. Poi, a carta 152, soggiunge: Qua re accepta (1377), Gregorius subito exercitum ad recuperandam Bononiam misit, ac mox ipse cum tota aula in Italiam remigravit, ac proximo, pace petentibus bononiensibus reddita, urbem ipsam recepit. – Pare positivo che questo avesse luogo nel 1377. Lasciò il Papa per cinque anni il governo in mano de‘ magistrati, con patto però che giurassero fedeltà alla Santa Sede; deputò come suo vicario Giovanni da Legnago; per riceverne il giuramento. Ma è positivo che questi non avea giurisdizione alcuna ed abitava nella sua casa particolare, considerando il suo mandato esclusivamente per ricevere il giuramento in discorso.
A pagina 152, il Sigonio dice che il papa Gregorio XI. nel 1377, in aedibus Pepulorum tam exulantium, Collegium alterum, Egidii exemplo, instituit, quod Gregorianum vocatur, magnis vectigalibus ad alendos quinquaginta scholares, instruxit. E’ da osservarsi che l‘ istituzione del Collegio Gregoriano trovasi per esteso descritta nel nostro Codice diplomatico, ma però è incontestabile che tutto ciò debba aver avuto luogo prima del 1377, perchè nel libro dei Memoriali trovasi una convocazione, sotto la data del due agosto 1376, nella quale venne chiamato anche il rettore del Collegio Gregoriano. Questo collegio era allora stabilito nelle Case vecchie, o Palazzo vecchio de’ Pepoli, i quali, rimpatriando poi, ne ripresero (orig. ripresso, errore di cui il Breventani non si accorse) possesso, sicchè i collegiali dovettero andarsene altrove. In progresso di tempo il collegio stesso fu abolito ed i suoi beni furono applicati alla Mensa del Capitolo di S. Pietro.
A pag. 152, il Sigonio dice che il vescovo Bernardo morì nel 1378. Ciò è erroneo, e nell’errore stesso cadde il Ghirardacci, aggiungendovi esser morto quattro giorni dopo aver fatte le esequie di papa Gregorio. Nel libro dei Memoriali si trova un atto sotto la data del 6 gennaio 1378, il quale nomina Bernardo vescovo, che si era assentato da Bologna fino dal 1375; per cui non poteva certamente esservici nel 1378, di gennaio; e neppure nel settembre, perciocchè nello stesso libro dei Memoriali si legge un atto del 29 settembre 1378, nel quale si dice: Convocatis et congregatis Sororibus Conventus S. Iacobi et Philippi in burgo S. Mamae (detto ancora: di S. Elisabetta) quae sorores vocantur – Suore Santuccie, mandato D. Tiburgiae de Mutina, Abatissae (erano Benedettine) vendunt bona, obtenta licentia a D. Nicoluo de Uzzano, Procuratore R. in Christo P. D. Bernardi Episcopi Bononiensis ac Principis in remotis agentis. Poscia, nel novembre del 1378, Bernardo non era più vescovo di Bologna, perchè nel detto libro dei Memoriali sta registrato un atto sotto la data del 4 novembre 1378 , nel quale si legge: D. Bartholomeus quondam Bonaccursii, Abbas Monasterii S Felicis, R. in Christo Patris D. Philippi. Dei et apostolicae sedis gratia, Bononiensis Episcopi Vicarius et Commissarìus generalis. Dunque in Novembre 1378, Bernardo non era più vescovo di Bologna ma non deducasi però che fosse morto. Nella Gallia Christiana, tom. VI, pagina 453, si parla del Bonnevalle, della sua nascita, delle cariche che ottenne; e si raccoglie che nel 1378 era vescovo di Nimes, poi nel 1398 di Limoges. Credesi che nello scisma aderisse al papa francese, per ciò fosse espulso dal vescovato di Bologna. Ed infatti, nella Gallia Christiana, al tom. II, pag. 504, sta scritto che fu scacciato. Ivi a pag. 534 è segnato che poi morì nel 1403.
Nel 1373 seguì la fondazione di uno Spedale, detto S. Giovanni Battista, a Fossa Cavallina, che poi fu unito all’infermeria dei PP. di S. Francesco. Circa il 1380 fu istituito il Priorato secolare di S. Bartolomeo a Porta Ravegnana.
Per la serie dei fatti di Cento e Pieve, che successero a quei dì, si trova che verso la fine del 1375 i centesi, allora uniti anche ai pievesi, tumultuarono contro il vescovo, ma non durarono molto; che anzi nello stesso anno vennero a composizione. Furono, multati dal vescovo per aver essi cacciati i di lui ufficiali; la multa era ripartibile fra Cento e la Pieve. Bologna allora era suddita del papa e vi era un Legato. A quest’ epoca, Princivalle Bottrigari con vari fuorusciti, profittando di questi tumulti occupò Massumatico.
Nel 1376, prima di marzo, il vescovo co’ suoi ufiiciali ricuperò Massumatico, aiutato dai centesi, i quali allora eransi dunque già con lui riconciliati. Il Legato pure porse mano al vescovo. In quest’ occasione i centesi e pievesi commisero qualche furto in Massumatico, che il canonico Erri attribuì ai soli pievesi.
Fu nel marzo 1376 che Bologna si emancipò a libertà, e verso luglio il vescovo separò le comunità di Pieve e Cento. E ciò‘ per tenerle l’una dall’altra segregate, epperò in forza per ribellarsi; e tale divisione fece confermare da Gregorio XI. Tutto ciò ebbe luogo prima dello Scisma.
Nel 1378 fu eletto papa Urbano VI. Nell’ intervallo fra questa elezione, e quella dell’ antipapa, seguìta nel giugno del suddetto anno, i bolognesi col pretesto che a Cento si rifugiassero dei banditi, occuparono Cento , senza toglier nè però il dominio al vescovo, ma solo per tenervi guarnigione, come praticasi nelle piazze di confine. Gli uffciali del vescovo, otto giorni dopo quest’ occupazione, s’ accordarono colla Comunità della Pieve, la quale era già separata da Cento. Fra le promesse da essi fatte, fuvvi quella di una somma acconto su quanto non avevano pagato per i danni della rivolta e per la multa, Si dichiarò poi che il vescovo avesse il dominio assoluto, e che si inalberasse lo stendardo del vescovo di Bologna , recante due chiavi e una mitra. Ma tutto ciò seguì colla sola Pieve, e avvendo otto giorni dopo l’occupazione di Cento da parte dei bolognesi, mostra che s‘ intese così dare dal vescovo un contraccolpo a quella. In settembre poi del 1378, lo scisma obbligò Bernardo ad assentarsi; ma null’ altro di notevole accadde durante il suo governo vescovile.
72. D. Filippo Caraffa, napolitano. – Era arcidiacono di Bologna già nel 1373, siccome rilevasi da un atto nel quale è nominato Filippo di Pietro Caraffa, Probabilmente egli fu nominato arcidiacono, quando Simone da Brossano , suo predecessore, venne fatto cardinale. Parlando del vescovo Bernardo, si è ricordato un atto dal quale risulta che Filippo era vescovo di Bologna il 4 novembre 1378, perchè qualificato col titolo diEpiscopus; e parimente lo è in altro del libro dei Memoriali, registrato sotto la data del 24 novembre 1378. Ma questa è l’ ultima volta ch’ egli sia appellato vescovo perchè tosto dopo, essendo stato fatto cardinale, si comincia a trovarlo col titolo di Administrator Ecclesiae Bononiensis, in un atto del 2 dicembre 1378, che sta nel detto libro de’ Memoriali.
Il Sigonio, a pag. 158, dice che Filippo, XIV Cal. Octobris, con Bartolomeo Mezzavacca, bolognese, vescovo di Rieti, fu elevato al cardinalato; e che il Papa loro mandò il cappello cardinalizio che Giovanni da Legnago con grande pompa pose loro in capo, nella chiesa di S. Domenico; e tutto ciò ei dice averlo ricavato dalle cronache. Intorno a ciò è da notarsi: che non usando allora i cardinali intitolarsi Episcopi, ma Administratores Ecclesiae, e trovandosi Filippo ne’ sovrariferiti atti appellato Episcopus,il 4 ed il 24 novembre 1378, non sembrerebbe credibile che la sua promozione cardinalizia avesse potuto succedere nella xii Kàl. octobris. Sarebbe poi da prendersi in seria considerazione, se a quei dì fosse già nelle consuetudini della Corte di Roma lo spedire questi cappelli cardinalizi,. come pure se fessevi probabilità che Bartolomeo. Mezzavacca in quel epoca potesse trovarsi in Bologna, essendo vescovo di Rieti.
Crede il Sigonio (pag. 153) che, ad istigazione dei fiorentini, i bolognesi si posero in libertà, nel 1379: Postero anno (1379) rursus est mutata Respubblica. Bononienses, a Florentinis impulsi, vi nonas octobrìs , praetento schismate , quod in Ecclesia versabatur, iterum se se foederatis applicuerunt , ac liberos se, non hostes Ecclesiae praeferentes; Statum Libertatis redintegrarunt. E si fonda sulle cronache. È falso che si facesse cambiamento veruno nella Repubblica, dacchè perdurava tuttavia il quinquennio accordato da Gregorio XI , ed i fiorentini anzi eransi rappacificati col papa. Spirato il quinquennio, i bolognesi ne chiesero la conferma ed il Vicariato. Negli Atti pub. è accennato la Deputazione spedita a tal effetto al papa nell’anno 1382. Il Papa non volle concedere il Vicariato, ma si accontentò che il governo rimanesse ai magistrati per un altro quinquennio, mediante pagamento però dello stesso annuo censo di diecimila fiorini. Non si conosce il nome del vicario destinato a ricevere dai magistrati il giuramento, che Giovanni da Legnano era già morto. Nel 1587, spirato l’ altro quinquennio, la città tornò a chiedere ulteriore proroga ed il Vicariato; ma il Papa non aderì formalmente, e soltanto tacitamente si proseguì nel passato sistema.
A pag. 153 e 154, il Sigonio scrive che i Bolognesi: itaque sequente (1380) Nummum Aureum percusserunt, in quo ab uno latere Leonem vexilllum Libertatis tenentem , cum litteris – BONONIA DOCET; ab altero , imaginem cum nomine S. Petrl finxerunt. Com’ è noto, S. Pietro era il protettore antico della città, e l’ impronta descritta di questa moneta era il solito antico sigillo comunale, sul quale vedevasi rilevata l‘ effiiie di S. Pietro; per cui non è vero che lo adottassero in quell’ epoca i Bolognesi, per protestarsi con tal mezzo neutrali fra i due papi. Bene è vero esser la prima volta allora, che in Bologna fosse coniata moneta d’oro – detta allora Bolognino d’ oro – e che in progresso di tempo fu poi lo Zecchino.
Il Sigonio, a pag. 154, dice che nel 1380 Clemente, antipapa, spedì un suo Commissario ai bolognesi, promettendo loro il Vicariato, se lo avessero riconosciuto; ma che essi ricusarono di aderirvi. Poi il medesimo aggiunge: Quod responsum adeo gratum Urbanus habuit , ut eis Comitatum Imolae per Philippum Episcupum assignavit. Si osservi, che, molti anni prima,i Bolognesi avevano già occupata la contea d’ Imola; poi l‘avevano restituita mercè l’accomodamento seguìto con Gregorio XI. In questo tempo di scisma tornarono da occuparla, e chiesero al papa che loro la confermasse. Urbano promise di farlo, purchè i popoli di detta contea ne fossero stati contenti. Ad esplorare la volontà loro, fu destinato il card. Caratfa, che ne ottenne l’assenso; ed il papa aderì purchè i bolognesi proseguissero a ritenerla senza il titolo di Vicarii. Ma tutto ciò ebbe luogo nel 1378, e non del 1380, come, per errore, asserisce il Sigonio. A carte pure 154, il Sigonio riferisce la traslazione della testa di S. Domenico. che credesi vera; ciò però bisognerebbe verificare con l’appoggio delle migliori cronache; ritiene avvenuta la morte di Giovanni da Legnano nel 1385, alla qual notizia vi è da aggiungere che morì di peste. A carte 155, dice che il cardinal Filippo, vescovo, morì di peste nel 1389. Scrive che il papa francese fu eletto il 17 settembre 1378, e l‘occupazione di Cento e Pieve, per fatto dei bolognesi, avvenne il 16 ottobre 1378, cacciandone gli ufficiali che tenevano le terre stesse soggette al papa. Questo racconto non regge punto, quando si prenda in confronto l’annotazione fatta per il vescovo Bernardo. L’ occupazione seguì in luglio, poi i bolognesi comprarono delle case per farvi un Forte: si parla però soltanto di Cento, non della Pieve che era direttamente sotto il dominio del vescovo.
Addì 16 ottobre 1378, Checco di Berolino, da Cento, vendette ai bolognesi un tratto di terreno per fabbricarvi la detta Rocca. I bolognesi pregarono il papa di confermare loro il dominio di Cento e delle Pieve, nello stesso tempo che gli addomandarono la contea d‘ Imola. Il papa acconsentì, mediante però l‘ adesione del vescovo di Bologna. Trattarono quindi con questo direttamente e convennero che egli loro darebbe Cento in locazione ad biennium, mercè la corrisposta di annui fiorini duemila d’ oro, equivalenti a due mila zecchini, e da pagarsi in due rate. Negli Atti pubblici trovasi questa locazione, stipulata nel 1381, ma non risultando dall’istromento stesso che il vescovo facesse richiesta de’ frutti dei due anni scorsi, sarebbe a presumersi che avessero già fatta una prima locazione fin dal 1379. Finchè visse il card. Caraffa si andò confermando ad biennum, ma a tergo di quest’ istromenti di locazione, vi è sempre la clausola nella quale il vescovo dichiara i Magistrati di Bologna suoi Vicari in detta terra.
È da notarsi che i bolognesi non avevano chiesto il dominio della Pieve e Cento, ma soltanto la custodia, per loro maggiore sicurezza. Il papa rispose che avrebbe scritto in proposito al vescovo, affinchè trovasse un temperamento per la sicurezza loro; e questo si fu quella della locazione, in cui però trattasi solo di Cento. Urbano VI revocò la divisione di Cento dalla Pieve, fatta dal vescovo, la quale cionullameno ebbe effetto. Non eravi caso a discorrere sui frutti del biennio, perchè i bolognesi, non avendo che puramente la custodia di Cento, i frutti erano sempre stati ritirati dal vescovo. Il Ghirardacci cerca nel 1380 il fatto di Gualengo Ghisilieri, ucciso alla Pieve; ma questo ebbe luogo intermediatamente, e quando trattavasi l‘accordo col vescovo, sembrando che i bolognesi tentassero avere la custodia anche sulla Pieve, e che i pievesi resistessero. L’ atto è nelle Provvisioni in capreto dell’ archivio. I nostri storici dicono che Filippo Caratfa, card. fu vescovo ed in pari tempo Legato di Bologna, ma non era questa sua Legazione particolare per Bologna, bensì, egli fu Legato della S. Sede per la Lombardia tutta.
73. D. Cosma Miqliorati, di Sulmona, e D. Bartolomeo Raimondi, abate. Il Sigonio, a pag. 155, scrive: qua re accepta, Urbanus Cosmatum Melioratum sulmonensem sufecit, qui a populo repudiatus non iniit. Inde, mense octobri mortuits, Bonifacium IX, item neapolitanum, successorem adeptus est; qui in exitu decembris Cosmatum, Presbyterum , Cardinalem tituli S. Crucis in Hierusalem declaravit, qui propterea se Cardinalem Bononiae nominavit – cita Platina, le Cronache, Iacopo Corelli e F. Onofrio.
È da ritenersi che Cosma non fu mai di fatto vescovo di Bologna,perchè neppure il Catal. Trombell. l’annovera fra i vescovi i nostri, e l’ Ughelli dice che fu eletto arcivescovo di Ravenna nel 1387; poi, nella serie dei vescovi bolognesi, lo amette vescovo nel 1386, nel qual anno era vivo e vescovo di Bologna il card. Filippo Caraffa! Ma ecco come stanno precisamente i fatti. Cosma fu eletto vescovo di Ravenna, dietro rinuncia del card. Pileo da Prato, nel 1387. Nel maggio 1389, morì il cardinal Filippo Caratfa, vescovo di Bologna, ed Urbano VI trasferì, da Ravenna a Bologna, Cosma Migliorati, lasciandogli però l’ arcivescovato di Ravenna da amministrare; e ciò precisamente nel giugno del 1389. Egli è ben vero che Bologna lo rifiutò, forse perchè voleva un bolognese, e in prova sl trovano Atti ancora del mese di novembre 1389, nei quali si legge: Sede Episcopale vacante, ed altri in cui Amministratore del vescovato presentasi il Capitolo. Urbano VI morì nell’ottobre del 1389, e in novembre dello stesso anno fu eletto papa Bonifacio IX, il quale nel dicembre creò Cardinale Cosma Migliorati; ed allora naturalmente cessò il suo titolo di vescovo, perchè a que’ tempi l’un titolo andava disgiunto dall’altro.
Pel suo nuovo innalzamento cessò così il suo jus di vescovo di Bologna ma non quello di amministratore dell’arcivescovato di Ravenna che gli venne confermato. Perciò, allora la Chiesa di Bologna fu davvero vacante. È però anche vero che Cosma ritenne il titolo di cardinale di Bologna, perchè di essa nominato vescovo dal papa, leggittimo collatore, nè poteva assumere quello di cardinale di Ravenna, il cui arcivescovado amministrava, perchè Pileo da Prato, che aveva tuttora in titolo la Chiesa di Ravenna, ancora era vivente, ed a costui spettava per diritto il titolo di cardinale di Ravenna. Per i quali motivi, pur avendo, l’amministrazione dell’arcivescovado suddetto, Cosma ritenne il titolo di quella Chiesa della quale, prima della sua promozione al cardinalato, egli aveva avuto, se non possesso de facto, quello legittimo de jure, perchè nominato dal papa, e chiamossi Cardinale di Bologna.
Riferisce, ex Chronicis, il Sigonio, a pag. 155, la traslazione delle reliquie di S. Procolo martire e l’invenzione di quelle di S.Procolo vescovo. Non si può però determinare in qual anno ciò avvenisse.
Nel 1390 ebbe principio la fabbrica della Basilica di S. Petronio. Il primo decreto, emanatosi per la fabbrica stessa, trovasi in una Riformazione dello Statuto, in data del 1388. Si trova un decreto del 28 settembre dello stesso anno, nel quale è detto, che quantunque negli Statuti fosse ordinato di cominciar la detta fabbrica al 10 febbraio 1389, si voleva dai più che ciò invece avesse luogo più sollecitamente, cioè col primo gennaio. Veggansi gli Atti pubblici e le Provvisioni. Insorta poi la guerra coi Visconti, bisognò differire e rinnovare nel 1390 il decreto, del quale parla pure il Sigonio. Può essere che la prima pietra fosse posta viii idus iunii, ma gli è certissimo che non se ne riprese il lavoro con attività, se non finita la guerra, cioè nel 1392.
Il Sigonio, a pag. 155, dice: Episcopus nullus in urbe fuit (anno 1390). Si noti che nei libri delle Provvisioni, ove sono registrati i contratti (mancando – in questo punto i libri dei Memoriali), si trova un atto del 1390, da cui si rileva che allora Bona Episcopatus sub Oeconomo erant, che era un tale da Dugliolo. Vi si legge ancora, che: Antìani jubent ut pecuniam solvat (il detto Economo) Fratri Ioanni de S.Proculo, et aliis de familia D. Bartholomei Episcopi. Negli stessi libri delle Provvisioni, sotto la data 20 novembre 1390, leggesi un contratto in cui è nominatoBartholomeus abbas S. Felicis: così si enuncia egli stesso. Nel nostro Codice Diplomatico si trova un atto sotto la data del 13 aprile 1391, col quale Bonifacio IX concede a Giovanni Oretti, a Giovanni Monterenzoli, a Iacopo di Ghilino (che si crede d’Argile), ed a Bonifacio Galesi annuum redditum florenormn 200, pro singulis, ex mensa Episcopi ad suum beneplacitum, e non se ne accenna il motivo.
A pag. 156 e 157, il Sigonio parla della conferma del vescovado fatta da Bonifacio IX a Bartolomeo Raimondi, e confusamente di pace e di concessioni accordate ai bolognesi. È a sapersi che nel 1392 era spirato un altro quinquennio. Spedita una deputazione al papa, si ottenne ciò che mai si era ottenuto prima, cioè la Vicarìa per venticinque anni, col ribasso della metà del censo, ridotto così a soli 5000 fiorini l’anno, nominando Vicari i Magistrati della contea d’ Imola, incorporando Cento, la Pieve e Medicina, in perpetuo, al territorio bolognese. ed obbligando i vescovi ad accettare in perpetuo le pensioni ammontanti a 2000 fiorini d’ oro, equivalenti a 3200 zecchini d’ allora, e degli ultimi tempi a 2000. Il papa confermò inoltre Bartolomeo come vescovo, e lo fece mostrando di voler esso conferire il vescovato, e non approvare la nomina già fatta dalla città. Perocchè sembrerebbe che il Consiglio, fin dal 1390, eleggesse vescovo Bartolomeo, per arrogarsi questo gius, assegnandogli uno stipendio per la famiglia; ma Bartolomeo, per non attirarsi l’ indignazione del papa, si astenne dall’ intitolarsi Vescovo.
Il padre Melloni ha copia di un atto, nel quale, circa a questi tempi, è nominato un frate Rolandus, domenicano, vescovo di Bologna; nè si sa come ciò potesse essere. Forse F. Orlando fu uno di quelli che concorsero per essere eletti dal Consiglio; o ciò provenne da divisione di voti nel Consiglio stesso, o che per le turbulenze insorte F. Orlando venisse inefficacemente nominato dal papa. L‘atto citato è una Bolla d’ Indulgenza, concessa da un Rolando d’Imola, vescovo di Bologna, all’altare e cappella della Santa Croce nella Terra di Cento, diocesi di Bologna, situati in luogo detto la Tomba del Castaldo; ed è in data 17 aprile del 1390, primo del pontificato di Bonifacio IX. Da tutto ciò risulta non esser vero quanto scrisse il Sigonio a pag. 156 e 157, cioè che il papa: benigne admodum se assentire illorum decreto respondit, cioè alla conferma del vescovo già nominato dai bolognesi, chè anzi ricusò confermarlo, ma volle conferirgli egli stesso il vescovato.
Bartolomeo era figlio di Bonaccursio Raimondi; era stato fatto abate di S. Felice nel 1371, e prima vicario del cardinale Filippo. In S. Pietro esiste una lapide che lo ricorda, dicendole, a magnijico et potenti populo bononiensi praeelectum.
A pag. 157, il Sigonio dice che il vescovo Raimondi celebrò messa pel primo in S. Petronio: ad quartum ab oriente sacellum, quod forte primum omnium a Bologninis fuerat absolutum (ed allora non era ancora vescovo!) poi che egli concedette ai Gesuati di abitare fuori Porta S. Mamolo; e questo fatto è vero. A carte 157 e 158, ricorda le fabbriche da lui fatte in S. Pietro, circa le quali vi è relativa lapide. A pag. 158 e 159 poi, racconta l‘istituzione della Compagnia dei Bianchi, avvenuta nel 1399, e le loro processioni. Da questa istituzione ebbe origine la Compagnia di S. M. della Carità.
A pag. 161, racconta il Sigonio il miracolo della Madonna delle Pace. Osservinsi le cronache più stimate. Poi soggiunge che nel 1406 questo vescovo morì; il che credesi vero. A pag. 162, dice che nel 1401, Giovanni I Bentivogli: dissensione Civium, libertate uti nescientium, invitatus, oblatum a populo nomen Conservatoria Iustitiae et Libertatis assumpsit. Questo è un errore perchè Giovanni I Bentivogli non ebbe titolo di Conservatore, oblatum a populo, mentre con l’ aiuto del suo partito assunse il titolo di Dominus; governò senza che i Magistrati glie ne avessero trasferito il jus ; anzi egli stesso creò 16 Consiglieri coi quali conferiva. Riferisce nella stessa pagina la fondazione della chiesa del Baraccano, poi lo scoprimento di quella sacra immagine, avvenuto circa l’ anno 1401.
Il Sigonio a pag. 162 e 163 prosegue a narrare fatti storici bolognesi che dovrebbero essere confrontati colle cronache e storie più accreditate. Parlando di Gregorio XII, dice che la città ipsum non coluit. Bologna riconobbe dapprima papa Gregorio XII, ma si rifiutò poi di riconoscerlo, dopo i torbidi del Concilio Pisano. Ebbe luogo in quest‘ epoca la fondazione del convento delle suore della Trinità.
Il vescovo Raimondi morì nel 14 giugno 1406, ed il papa Innocenzo VII gli sopravisse cinque o sei mesi. La città era allora del papa e con assoluto comando governavala il cardinale Cossa, al quale Innocenzo VII però non conferì il vescovato, dandolo invece ad Antonio Corrarius. S’ignora il motivo pel quale fosse tanto ritardata la provvista al vescovato di Bologna. L’ Ughelli dà per successore al Raimondi un certo frate Bartolomeo, domenicano, ma costui invece fu il successore di Bernardo Bonnevalle, nominato dal papa per mantenere il suo ius.
74. D. Antonio Correr, veneto. Il Sigonio, a pag. 164, scrive che Gregorio XII, suo zio, lo fece vescovo di Bologna nel 1407: Verum Civitate a Gregorii obbedientia adversa non iniit, licet se Cardinalem Bononie nuncuparet – Sarà vero che il vescovo Antonio non avrà risieduto in Bologna; ma che la città gli fosse avversa, è grave errore, perchè anzi Bologna inviò ambasciatori di obbedienza a detto papa, i cui stemmi non furono levati che nel 1408. A pag. 164, parlando del cardinal Cossa, Legato, scrive: ac collegium ipsum (cioè il Gregoriano) habitandum Saccardis dedit. – Ciò non è vero o almeno non è certo; il resto che racconta di questo Legato, per altro, è vero, siccome del dono del santo Spino, fatto ai domenicani.
A carte 165, di papa Alessandro V dice il Sigonio: Cretensem eum vulgo fvisse creditum est, ipse tamen se in exitu vitae Bononiensem fuisse testatus est. – Questa notizia credesi aggiunta fatta da altri al Sigonio. La ragione che ne induce a crederlo, si è che il Sigonio, a pag. 138, dice che Gregorio XIII fu il terzo papa bolognese. Se Sigonio avesse creduto e scritto che Alessandro V fosse bolognese, non avrebbe assicurato che Gregorio XIII fosse il terzo papa bolognese, ma invece avrebbe detto il quarto. Inoltre in un Campione delle spese incontrate dalla città per queste circostanze, e che trovasi nell’ archivio pubblico, vi è una partita che riguarda Filargio De Candia come gentiluomo del papa. Che fosse candiotto è una congettura desunta dall’uniformità del cognome Filargio; era assai probabilmente suo parente. Di più, la cronaca che si cita a provare che fosse bolognese, inserita nel Sigonio, così dice: eo quod in sua juventute dilectus a quondam magno Magistro de Ordine Minorum, veneto, conduxit eum Venetias, deinde Parisios, ubi fuerat Magistratus, et deinde in Candiam, ubi diu stetit , et ideo De Candia dicebatur. – Si vede pertanto che andò in Candia uomo stagionato e preclaro;- e come dunque potevasi ignorare che fosse bolognese, ed equivocare che fosse di Candia, o di Grecia, o di Lombardia? L’ equivoco sarà nato dall’essere stato condotto da Candia a Venezia, e di là a Parigi. Ciò che scrive poi il Sigonio, a carte 166, circa Giovanni XXIII, è vero. Alla stessa pagina si parla del tumulto della plebe, avvenuto nel 1411. Questa rivoluzione è stata esagerata dai nostri storici, perchè non fu per nulla la vil plebe, siccome essi narrano, che rispose in vigore l’antico governo popolare, come lo era prima della signoria di Giovanni Bentivogli. È poi verificato che nei tempi torbidi dello zio papa, il vescovo Antonio non risiedette mai in Bologna.
75. D. Giovanni…, ab. di S. Procolo. – Della sua famiglia non si sa se non che fosse cittadino bolognese, e negli atti si trova nominato: Giovanni di Michele – e ciò probabilmente perchè nato da parenti di bassa ed umile condizione. Nel 1376 era monaco di S. Procolo, e ciò si desume dal libro dei Memoriali, in cui avvi un atto in data dello stesso anno , nel quale si legge: F. Ioannes Marliano, Decrctorum Doctor et Abbas, et F. loannes Michaelis, gai repraesentent totum Monasterium S. Proculi. – Egli fu fatto parroco e rettore della chiesa di S. Mamolo nel 1384, ma proseguiva ad amministrare il monastero di S. Procolo, unitamente a F. Bencivenne, vescovo di Messina. Al Marliano succedette, nell‘abbazia di S. Procolo, frate Raniero dei conti di Valperga, il quale partì poi da Bologna, quando da questa città si allontanarono tutti i francesi. Allora il monastero di S. Procolo fu dato in amministrazione ad un nipote, ex filio, del celebre giureconsulto Giovanni Andrea, detto Andrea vescovo di Ceneda, e- che prima lo era stato di Volterra, morto poi nel 1383. A questo succedette nell’ amministrazione di S. Procolo il suddetto frate Bencivenne, morto il quale, trovasi nel 1389 abate di S. Procolo questo Giovanni di Michele. Egli nel 1390, da Bartolomeo Raimondi vescovo di Bologna, fu fatto suo vicario generale, nella quale carica rimase finchè visse detto vescovo, anzi proseguendo nell’ufficio stesso durante il di lui successore, Antonio, quando la città era funestata da torbidi non pochi.
Il Sigonio, a pag. 167, dice che Giovanni: a Legato gratificari, deposcenti populo cupiente, sublectus est. Se era stato eletto dal Legato non si sa; lo potrebbe essere stato piuttosto dal Concilio di Costanza.
Il Sigonio, a carte 167, nota che Gio.XXIII fece cardinale Giacomo Isaolani. Il primo degli Isolani fu un Gualtieri nel secolo XIII e perciò il primo Isolani fu detto Isolano di Gualtieri. Erano essi mercanti di panni e lane fini, e venivano da Cipro. Il diploma del Re di Cipro, riguardante tale famiglia, è autentico; ma non dice: de Domo dei Re di Cipro, bensì; ex mansione materiali, ossia, proveniente dalla detta magione, materialmente parlando. Gualtieri poi è nome d’origine francese. Stavano essi da S. Sigismondo ed erano ricchissimi. Il suddetto Isolano di Gualtieri, è nominato nei Memoriali del 1270. Il cardinale Iacopo era figlio di Giovanni, decapitato come nemico al governo popolare. La discendenza di Gualtieri è la seguente: Gualtieri – Isolano – Domenico – Iacopo – Domenico -_ Giovanni – da cui il cardinal Iacopo; e ciò si rileva dal libro dei Memoriali.
76. B. Niccolò Albergati. Il Sigonio, a pag. 169, dice che nel 1416, i Bentivogli ed i Canetoli: impetum ln Palatium cum parata factione fecerunt , ac Legato exacto Statum Populi reduxerunt, e cita: ex Chronicis. Si noti che la sedizione dei Bentivogli e dei Canetoli è vera, ma non già ch‘essi ristabilissero lo Stato o piuttosto Governo Popolare; che anzi restrinsero il potere nell’ aristocrazia, creando i sedici Riformatori, con ampie facoltà. Il canonico Zanotti ha scritta la vita del B. Niccolò Albergati, ma vi sarebbe molto in essa da riformare vedere correggere.
Il Sigonio, a pag. 170, dice che Niccolò fu eletto vescovo dal popolo, ma non accettò; che poi, rogato Populi, primum a Praefecto suo probatus , deinde a Clero Bononiensi electus est. Il popolo realmente lo preelesse, come aveva preeletto il vescovo Raimondi; ma è notevole qui l’elezione del clero, che da molto tempo si era astenuto dalle elezioni dei vescovi. Dopo la preelezione del popolo, il clero si radunò ma fece una’ elezioneex integro, non volendo considerare in modo alcuno per leggittima quella fatta dai magistrati e dal popolo. Il Capitolo di S. Pietro poi non volle unirsi neppure al clero, ma fece un compromesso in Bartolomeo da Saliceto, che era zio di Niccolò, figlio di una sorella di sua moglie. Bartolomeo elesse suo nipote Niccolò , che rifiutò, nè accettò che dopo l’approvazione del Generale dei Certosini. Nel libro delle Provvisioni esiste un atto del 22 aprile 1427, nel quale leggesi: Transactiones inter Priorem et Monachos Chartusiae, ex una parte, et Iacobum filium q. Ser Petri Nicolae de Alberqatis, ex alia, occasione haereditatis D. Zeppae q. magistri Alberti, alias Bernuccii, uxoris olim dicti Petri Nicolae, et matris D. Iacobi ac etiam R. in Christo P. D. Nicolai titulo S. Crucis. – Nel libro medesimo esiste pure un atto dell’ anno 1397; in cui si legge: D. Petrus, iurisperitus, filius famosissimi legum doctoris D. Bartholomei de Saliceto; et D. Zolla q. Bernuccii medici, ejus mater.
Il canonico Zanotti dice che la madre del B. Niccolò era figlia di Bartolomeo Chioppetti; ciò è erroneo, perchè dagli atti suaccennati si scorge che lo era invece di Bernuccio medico, il quale ebbe quattro figlie, due delle quali furono Zeppa e Zolla. Dicesi che il B. Nicolò nascesse nel 1375; può esser vero. Nel 1395, o 1396, si fece certosino; e nel 1407 fu fatto priore della Certosa di Bologna, poi nel 1413 fu eletto vescovo. Il Sigonio, a pag. 170 e 171, narra che Martino V lo confermò vescovo di Bologna nel Concilio di Costanza. Tale conferma avvenne infatti, come in antecedenza quella del metropolitano, l’arcivescovo di Ravenna. Il Sigonio, a pag. 171, dice che Niccolò nel 1418: Synodo habita, constitutiones Bernardi, olim Episcopi, confirmavit. È da osservarsi che queste costituzioni sinodali sono attribuite al vescovo Bernardo Bonnevalle, ma de verbo ad verbum sono le identiche fatte dal vescovo Uberto nel 1310, delle quali conservava un pregevole codice manoscritto il P. abate Trombelli.
Il Sigonio, alla stessa pag. 171,dice che il Beato Niccolò, nel 1418, Monasterium S. Gregorii, extra Portam S. Vitalis, ad unum priorem et conversum reductum a veteribus canonicis S. Augustini, ad novos S. Georgii in Alga, Pontifìcis mandato, traduxit. Cita le scritture dell’ archivio dei canonici di S. Giorgio in Alga. Ciò è vero; i rimossi, ridotti ad uno solo, erano canonici di Martorano. Nel 1419 segna l’ unione dei canonici di Reno con quelli di S. Ambrogio di Gubbio; ma poi omette una Commissione del B. Niccolò Albergati. Quando papa Martino V venne in Italia la prima volta nel 1419, la città gli mandò una deputazione a Mantova, della quale faceva parte il B. Niccolò. Scopo di questa missione si era d’ottenere dal papa la conferma del governo d’allora. Furono accordati i capitoli, che il canonico Zanotti ha stampati nella sua Vita del B. Niccolò, mercè i quali il papa confermava il governo ai magistrati, ma non li riconosceva come Vicari; accrebbe l’annuo censo e lo rimise alla cifra primitiva di annui fiorini diecimila; e tutto ciò concedendo altresì provvisoriamente e niente più, e confermando l’incorporazione di Medicina al dominio di Bologna, ma non quella di Cento e della Pieve. Tutto il qui esposto rilevasi dai Registri degli Atti pubblici.
Il card. Cossa, Legato, aveva smembrate già Medicina, la Pieve e Cento dal contado di Bologna. Divenuti nemici fra di loro i Bentivogli ed i Canetoli, è noto che Antonio Bentivoglio riuscì a salire a capo del Governo nel 1420. Allora papa Martino V si valse di tale pretesto per chiedere il governo libero della città. Accomodate appunto in quell’ epoca le differenze con Roma, mandò l’interdetto, che fu promulgato dal B. Nicolò, il quale pertanto si ritrasse da Bologna. Già si disse che Bonifazio IX aveva concessa fino dal 1378 l’incorporazione di Cento e della Pieve al contado di Bologna, con obbligo a’ magistrati di pagare annui fiorini 3200. Giovanni l era subentrato a tale dominio e diritto. Nel 1401 il Duca di Milano mosse guerra al Bentivogli, e Nanni Gozzadini, che comandava le truppe del Duca, s’imposessò di Cento e della Pieve a nome del Duca stesso; il quale, divenuto padrone di Bologna, confermò per benemerenza al Gozzadini quelle Terre siccome feudo, ed i terrazzani gli prestarono obbedienza. Nanni Gozzadini si guastò poi col Duca ed offerse il suo aiuto al card. Cossa, Legato, per impadronirsi di Bologna. Ciò avvenne, e Cento e la Pieve furongli confermate; ma poi avendo Nanni tramato di scacciar pure il card. Cossa da Bologna, questi fece decapitare il di lui fratello, incarcerare pure il figlio, che pure condannò all’ estremo supplizio, promettendogli salva la vita però, qualora avesse indotto il padre a consegnargli Cento e la Pieve. Fu quindi mandato a Nanni il figlio, che rappresentogli non esservi altro mezzo per salvare a lui la vita che cedere Cento e la Pieve. Ma Nanni irremovibile rifiutossi , e così ricondotto il figliuolo suo a Bologna vi fu decapitato. Due mesi scorsi dalla miseranda catastrofe, il cardinal Cossa riesci a scacciare da quelle Terre, Nanni, che fuggiasco ritirossi a Ferrara. Il cardinale Cossa, ricuperato Cento e la Pieve, emanò un decreto con il quale dichiarava in perpetuo smembrate quelle due Terre dal contado di Bologna, non solo, ma ben anco sottratte alla Mensa vescovile, costituendone un patrimonio di esclusivo dominio dei Legati pro tempore di Bologna.
Nella rivoluzione sorta del 1411 contro il Cossa, non si ha certezza se Cento e la Pieve tornassero sotto il dominio de’ bolognesi; ciò però sembra molto probabile. Cessato poi il governo popolare, quelle Terre tornarono alla Chiesa. E il card. Cossa, allora assunto al pontificato, pose al governo di esse un suo parente, acciò le tenesse a nome della Chiesa; nè pare che fosse più disposto a considerarlo come patrimonio de‘ Legati. Nella rivoluzione del 1416, i bolognesi tornarono ad occupar Cento e la Pieve; ma poi Martino V, nell’ accordo del 1419, volle che fossero ritornate al vescovo di Bologna. Il diritto del vescovo di Bologna sopra Massumatico e Poggetto è antichissimo, trovandosi menzionato perfino in una bolla di Gregorio VII, e non avendovi mai alcun Vescovo rinunciato.
Il Sigonio, a pag. 172, parla della venuta di S. Bernardino da Siena a Bologna I’anno 1423 e del molto bene che vi fece; ma su tal particolare è mestieri consultare il Wading e l’Azzoguidi. Credesi rimonti a quell’ epoca la fondazione del convento di S. Paolo in Monte, detto dell’ Osservanza. Il Sigonio, a pag. 174 e 175, racconta i particolari della promozione del B. Niccolò al cardinalato. È da notarsi, ciò che nessuno degli storici fece fin qui, che il B. Niccolò, dopo esser stato promosso al cardinalato, cessò di avere il vescovato di Bologna in titolo, ma lo ritenne in amministrazione, siccome allora praticavasi verso i cardinali.
A pag. 175, nel 1427, il Sigonio segna l‘ istituzione della Confraternita di S. Girolamo, fatta dal B. Nicolò. – Devotorum S. Hyeronirmi solidalitatem, a viginti quatuor piis juvenibus institutam, probavit. – Circa questa istituzione si consulti quanto ne scrisse il P. Melloni. Egli è dunque indubitato che fu il B. Niccolò che istituì in Bologna quelle Compagnie , che cantavano l’ uffizio e fa vano professione in mano dinnanzi vescovo, salmeggiavano in coro ecc. E tutto questo ebbe cominciamento a’ suoi dì. Le antiche Compagnie delle Laudi soltanto cantavano inni e canzoni sacre; si riformarono allora, e quella parte di detta corporazione che abbracciò quelle riforme, fu chiamata la stretta, e l’altra che non le volle, la larga. – È pur vero tutto il resto che il Sigonio narra fino a pag. 176.
Il Sigonio, a pag. 176, parlando della vita del B. Nicolò vi frappone un Bartholomeus Zambeccarius, quasicchè questi avesse avuto titolo leggittimo al vescovato; ciò è erroneo. Forse la città, se lo elesse, pretese che il card. Niccolò, il quale non aveva più che l’ amministrazione del vescovato, essendosi ritirato da Bologna, l’ avesse tacitameate dimessa. Bartolomeo Zambeccari prima era stato Abate dei SS. Naborre e Felice dal 1408 al 1410; in seguito lo fu di S. Procolo, precisamente quando Giovanni di Michele fu promosso al vescovato di Bologna. Fu poi bandito con la famiglia sua, perchè voleva immischiarsi negli affari del governo, e stando in esilio procurossi la Badia di S. Bortolo di Ferrara.
Secondo il Sigonio (pag. 177), il monastero di S. Michele in Bosco fu demolito durante la guerra che papa Martino V mosse ai bolognesi nell‘anno 1430. Notasi infatti che per questa guerra i frati e le suore, che avevano conventi fuori di città, si ritirarono in Bologna. S. Michele in Bosco fu dunque positivamente demolito nel 1430. Narra poi il Sigonio, che essendo morto Martino V, il di lui successore, Eugenio IV, nel 1431 fece la pace coi bolognesi: et aequis conditionibus urbem recepit. I capitoli, convenuti con Eugenio IV, trovansi nell’ archivio e sono simili a quelli di Niccolò V, ma però alquanto più favorevoli al papa che volle altresì sgombrato il Palazzo e che gli Anziani andassero a risiedere in quello dei Notari.
Eugenio IV, al dire del Sigonio, diede il monastero di S. Felice . rovinato per le guerre, ai monaci di Santa Giustina di Padova, nel 1431; indi, a carte 177 e seg. scrive: Sequenti (1432), Olivetani, in urbe parum commode habitantes, Monasterium S. M. Misericordiae, ad portam Castellionis impetraverunt Virqinibus Cisterciensibus , quae ibì degebant , ad monasterium S. Ursulae transportatis Faustino Dandulo, Protonotario Apostolico, urbis Gubernatore, rem ex auctoritate Eugenii comprobante. E cita le scritture dell’ archivio dei – PP. Eremitani della Misericordia. È vero che gli Olivetani furono posti nel convento della Misericordia e che le suore Cisterciensi, dette poi di S. Leonardo, passarono dalla Misericordia in quello di S. Orsola, oggidì Spedale, fuori Porta S. Vitale. Il Sigonio, a pag. 179, parla delle Rogazioni della Madonna di S. Luca e delle prerogative concesse in tali funzioni alla Compagnia della Morte; ma su tal proposito non possiamo ricorrere che alla cronaca di Graziolo Accarisi.
Il Sigonio, a pag. 180, riferisce che nel 1435, Eugenius Pontifex integrum Urbis dominium obtinuit per septem annos quam Canetuli a Martino civitatem averterant. Sappiasi che nel 1434 ebbe luogo qualche movimento rivoluzionario, suscitato dal Duca di Milano per mezzo dei Canetoli, e che i governatori del papa ne furono cacciati; ma è pur vero che il Duca abbandonò poi la città, ed Eugenio IV vi entrò nel 1435, essendosi essa arresa a discrezione.
Il papa venne a dimorarvi, soffermandovisi tutto il 1435 e 1436. Questo fu il tempo della massima subordinazione al papa, e non ebbe nemmeno luogo capitolazione alcuna. Egli la signoreggiò in modo assoluto, quanto possa una città essere signoreggiata. Durante quel tratto di tempo, de’ Magistrati non si fa parola; erano dunque sopressi o esautorati.
Il monastero di S. Procolo fu dato da questo papa ai monaci di S. Giustina di Padova. Il Sigonio, a pag. 181, dice: Nicolaum Episcopum, Legatum de Pace in Germaniam ad Albertum Caesarem destinavit (nel 1438). È però da osservarsi se realmente il B. Nicolò andasse a questa Legazione.
Ciò che scrive il Sigonio, nella stessa pag. 181, circa Niccolò Piccinino, è vero. Le due Mansionerìe credonsi erette co’ beni de‘ Fratres Verecundorum, che verso quest’ epoca furono colpiti da soppressione.
77. D. Bartolomeo Zambeccari, già sovracennato.
78. F. Niccolò Albergati (il Beato) – di nuovo, come si disse.
79. D. Lodovico Scarampi, padovano.
80. D. Tommaso Parentucelli da Sarzana che in seguito diventa papa Niccolò V – Il 14 gennaro 1426 gli fu conferita l’arcipretura di Cento come da Atto di Rolando Castellani, a rogito pure del quale, sotto la data del 18 ottobre 1423, vi è la collazione a lui fatta di un canonicato prebendato nella chiesa di S. Michele di Sala, e addì 26, il possesso da lui presone. Nel 1445 fu fatto vescovo di Bologna, poi cardinale, poi papa col nome di Niccolò V.
81. D. Giovanni Poggi. – Al primo aprile 1445 succedette nell’arcipretura della Pieve di Cento a Tommaso da Sarzana (poi Niccolò V come si disse) il che consta da un rogito di Rolando Castellani che trovasi nell’archivio Masini. Poscia nel 1447 fu fatto vescovo di Bologna, indi Governatore di Roma e Vice cancelliere di S. Chiesa.
82. D. Filippo Calandrino, sarzanese.
83. D. Francesco Gonzaga, mantovano.
84. D.- Giuliano Della Rovere, savonese.
85. D. Giovanni Stefano Ferreri, vercellese.
86. D. Francesco Alidosi, imolese.
87. D. Achille Grassi, cardinale, bolognese.
88. D. Lorenzo Campeggi, cardinale, bolognese.
89. D. Alessandro Campeggi, cardinale, bolognese.
90. D. Gabriele Paleotti, card., bol., e primo a portare il titolo di Arcivescovo di Bologna. – Fu eletto vescovo il 30 gennaio 1566 e morì in Roma il 22 luglio 1597, d’ anni 75. Gregorio VIII gli mandò la Rosa d’ oro nel 1578, in cui trasportò le reliquie de‘ SS. Vitale ed Agricola nella nuova cappella, ed arca nel Confessio di S. Pietro. Il Negri nei suoi Annali scrisse un ristretto della di lui vita nell’ anno 1597. Nel 1583 fabbricò nell’Eremo di Camaldoli, presso Bologna, una Cella detta di S. Petronio, per uso, di ritiro degli arcivescovi di Bologna. Abbellì il Confessio di S. Pietro con le statue delle Marie, a lui donate nel 1589 dalle monache di S. Margherita. Tenne il primo Concilio provinciale nel 1586. Ottenne il 12 agosto 1592, che la Beata Caterina da Bologna sarebbe aggiunta nel Martirologio Romano , quando venisse ristampato. Nel 1595 fece gittare, a proprie spese, una nuova campana per la chiesa di S. Pietro, concorrendovi il Capitolo, e la Camera di Bologna, e che riuscì del peso di libbre 8720. Il suo cadavere fu trasferìto, assieme a quello del suo nipote e successore, monsignor Alfonso Paleotti, nella Cappella Paleotti, in San Pietro nell’anno 1614.
Per il di lui ingresso vescovile in Bologna il Gonfaloniere ed il Reggimento, il 12 febbraio 1566, imposero una tassa alle Compagnie d‘ Arti per onorarlo siccome conveniva. Orlando Alamanni stampò un Orazione funebre in di lui lode nel 1598. Il cardinale di Verona, Agostino Vallier, trovandosi nel Conclave per la morte avvenuta di Innocenzo IX, e mancando soli due voti al cardinal Paleotti per esser fatto papa, non volle dargli il suo voto, secondando le istigazioni del card. Morosini, segreto agente della Republica Veneta. Così Gabriele Paelotti, benchè per due soli voti, non giunse al pontificato: ma il card. Vallier, provando poi rimorso del proprio operato, ne fece in seguito pubblica dichiarazione ed ammenda.
Nel 1584 ristorò la Cappella del Cristo morto, nel Confessio. Nel 1575 e 1576 ne -aveva fatto riedificare il coro. Nel 1569 istituì i Catecumeni.
Il testamento di Gabriele Paleotti porta la data del 13 giugno 1597.
Egli era Uditore della Rota a Roma, quando fu creato Cardinale nel concistoro segreto dell’ 11 marzo 1564. La Chiesa di Bologna fu eretta in Arcivescovado nel concistoro segreto del 10 dicembre 1582, e furongli assegnati, come suffraganei, i vescovati di Cervia, Imola, Modena, Parma e Piacenza.
Vacando la Chiesa bolognese, da Roma erale stata imposta il 28 ottobre 1565 una pensione di cinquemila ducati a favore di alcuni cardinali; il 30 giugno 1556, poi, alla Chiesa stessa – della quale fin dal 29 gennaio dell‘ anno medesimo era stato nominato amministratore il card. Paleotti – venne imposta un’ altra pensione dal papa, di annui scudi mille.
Al Paleotti devesi il collocamento della Biblioteca nel palazzo arcivescovile.
Per molte cose da lui fatte – Vedi Codice manoscritto Miscellanea. Vol. 23, – N. 8.
91. D. Alfonso Paleotti. – Dottore in leggi, e dott. collegiato di teologia, fatto canonico di S. Pietro addì 5 marzo 1573, poi arcidiacono e coadiutore di suo zio, il card. Gabriele, gli successe infine nell’ arcivescovado, Egli scrisse la propria Biografia, il cui originale era depositato presso le suore degli Angioli, e venne poi ritirato (1821) dalla famiglia dei marchesi Paleotti, che tuttora esiste in Bologna e presso la quale ancora ritrovasi.
Nel 1603 ristorò la cupola del campanile di S. Pietro; nel 1616 poi fece riedificare la chiesa stessa. Durante il suo episcopato furono restituite all’ arcivescovado di Ravenna le già sue, suffraganee di Cervia ed Imola. Morì, secondo l’Orlandi, il 18 ottobre 1610, d’ anni 79.
92. D. Niccolò Albergati-Lodovisi card., bolognese.
93. D. Girolamo Boncompagni card., bolognese.
94. D. Angelo Ranuzzi card., bolognese.
95. D. Iacopo Boncompagni card., bolognese.
96. D. Prospero Lambertini, card., bolognese , e poi papa col nome di Benedetto XIV.
97. D. Vincenzo Malvezzi card., bolognese.
98. D. Andrea Giovanetti, frate camaldolese, card.
99. D. Carlo Oppizzonì, card. milanese.
100. D. Michele Viale-Prelà, card., di Bastia (Corsica).
Alfredo, o Adalfredo, il 48° vescovo di Bologna, ridusse il numero dei canonici della Cattedrale a 50, e fece loro la donazione della terza parte delle decime. Quest’atto, che non si trova nell’Archivio dei canonici è riferito nel Codice Diplomatico. (Cod. 84, N. 11, Anno 1045) (1).
Lo stesso Alfredo, del 1054, 7 maggio (vedi Savioli), fece un secondo atto, col quale non solo ratifica il primo, ma siccome i canonici non vivevano collegialmente, come papa Leone IX aveva cominciato ad inculcare, così Alfredo per animare, sembra, certo numero di canonici a secondare la volontà del papa, portò la donazione ai tre quarti delle decime e delle altre oblazioni, serbandosi l’altro quarto soltanto, e loro regalando Domum quoque juxta Palatium nostrum. Nell’atto del 1045 il vescovo parla di 50 canonici; in questo ne nomina sette solamente. Dunque furon pochi quelli che consentirono avivere collegialmente. Papa Vittore II, (8 luglio 1055) prova maggiormente l‘esistenza di due specie di canonici, quando dice: regulariter viventibus , Vobis restrisque successoribus canonico jure viventibus. Qualcuno ha dubitato se a quei giorni i canonici possedessero fondi, cioè se vi fosse distinzione fra Mensa Vescovile e Capitolare, oppure se il vescovo stesso mantenesse i canonici; ma l’Atto di Enrico II, del 1014, che vieta l’alienar beni dei canonici, prova che ne possedevano fin d’ allora, e separatamente da quelli del vescovo.
(1) Circa a quest’ epoca, trovansi qui alcune notizie che i nostri lettori già ebbero, anche più diffusamente, nel surriferito Cenno Storico-critico, al paragrafo che riguarda il 48.° vescovo. Furono cionullameno conservate a costo d’una ripetizione, onde non variare gli originali appunti dell‘ autore. – Nota dell’ Editore.