Il generale conte Luigi Ferdinando di Carlo Francesco Marsili, nato li 10 luglio 1658, fu uomo versatissimo in politica, nelle scienze e nelle arti, al quale Bologna è debitrice della fondazione dell’ Istituto, e di gran parte del ricco materiale che possiede la rinomata Accademia di Belle Arti detta Clementina, nonchè delle varie dotazioni che lasciò onde far fiorire le sue istituzioni. Nella casa che possedeva in S. Mamolo cominciò egli la fabbrica della Specola Marsiliana nel 1702, e li 2 gennaio 1709 vi tenne la prima adunanza dell’Accademia di Belle Atti, che fu poi traslocata nel palazzo dell’Istituto delle Scienze in Strada S. Donato. Morì egli il primo novembre 1732, d’anni 72, e precisamente nella via Larga di S. Domenico al N. 992. Aveva puranco abitato nella casa grande dei Barbiroli nella Mascarella al N. 1520, nel 1725. Riescirà gradito ai nostri lettori il dar qui un’ idea allegorica di un ornamento da farsi al gran quadro rappresentante il ritratto di questo personaggio insigne, posto nell’atrio della Biblioteca della nostra Università, di composizione di Serafino Barozzi, il di cui interessante autografo è posseduto dalla collezione Guidicini, che cosi si esprime:
“Il quadro è posto nella facciata dirimpetto alla porta d’ ingresso, in mezzo ad un gran nicchio formato da due pilastri d’ordine Ionico, e sopra detto quadro è continuata la cornice del detto ordine, che fa corona a tutto il vestibolo; il fregio è ornato di un festone di foglie di lauro; nel mezzo circolo sopra la cornice havvi un grandissimo gruppo di Trofei. Al di sotto del quadro sopra un zoccolo continuato si è posta l’ Ara dedicata al Genio e alla Virtù, sopra la quale da Minerva vengono riposte le onorate insegne di quest’illustre signore, cioè la spada, lo scudo, una mappa, vari volumi delle opere da lui scritte, e vari istrumenti delle scienze. Dall’ altra parte avvi un Genio in attitudine vivace appoggiato con un braccio all’Ara tenendo in mano una corona di lauro, che si dava dagli antichi Romani ai vincitori, come abbiamo da Ielio lib. V, cap. VI Laureae olim fuere triumphantium corona, e più Silio lib. XV dabit ille coronam in premio lovis deponere poenis, coi piedi calpesta l’invidia sotto la figura di un serpente, e con una fiaccola che tiene nell’altra mano abbrucia e distrugge questo detestabile mostro. L’ Ara sarà di forma circolare, nella pietra che le fa cimosa sarà scritto il titolo della medesima, ed è:
« Genio et Virtute Custodibus »
nel mezzo di questa saravvi l’Epitafio. I festoni d’olivo e di lauro, ed il Guffo sotto l’iscrizione, serviranno perchè si distingua esser questa l’ara dedicata alla virtù. Si vuole contuttociò splegare che la virtù è sicura, ed inviolabile dagli attacchi dell’ invidia.
Varie annotazioni di autorità, che hanno servilo per formare il suddetto progetto.
Abbiamo da Vetruvio nella prefazione del I libro, che C. Muzio confidatosi nella sua grande scienza perfezionò il tempio della virtù ed onore; Cicer. de Nat. Deo Lib. II Vides inquit templum honoris et virtutis a M. Marcello Renovatum ; e più nel Tesaur. Antiqu. Roma, del Graevio tom. III, pag. 158 ove è trovato tutto quello che si richiedeva per questo soggetto. Secondo il sentimento di un celebre autore francese: Le Culle le moin de ‘ raisonable des Gentils eloit celui qu ils rendirent a la vertù.
Abbiamo poi nominata quest’ Ara, Ara della Virtù, e ciò appoggiati a quello che dice Cicerone nella sua lettera ad Attico nel lib. XIII: eaque extructis que sit ad virtutis memoriam elernilatis, Ara virtutis dicitur. E ciò disse appoggiato al senso di altro, che generalmente dice potersi erigere altare e tempio a quella cosa, che più si desiderasse lodata e venerata: Ara aut templum statueretur virtuti reique quam cuperent laudatam.
Per la forma rotonda usata dagli antichl si prova dal seguente passo: quippe aliae quadrangulae, et quadratae aliae oblongae, aliae oblongae, aliae denique rotundae non unquam statuebantur, ut patet ex antiquis numismatis quibus ea diversitas manifeste dignoscitur, Graevio Tom. 6, pag. 259.
Per coronar quest’Ara ci siamo regolati dal seguente passo: Hunc autem fasciculum a Grecis appellari non nulli putaverunt. lovis quidem Ara sculo, aut quercum Appollinis Lauro, Minerva Olea, Veneris Mirto, Erculis Peuplo, Bacchi Hedera, Panu pino, Plutoni et Silvano Cipresso; singulorum denique sacris sibi abdicatis arboribus arae coronabantur — Statius de Coronatis Aris Sylvar. lib. III, Oratius lib. II Op. I Genio privato Arae.
Ad imitazione degli antichi, secondo l’autorità dei due seguenti autori, abbiamo scritto nella pietra che fa cimosa all’ ara il titolo della medesima, Ioanes Grutery. Inscrip. antiq. pag. 109 — Ioanes Rap. Douy antq, pag. 8. Minerva — Secondo gli antichi, Dea della Scienza, e figura della Virtù, dal seguente passo si vede come era rappresentata :
At sibi dat Clipeum, dat acutae cuspidis Uastam
Dat Galeam Capiti, defenditur Egide patus
Percussamque sua simulat de Cupide Terram
Edera cum Baccis fetu canentis olivae,
Mirarique Deos: eperis Victoria Finis.
Si veda il Graevio al Tom. V, fog. III dove tratta Deorum simulacra, ecc, e più Les antiquites par Monfaucon.
Genio — Da una quantità di antichi monumenti si prova, che non solo si attribuiva dai Romani il Genio tutelare agli eroi, ma anche alle città, agli eserciti, ecc. Nella medaglia di Nerone si legge : Genio Augusti — in quella di Antonino Pio Genio Senatus — in quella di Costantino Genio Exercitum.
Figuravano per lo più il Genio velato a mezzo il corpo, che teneva un corno d’abbondanza in una mano, nell’ altra una tazza, per sacrificare davanti un altare, sopra il quale era del fuoco, Amiano Marcellino ove tratta di Giuliano Imperatore. Inoltre diverse figure de’ Geni troviamo nei rispettabili avanzi dell’ antichità, come dall’ opera di Graevio: nel supplemento alle antichità spiegate dal Padre Montefalcone, nell’opera di P. Bartoli intitolata ad miranda Romanorum, e molti altri.
Trofei — Bellorum exuvia trucis affixa Trofeis
Lorica, et fracta da Casside Buccula eendens
Et Curtum Temone Regum, victaeque Triremus.
Iuven. Sat. X.
Il ramo del Lauro, che fo portare dall’ Aquila, che è nel mezzo di questo gruppo di Trofei, simboleggia che la fama dello virtù di uomo illustre s’ innalza sino alle stelle.
Vari rami d’ Olivo sparsi fra i medesimi Trofei simboleggiano la pace, come abbiamo da Virgilio: Porta l’olivo in man di pace segno. Si veda il Graevio al Tom. IX, pag. 1342, ove tratta de Triumphis spolij Betici, ecc.
Nel formare l’ epitafio si osserverà il precetto di Platone, il quale comanda nella sua Republica, che si faccia l’ epitafio solamente ai virtuosi, breve, di soli quattro versi eroici; questa legge trovo che fu appresso gli Spartani, e vi alluse, credo, Marziale, ove dice :
Ara duplex primi restatur munera pilli
Pius tamen est titulo quod breviore legis.