Poichè è avvenuto di nominare quest’illustre Pontefice bolognese le cui gesta e somme virtù furono decantate da molti autorevoli scrittori non solo, ma ben anco da’ protestanti, ne piace d’ indicare un preziosissimo oggetto che gli appartenne un giorno, e che poi dal compilatore di queste memorie fu acquistato dalla superstite famiglia Lambertini, ed oggi conservato dal figlio suo Ferdinando, consistente in un magnifico capo d’ar te, e cioè un bastone, citato dal Cancellieri nelle sue lettere l’area di Roma e della sua campagna, ed i patazzi pontifici entro e fuori di Roma, come pure nelle notizie sopra l’anello Pescatorio e degli altri anelli ecclesiastici, in Roma 1823 a pag. 81, finalmente nel diario del Chracas che al N. 1662 sotto la data 6 ottobre 1755 così si esprime per constatarne la proprietà e derivazione : “Essendosi Benedetto XIV recato un giorno a pesseggiare nella villa del Cardinal Alessandro Albani, questi gli presentò in dono un bellissimo bastone d’appoggio già appartenuto a S. S. Papa Urbano VIII (Barberini), del quale esso pure se ne serviva, poi acquistato dal suacennato Cardinale Albani. Questo bastone aveva un pomo d’ avorio e vi si vedevano egregiamente dipinte quelle chiese destinate per l’ acquisto delle indulgenze a chiunque le visiti dai primi vespri di un giorno fino al tramontar del sole dell’altro”. Il cavalier Gaetano Giordani ne fece la seguente accurata ed estesa descrizione inserita nel numero 32 del giornale di Roma La Pallade, anno I, in data 21 settembre 1839. “Questa canna è del genere delle palustri comuni ne’ paesi d’Italia. Per opera di un diligente intagliatore fu a bulino incisa con tanta maestria e finitezza di esecuzione, che di un fusto fragile e di niun prezzo, egli seppe farne un capolavoro, prezioso, raro, e degno di essere ammirato dagli amatori delle produzioni d’arte; e ritiensi cosa sorprendente in guisa che potrebbe far bella mostra di sè entro qualunque museo d’Europa”. Avanti di accennare chi per congettura sia l’autore di questo insigne lavoro, ne descriveremo brevemente le rappresentanze, ed i principali pregi, che offro alla vista dell’intelligente osservatore. Ella è d’ordinaria grossezza ed altezza: quattro nodi la dividono: nella superficie de’ cinque spazi, da un nodo all’altro si scorgono intagliale sottilmente diverse configurazioni, le quali l’artista ritrasse da esemplari assai celebrati, ed alcuni a colpo d’occhio riconosconsi anch’oggi essere ornamento di Roma moderna. Nel primo spazio vedesi figurato il Salvatore nostro dopo la sua risurrezione, in atto di benedire colla destra alzata; e tiene impugnato nella sinistra mano il santo vessillo della redenzione: egli è in piedi a mezzo di ameno paese con alberi e casamenti in lontananza. Sopra e sotto, quasi a contorno dello spazio descritto, vi hanno tralci di vite, carichi di fogliami, di pampini, e di grappoli d’ uva, le quali vengono beccate da vari uccelletti, mentre in modi scherzevoli e naturali un sorcio, un scimiotto, ed un cane che correndo insegue un lepre, i movimenti loro esprimono. Lo spazio secondo ha due ripartizioni: nell’ una evvi san Pietro principe degli Apostoli, con mossa ed espressione dignitosa, posto in un paese adorno di alberi fronzuti e fabbriche in prospettiva: nell’altra sorge la facciata del tempio Vaticano, profilata diligentemente in ogni sua parte: nel vano che resta formato per gli angoli estremi della stessa facciata s’innalza dal terreno un obelisco, e nell’aria lo stemma gentilizio di Urbano VlII in uno scudetto sormontato dal pontificio triregno e dalle sante chiavi : e lateralmente ad esso stanno nelle nuvole graziosi angioletti, che toccano musicali strumenti.
Il terzo spazio comprende due soggetti: nell’uno si dimostra la figura dell’Apostolo san Paolo, collocata in un bel paese con veduta della sua basilica Ostiense ed altri fabbricati in prospettica lontananza: per l’ altro parimenti la figura di san Sebastiano martire, legato ad un albero; ed in qualche distanza pure la sua basilica, che vedesi fuori le mura di Roma, e di lontano altre fabbriche in grazioso paese. Il quarto spazlo è similmente diviso a due comparti : in quello superiore trovasi figurato san Giovanni Battista coll’agnelletto accanto; e vi si vedono nel fondo di un paesaggio, colline e casamenti, tra quali, più appresso alla figura del Santo, scorgesi il prospetto del sagro edificio che si denomina la scala santa; nell’inferiore la prospettiva della basilica, e del Triclinio lateranense, del pontificio palazzo, dell’obelisco vicino, e di altre fabbriche, come a quell’epoca sorgevano, e cioè innanzi alla loro rifabbricazione; e nel piano di questa prospettiva sono piccole figure che in que’ dintorni s’ aggirano. Nel quinto spazio che è rinchiuso da due graziosi festoni di viticci, con animaletti delle specie soprammentovate, havvi espressa la imperatrice sant’ Elena; che regge la croce di Cristo, in un piano sparso d’erbe o sassolini, con in poca distanza la prospettica veduta della basilica Sessoriana, detta santa Croce in Gerusalemme: ed i lontani colli fioriti, che l’ amenità lasciano vedere di un ridente paesaggio. Il pomo, o la impugnatura della descritta canna, è di bianco avorlo a foggia di martello; porta intagliato lo stemma dell’immortale Benedetto XIV nella liscia faccia che serve al battimento: nell’ attaccatura o collo di esso pomo vi gira attorno una rilevata foglia; all’estremità della predetta canna invece di chiodo o punta, ovvi una mezza ghianda in parte liscia e parte a foglia pure ornata.
Dopo la descrizione de’ soggetti figurati nella incisa canna, rimane ancora a dire alcunchè circa la difficoltà del lavoro, l pregi intrlnsici d’arte, ed il nome dell’autore suo. Al certo non senza sorpresa si ammira l’ abilità somma e la diligenza estrema in •un tanto straordinario lavorìo, che in tutte le sue parti devesi riguardare come portentoso, sia per la nitidezza e varietà del taglio a meraviglia condotto, sopra una superficie cilindrica e fibrosa di fragile canna, la quale pare non possa acconsentire per ogni verso i tagli perpendicolari o diagonali alle fibra senza sgranarsi, o perdere de’ suoi filamenti; e senza che il bulino sfugga nel seguire la curva e mantenendo sempre l’angolo stesso di inclinazione. Volendo notare i pregi delle cose rappresentate in essa, diremo che le figure degli Apostoli e Santi sembrano imitazione dalle stampe di Marc’Antonio Raimondi, e provenienti da’ disegni del divino Raffaello; i tratti sono finiti e nitidi come nelle incisioni in rame; con molta intelligenza veggonsi disegnate le forme; ben espresse le teste loro: nel piegare de’ panni riscontrasi grazia e naturalezza. È poi sorprendente la esecuzione finita e delicata di quegli angioletti che in gloria nel secondo spazio si ammirano; e così anche le lontananze ben degradate de’ paesi ove ergonsi le fabbriche a debito punto vedute in prospettiva e profilate ed esatte in ciascuna linea, con molto effetto di rilievo e verità. Vivacissimi gli animali e più degli altri que’ volatili scherzanti tra le foglie in varie guise sicchè nulla lasciano a desiderare. Chiunque non abbia mai osservato questo capo d’ opera d’ arte nel gener suo, giudicherà quasi impossibile che sia lavorato colla descritta precisione e preziosità. Diverse sono le opinioni rapporto alla valente mano che lo condusse a tale finimento e bellezza. A’ tempi del pontefice Urbano VIII ebbero meritata rinomanza di egregi intagliatori, Comillo Grafico del Friuli, Raffaele Guidi toscano, Orazio Bongiovanni, Paolo Manzini, Giovanni Maggi romani, Lionardo Parasoli di Norcia, e la romana intagliatrice Isabella sua moglie, Giovanni Valerio bolognese, Giov. Giorgio Nuvolstella di Magonza, Enrico Golzio olandese, ed i fratelli Giusto, Giovanni, Egidio e Raffaello Sandeler. Dalle stampe loro, che abbiamo prese a particolare esame e riscontro, chiaro si vede, che molti tratti alla maniera di essi somigliano; e nella diligente condotta de’ paesi in lontananza, le opere con amore finite dal Valesio, e dai Sadeler a prima vista ricordano: ed in que’ capricci ed artificii delli bizzarri ornamenti in modo speciale si distingue Egidio Sadeler, come nelle figure aggraziate pare rifulga il sapere e la finitezza del fratel suo Raffaello. Forse ad un solo de’ nominati fratelli, o a tutti insieme questo squisito lavoro aggiudicare, o fors’anco ad. alcuno degli incisori soprallodati: ma nella incertezza in cui rimasero pure egregi maestri dell’arte, non vorremo noi assolutamente farci ad asserire colla opinion nostra il vero autore: bastando attenerci al gludlzio degli intendenti, i quali lasciato a parte il nome dell’artista, e considerando solo l’eccellenza dell’ opera, senza dubitare, affermano che ella è unica nel suo genere e meritevole dell’universale ammirazione. Ed eccone un ulteriore giudizio espresso con lettera dall’egregio incisore Rosaspina, in forma di lettera, che in gran parte concorda col Giordani: “Poichè mi si chiede un parere intorno al pregio d’ arte, ed alla difficoltà del lavoro della intesa canna incisa a bollino sopra tutta la superficie, dirò sinceramente che non senza sorpresa vi ho ammirato l’ abilità e la diligenza estrema. di quello straordinario lavoro, il quale riguardato come pregio d’ arte, si riconosce l’ ottimo stile dei cinquecentisti, e non poche figure degli Apostoli sembrano imitate dalle stampe di Marc’ Antonio, e provenienti da Raffaello. Mirabile è poi la costante diligenza e nitidezza dell’intaglio in un lavoro tanto variato e faragginoso, nè solamente è ammirabile per la diligente esecuzione, ma vieppiù per la intelligenza di belle forme sì nelle teste che nelle pieghe unitamente a molta grazia e maestria. Quello .poi che a’ miei occhi sembra straordinario tanto, che se non l’avessi veduto avrei giudicato impossibile, si è l’ osservare un lavoro tanto finito e nitido, sopra la superficie fibrosa di una canna, la quale pare che non possa acconsentire ai tagli perpendicolari e diagonali alle fibre senza sgranarsi: più ancora mi sorprende come si possano continuare tagli netti per ogni verso sopra una superficie cilindrica senza che il bulino sfugga nel seguire sempre la curva, mantenendo esattamente l’ angolo stesso d’inclinazione. Insomma io trovo questo lavoro veramente straordinario, e che ben meritava l’onore di avere servito a due pontefici, come rilevasi dai due stemmi, quello cioè di Urbano VII inciso nella canna, e l’ altro di Benedetto XIV scolpito nel pomo d’ avorio”. Al giudizio del valente artista Rosaspina si associarono i professori Guadagnini e Guizzardi, quindi il celebratissimo statuario Bartolini vi aggiunse l’ autorità del proprio nome per interposizione benevola del gran Rossini, il quale autenticò con dichiarazione la firma di questo suo illustre e vegliardo amico, e rese insieme vieppiù prezioso l’ indicato documento.