Essendosi anticamente praticato il nome di mariscalco per maresciallo, la servilità di alcuni ha fatto credere che discenda questa famiglia da un maresciallo di Francia. Ma ciò è senza fondamento, basti il dire che è casa nobile. Nel 1416 Matteo di Nicolò era dell’ arte dei merciari. Ebbero a sostener lite colI’ ospitale Azzolini in causa della donazione fatta da Isabella Vignoli Carrati al senator Vincenzo Maria del senator Fulvio di una possessione a Vedrana. Furono discendenti di essa famiglia i qui sotto descritti personaggi.
Conte Carlo Alfonso di Vincenzo Maria, senator V, marito d’Isabella Legnani, fu cavalier gentile, letterato e molto stimato. Li 11 aprile 1700 assieme ad Elisabetta Pepoli sua madre essendo contumaci per causa di gabella, pagarono 60 doppie alla Camera, e furono assolti. Dotò la figlia Brigida, maritata nel conte Carlo Marsili, di L. 40000.
Conte Ferdinando del conte Vincenzo, senator VII, sposò Maria Ginevra del fu conte Cornelio Pepoli nel giugno del 1779.
Fulvio di Vincenzo, senator I. Nell’aprile del 1573 fu fatto castellano della Rocca di Perugia da Gregorio XIII. Li otto marzo 1578 arrivò il breve del senatorato in luogo di Marcantonio Volta, li 10 detto fu presentato al Reggimento da Agostino Ercolani senatore, suo zio, e li 19 sedette in Senato. Fu marito di Francesca Alidosi.
Fulvio Antonio di Vincenzo, senator III, marito di Lucrezia Monterenzi che portò eredità, poi di Costanza Alamandini. Nel 1643, essendo Gonfaloniere, si portò valorosamente a difesa della Chiesa contro le ostilità del Duca di Parma, senza aver riguardo alla propria vita e facoltà, onde se gli potrebbe dare il titolo di padre della patria. Morì nel 1664, ed il suo posto fu dato a Gio. Antonio Pietramellari.
Fu ambasciatore per ricevere il Legato Sacchetti. Nel 1615 succedette al padre, essendo d’anni 13. Fu poeta, accademico Gelato detto il munito. L’ Alamandini era vedova di Mario Scappi nel 1620.
Vincenzo di Fulvio, senator II, fu marito di Leonora Armi. Li 22 dicembre 1605 esibì il diploma di conte Palatino e cavalier aureato, concesso dall’Imperatore Carlo V a Vincenzo suo avo. Ebbe il senatorato di Aurelio Armi suo cognato. Morì li 8 febbraio 1615, e fu sepolto in S. Francesco.
Vincenzo Maria di Fulvio Antonio, marito di Elisabetta Pepoli erede. Fu accademico Gelato. Morì li 27 gennaio 1699, e fu sepolto in S. Francesco.
Conte Vincenzo del conte Carlo Alfonso, senator VI, marito di Margarita Parraciani romana, sorella del cardinal Parraciani. Comprò il palazzino e il podere della Madonna del Monte.
Conte Ferdinando Marescalchi del conte Vincenzo, senatore di Bologna. Fu nominato ministro da Pio VI per trattare col ministro Azzara, della corte di Spagna, la pace coi Francesi nel 1796, al quale onorevole incarico egli poi si riflutò, perchè la suddetta pace, o piuttosto armistizio, fu protratta dopo che Bologna era già stata occupata dai Francesi, avendo dovuto il senator Marescalchi prestar giuramento al general Bonaparte, come tutti gli altri componenti il detto Senato, ed allora fu invece sua nominato il marchese Gnudi tesoriere pontificio. In tempo della repubblica Cispadana fu egli amministratore dipartimentale, e in tutto il tempo del governo provvisorio non cessò mai di applicarsi giorno e notte al benessere della patria.
Uniti i Bolognesi alla repubblica Cisalpina, passò egli a Vienna ambasciatore della medesima, dove rimase finchè fu nominato direttore della repubblica stessa dal Corpo Legislativo. Per portarsi a Milano fu obbligato di traversare l’ armata austriaca, che era già in linea all’Adige per attaccare i Francesi. Non restò in Milano che circa 45 giorni, disimpegnando con sommo zelo gl’ impegni che incombevano alla sua nuova carica in sì difficili momenti.
Le disfatte di Scherer l’obbligarono ad abbandonare l’ Italia, e ritirarsi colle altre autorità Cisalpine in Francia, dove rimase fino alla battaglia di Marengo. Consumò questo tempo parte a Chambery, parte a Ginevra, parte a Parigi, sovvenendo coi pochi mezzi, che egli aveva a sua disposizione (essendogli interdetta qualunque comunicazione colla sua patria) tutti gli emigrati, che erano molti, e pieni di bisogni.
Ritornando da Parigi per ripatriare, incontrò a una lega da Lione il corriere Cellentani che il governo provvisorio gli inviava destinandolo per Parigi come ministro della Repubblica Cisalpina, in unione al signor Greppi di Milano. Ritornò egli a Parigi rinunciando rassegnato al vivo desiderio di rivedere la patria, ed al bisogno di dare assetto agli affarl del suo ricco patrimonio abbandonato da tanto tempo alla sorveglianza de’ suoi sottoposti. Ivi colla solita sua solerzia trattò gli affari assieme al Greppi, che dopo pochi mesi morì in Parigi in una locanda vicino alla porta di S. Dionigio.
Continuò egli solo a disimpegnare ll disbrigo degli affari, finchè furono radunati i comizi di Lione. Egli si portò in quella città, dove fu nominato ministro delle relazioni estere del Regno d’ Italia e consultore di Stato di detto nuovo Regno.
Ritornò a Parigi, dove abitò dapprima un appartamento nella rùe Montblanc sull’ angolo dei Boulevards, poi nella rùe detta prima dell’Union, N. 9, poscia d’ Angoulemme N. 2, in un delizioso palazzotto conosciuto sotto il nome Pavillon Richelieu.
Onorato e stimato dai grandi, amato da tutti i francesi, e dagli esteri che in folla frequentavano la di lui casa, nella quale egli trattava splendidamente tutti indistintamente, godette per vari anni, e cioè fino al 1807, del favore di Napoleone. Nominato questi Imperatore dei Francesi, chiamò a sè per segretario di Stato l’ avv. Antonio Aldini di Bologna. Dopo questa nomina cominciarono i dispiaceri dell’ ottimo ministro Marescalchi, in conseguenza de’ quali ebbe a soffrirne una pericolosa malattia.
Negletto, e quasi nulla considerato dal Governo, egli non per questo applicavasi meno colla massima diligenza ed amore agli affari dello Stato, e per procurare un conforto e sollievo alle sue pene, che non erano poche, nè di piccol momento, attendeva ad arrichire la sua già copiosa biblioteca con libri di storia naturale, di viaggi e di belle arti.
Saputa la perdita che la patria aveva subito per la vendita della galleria Sampieri, immaginò egli di ripararvi, acquistando molti capi d’arte in Francia, ed in Venezia, coi quali compose la rinomata sua galleria, che poi si ammirò nel suo palazzo di Bologna assieme alla biblioteca ricca di opere preziose.
Incominciata la guerra colla Russia, e che recò, siccome la storia ne riferisce, tante sventure alla Francia, il conte Marescalchi non cessò mai d’esser buon cittadino e buon ministro. Questa sua lealtà e devozione gli attirò non solo nuovi dispiaceri, ma ben anco acerbi rimproveri. Fu allora che egli si determinò di vivere affatto come privato.
Verificate le predizioni che aveva manifestate a Napoleone, si trovò egli all’ingresso degli alleati in Parigi, e a quello di tutta la famiglia dei Borboni. Si presentò egli e ai principi alleati e a quelli della ristabilita dinastia, e fu da tutti accolto colla distinzione e riguardi dovuti ai suoi meriti ed al nome acquistatosi in quella popolosissima capitale.
Francesco I Imperatore d’ Austria, prima di abbandonare Parigi, chiamò a sè il conte Marescalchi, e lo nominò ministro governatore dei Ducati di Parma e Piacenza. Volle il Marescalchi assicurare di tutta la sua onestà quel monarca, il quale graziosamente gli rispose: “Nella nostra età, chi non è stato uomo cattivo, non può più divenirlo”. Si portò a Parma dove esercitò per qualche mese la sua carica. Dopo vi rimase come ministro della casa d’ Austria. Dovette abbandonare quelle provincie in causa dell’ invasione di Murat estesasi fino a Reggio. Si ritirò egli a Mantova, di dove, passato il pericolo, si rese a Piacenza. Fu quivi che ricevette ordine di portarsi a Vienna, dove fu nominato Consigliere intimo di Stato, ministro plenipotenziario ed inviato straordinario presso la Real Corte di Modena. Questo traslocamento recò dolore ai Parmeggiani, i quali a gara non cessavano di encomiare i meriti e le virtù dell’ eccellente ministro.
Egli aveva un figlio maschio, il conte Carlo, già Ciambellano del Re d’Italia, e poscia dell’ Imperator d’Austria, maritato nella signora marchesa Catterina Brignole Sale di Genova, dalla quale ebbe due figli, e cioè il conte Napoleone Ferdinando, e la contessa Anna. Oltre il suddetto, ebbe ancora due figlie, amendue maritate in Francia, colla ricca dote di L. 500000 per ciascuna, oltre l’eredità pervenutagli dalla signora D. Marina Pepoli loro avola. L’ una era maritata nel sig. de S. Aignan, che in gioventù fece due volte il giro del mondo, dei quali uno fatto in unione ad Entrecasteaux alla ricerca della Peyrouse, è ricordato da un’ isola che porta il suo nome nelle vicinanze della Nuova Olanda. L’ altra figlia minore fu maritata al signor di Langeac de Scoraille, famiglia nobilissima dell’ Auvergne.
Il prelodato conte Ferdinando intervenne anche, come ministro, al famoso congresso di Rastadt.
Coltivò le lettere, e particolarmente la poesia. Pubblicò parecchie sue composizioni, fra le quali Cleopatra tragedia. Nelle belle arti fu inteligentissimo ed erudito. Fece i suoi studi in Modena nel collegio di S. Carlo, nel quale si applicò anche alla storia naturale sotto il tanto celebrato Spallanzani, nonchè alla medicina e chirurgia. Scrisse con somma facilità, e fu instancabile al tavolino. Sia in Francia che in Italia conservò sempre un estesissimo carteggio, per il quale, quantunque affollatissimo d’affari, non si servi mai dell’ aiuto di alcun segretario; gli stessi dispacci e rapporti della maggior importanza volle sempre farli da sè stesso. Egli era decorato della legion d’onore, fu cancelliere dell’ordine della Corona di ferro a gran cordone del medesimo.
Questo uomo eccellente, fregiato delle più rare ed apprezzabili qualità che tanto distinguono un cittadino, fu li 9 giugno 1816 attaccato da febbre, giudicata gastrica. Serpeggiavano in Modena e nel territorio molte malattie di questa specie. Tutto ciò che l’ arte può somministrare fu messo in opera per salvare l’illustre infermo. I medici Padova e Fattori di Modena, il celebre professor Tommasini di Parma che si portò a Modena il 14, il 17 e il 19, un consulto del medesimo col dott. Uttini tenuto in Bologna, non valse ad arrestare il corso di quella malattia. Il 18 si confessò e fece testamento, il 19 prese il viatico; in tutto il corso della malattla fu pazientissimo, sempre presente a lui medesimo, se non che mai di mandò vedere alcuno de’ suoi figli e amici. Il 21, alle 3 1/2 pom. l’infermo si aggravò talmente, che alle 11 della sera i figli l’ abbandonarono. Spirò li 22 alle ore 5 e minuti 25 della mattina. La sua morte seguì nella così detta Rua grande di Modena, nella casa Sabattini.
Nel suo testamento, che era stato da lui steso mesi prima, fu assistito dal marchese Livizzani e dall’ avv. Candrini di Modena. Lasciò esecutori testamentari l’arcivescovo di Bologna, il dott. Alboresi, Giuseppe di Gio. Battista Guidicini, e il marchese Brignole, i quali tutti concordemente rinunciarono all’ onorevole mandato.
I considerevoli vantaggi che S. E. il Ministro procurò alla sua famiglia, furono i seguenti :
Tutto il patrimonio lasciatogli da suo padre conservato intatto.
Pagati diversi debiti lasciatigli dal padre.
Impiegati 18000 scudi in fabbriche nelle tenute di Malalbergo e Gallo.
Acquistate tre possessioni, e cioè due a Tizzano, e una a Calcara.
Acquistati tutti gli stabili Sora in confine del palazzo Marescalchi.
Fabbricato quasi di pianta il palazzo di Mezza Ratta, e fatto colà un giardino inglese.
Fabbricate tre case coloniche a Tizzano.
Ridotto nel palazzo un magnifico appartamento e ammobigliato sontuosamente.
Fatta una galleria di quadri nella quale spese più di L. 250000.
Radunata una ricca e copiosa libreria nella quale spese da 180000 lire.
Spesi nel matrimonio di suo figlio colla Brignole L. 110000.
Corredata la casa di gioie per la signora pel valore di L. 90000.
Ammassate delle argenterie per il valore di più di 100000 lire.
Raccolto un ricchissimo gabinetto di conchiologia e di metalli.
Pagate in denaro sonante L. 400000 a conto del milione dato in dote alle figlie.
Un capitale rispettabilissimo di porcellane e di cristalli.
Una raccolta di settanta e più scattole, la massima parte curiose, e non poche di gran valore.
Una raccolta di medaglie d’oro d’argento e di rame.
Molti bijoux per suo uso, e di non piccolo valore.
Biancherie finissime da tavola.
Molti oggetti di curiosità in bronzi, marmi, ecc.
Capitali di carozze, cavalli, ecc.
Egli Mori d’anni 63; fece tutto questo, e lasciò un debito di sole L. 180000 italiane, cento delle quali lasciate da suo padre.