Si crede che un certo Mezirando Bresciano, Potestà di Bologna, abbia dato origine a questa famiglia, ma vari documenti assicurano che è antica Bolognese, proveniente da certo Oddo della Romeggia, che ne era signore circa il 1200, e cominciò a chiamarsi dalla Fava.
Nel 1347 Pietro di Guidotto era della parrocchia di Santa Maria Maggiore.
Nel 1505 Andrea di Guglielmo era drappiere e strazzarolo.
Nel 1530 Annibale d’Andrea era della parrocchia della Maddalena.
Del 1514 Francesco d’Antonio, del 1538 Guglielmo di Cesare e Maria Iacopo di Guglielmo, e del 1554 Baldesserra di Francesco erano della parrocchia di S. Nicolò degli Albari.
Nel 1569 Pier Francesco aveva casa presso quella dei Loiani, poi Riario, come pure Ottaviano d’Annibale l’aveva sotto la parrocchia di Santa Cecilia. Ebbero sepoltura in S. Gio. in Monte ed in S. Giacomo.
Nel 1582 Camillo di Girolamo esercitava l’arte della seta e della lana, ed era della parrocchia di S. Procolo.
Nel 1592 avevano beni a S. Giovanni in Triario, a Bagnarola, ed una bottega nelle Spaderie.
Nel 1559 Annibale di Giulio era della parrocchia di S. Tommaso di Strada Maggiore.
Ramo Fava detti da Stifonte, perchè possedevano terreni con antico palazzo e torre nel detto Comune. Si suddivise poi in vari rami, per la maggior parte però ridotti a stato assai povero, avendo già alienato quasi tutto il possedimento a Stifonte, anzi alcuni furono ridotti ad esercitare arti meccaniche per vivere, però questo ramo non ha rango nelle famiglie nobili come gli altri Fava. I beni che possedevano a Castel de’ Brìtti erano degli Aldrovandi. I predetti rami Fava da Stifonte derivano però indubitatamente dalla nobile famiglia Fava, e si ritirarono a Stifonte trovandosi di facoltà ristrette. Si mantennero per qualche tempo con impieghi nobili, e per lo più militari, ma poi diramandosi in vari rami, e cosi diminuendo le facoltà, e molto avendo speso nella curia Criminale, si ridussero in povero stato.
Ramo da S. Domenico, che abitava nel bel casamento che fa angolo alla via del Cane e alla via larga di S. Domenico, rimpetto ai Barbazza, il qual casamento ha due facciate ornate di macigni. Questo ramo s’ estinse nel 1639 in Iacopo Maria di Guglielmo di Iacopo Maria, e la detta casa passò al ramo della Madonna di Galliera. Possedevano beni a Marano.
Ramo da S. Salvatore, che abitava rimpetto a detta chiesa, allo scoperto, nella casa poi affittata ai Dazieri Morelli. Questo ramo si estinse nel 1730 nel conte Alberto d’Orazio, e la sua eredita, in causa di Laura d’ Orazio, passò agli Albizzi di Cesena. Possedeva beni a Cazzano e a S. Martino in Soverzano, che furon comprati dai fratelli Chiesa periti. Nel 1623 avevano beni anche a Bagno di Piano.
Ramo della via dei Vitali, che si estinse, e la sua eredità passò all’ospedale della Morte. La casa fu comprata da Antonio Pederzani. Aveva beni a Funo, a Casadio con ma gnifico palazzo di campagna fabbricato con molta spesa, che fu atterrato dall’ erede ospedale, che ne vendette i materiali.
Ramo delle suore della Maddalena, che abitava nell’ angolo di Strazzacappe in Galliera. Estintosi il ramo della Madonna di Galliera, questi della Maddalena comprarono quel palazzo, e vi si trasportarono ad abitarlo. Da non molto un cadetto di questi, ammogliatosi, tornò ad abitare in detta casa rimpetto alla Maddalena, e vi formò un nuovo ramo Fava, che nel 1773 era continuato da Alessandro del conte Nicolò. Questo ramo aveva beni e bel palazzo situato in delizioso poggio a Ceretolo.
Ramo della Madonna di Galliera. Il palazzo fu già abitato da un ramo antico e diverso dal presente, che si estinse in Antonio di Francesco Fava, dopo la di cui morte, come fu detto più sopra, il detto palazzo fu comprato da quelli che abitavano dalla Maddalena. Si pretende che i presenti Fava siano discendenti da un Ercole che assunse il cognome Fava per esser figlio di Fabio Lana e di Smeralda Fava, e per la morto di Ercole Fava suo cugino, seguita senza figli nel 1605, assunse il cognome Fava. Ma i predetti conti Fava pretendono veramente discendere dal detto Ercole Fava figlio di Lodovico di Galeotto Fava. Questo ramo ebbe un eredità Ghisilieri, e però ne porta il cognome e ne inquarta le armi. Ebbero pure l’eredità di Gio. Francesco Rossi Poggi, e parte di quella di monsignor Lattanzio Sega Vescovo d’ Amatunta, della quale gli toccò il bel casino Sega a Castenaso.
Il conte Nicolò Fava, della famiglia che abitava di faccia alle suore di Santa Maria Maddalena di Galliera, ebbe in madre una sorella della moglie del notaio Arcivescovile Antonio Franchi. Fu uomo alquanto irascibile, non privo di certo tal qual talento. Nella sua gioventù gli fu mestieri fuggire da Bologna per essere incorso in seri guai col Cardinal Legato Boncompagni, e riparare a Modena ove vi si trattenne parecchi anni. Avuta l’eredità dei Fava che dimoravano di faccia alla Madonna di Galliera, si compose colla Legazione, e ripatriato sposò una Marescotti Berselli, e cioè una Mattarelli pronipote dell’ oste della Marescotta fuori di Strada Maggiore. Giunto il 1796 si spiegò animoso partigiano dei Francesi, ed in casa sua inaugurò un club nel quale fu formulato un indirizzo a Bonaparte firmato da molti, onde ottenere che Bologna non fosse restituita al Papa. Impiegato dal governo provvisorio, e specialmente nella guardia nazionale, non mancava ogni sera ammonire i giovani nazionali imbrandendo la spada perchè giurassero — mai più Papa — Fu esso spedito al congresso di Peggio e Modena, dove vieppiù manifestò i suoi principi democratici, ed in guisa tale che fu scelto per andare ambasciatore a Parigi per la repubblica Cispadiana, e dal congresso eletto membro della medesima. Bonaparte però non assentì, e così, invalsa la certezza che non godesse della stima del generale, non fu più, siccome lo era dapprima, considerato dal partito, ma anzi negletto ed abbandonato. Indispettitosene il Fava diedesi alla vita devota ed al più spiegato attaccamento per il Papa. Ma ciò che è ben singolare da notarsi si è che in questa sua, direm così, rinnegatone ebbe a compagno il marchese Davia che era stato parecchi anni rinchiuso nelle carceri dei Sant’Uffizio, da dove era riuscito fuggirne miracolosamente rifugiandosi a Modena, e quivi conosciutisi strinsero amichevoli rapporti fra loro. Il Fava e pel suo subitaneo cambiamante e per le sue intemperanze politiche non fu mai più tenuto in verun conto dal Governo Italiano. Esso però, governato sempre da una prepotente smania di primeggiare, dopo l’abdicazione di Bonaparte, seppe insinuarsi nell’animo di parecchi Bolognesi che si erano sempre conservati riverenti pel partito Pontificio, talchè questi lo mandarono a Vienna perchè si adoperasse pel ritorno del Papa a Bologna, siccome seguì, ma non certamente per mezzo suo, dacchè il congresso non lasciossi giammai influenzare da un uomo della sua tempra. Pure per munificenza del Santo Padre gli furono accordati duemila scudi annui sopra i sali e tabacchi. Il marchese Angelo Marsili, già senatore, temendo che una sua figlia potesse essergli chiesta in matrimonio da un generale austriaco, cercò di maritarla su due piedi, e presentatosi il figlio di Nicolò glie l’accordò tosto con una dote richissima, ma senza l’assenso della nobilissima sua parentela, e specialmente del conte Carlo Caprara che non volle nemmeno intervenire alle nozze.