Essendosi praticato in questa storia di dare le origini di parecchie famiglie viventi, siccome la Pepoli, la Bentivogli ed altre, stimasi opportuno il dir qualche cosa su quella di Bacciocchi che, sebbene straniera, fu però ascritta alla nobiltà bolognese. Trae essa origine dalla Corsica, isola del Mediterraneo appartenente all’Italia e soggetta al regno di Francia.
Prima della rivoluzione francese contava dieci città, la principale delle quali di 6000 abitanti; 15 villaggi e 51 pievi, il tutto popolato nel 1740 da abitanti 120380, nel 1760 da 130000, e nel 1800 da 166813. Fu divisa in due dipartimenti, e cioè di Golo (capo-luogo Bastia), e del Liamone (capo-luogo Aiaccio). Il primo comprende la parte settentrionale ed orientale dell’ isola, a cui si attribuiscono 25.6 leghe quadrate di superficie, e 103466 contribuenti che pagavano Fr. 1 cent. 66 11/12 per testa. Il secondo abbraccia la parte meno fertile e più montagnosa della Corsica esposta al mezzodì ed all’occidente, di estensione 228 leghe quadrate popolate da 63347 abitanti, che pagavano l’annuale contributo di Fr. 1 e cent. 55 I/2 per ciascuno.
Nella parte più povera evvi il cantone d’Ornano che vide nascere il gran Napoleone Bonaparte li 15 agosto 1769, e lo stesso dipartimento del Liamone diede alla luce nel 1762 Pasquale Bacciocchi. Il ricco e il potente, discenda pure dalla più modesta casta, non manca d’illustri antenati nella mente degli storici e dei poeti, quasi che le adulatrici loro favole potessero reggere al confronto degli atti degli archivi e delle memorie dei contemporanei.
Bacciocchi doveva esser nobile d’origine perché il caso lo volle cognato dell’uomo più grande del secolo. Concesso che Pasquale discenda da nobil lignaggio delle montagne del Liamone, sembra però che lui stesso e suo padre non fossero assistiti dall’autrice e conservatrice della nobiltà, la ricchezza, perché il genitor di Bacciocchi fu obbligato ad opere servili. Nel corso delle vicende umane non di rado si presenta all’uomo il modo di migliorar condizione, basta ubbidire agli impulsi della fortuna. Pasquale fu piuttosto avvenente in gioventù e rubicondo. Nel luglio di ogni anno passava dalla Corsica a Sinigallia, dove correva la fiera smerciando occhiali, che portava in una cassetta appesa alle spalle. Inspirato dalla fortuna diede per sempre un addio alle montagne della Corsica, e abbandonando il commercio degli occhiali ed altro, passò a Nizza mentre Luciano Bonaparte vi era impiegato nell’amministrazione di parte del materiale dell’armata francese destinata alla conquista dell’Italia. S’incontrarono i due compatriotti, e il destro Luciano si servi di Bacciocchi senza riserbo.
Non essendo Pasquale che semplice ufficiale di fanteria, ottenne li 5 maggio 1798 la mano di Elisa Bonaparte nata li 3 gennaio 1777. Quest’alleanza gli valse il grado di colonello del 26. mo reggimento di fanteria leggiera, e siccome i bollettini dell’armata conservarono sempre un assoluto silenzio sull’ufficiale Bacciocchi, cosi è chiaro che non fu merito, ma favore che lo spinse a questo avanzamento. Pareva all’ordine del giorno che man mano che aumentava in potenza il cognato, ancor Bacciocchi dovesse far progressi nella carriera militare, ma egli non era un Murat a guadagnarseli, perciò rimase un infisso del suo reggimento, del quale divenne il decano, siccome lo divenne della numerosa classe dei colonelli delle armate francesi.
Nel 1801 ottenne in titolo il grado d’aiutante generale, non sapendosi però a qual generale d’armata attiva fosse egli attaccato; è però certo che nel 1805 era ancora il colonello del 26.mo, due battaglioni del quale erano accampati a S. Omer, ed il terzo in Sedan sotto il maggiore Pescery.
Napoleone nutriva da molti anni il progetto di innalzare sé stesso e la sua dinastia al trono di Francia. Parvegli giunto il momento propizio, e coi Senati Consulti organici, 18 maggio e 6 novembre 1804, ottenne quanto desiderava. Divenuto il più gran monarca d’Europa, non era decente che il marito di una Bonaparte fosse semplice colonello delle sue armate, ma non era nemmen decoroso, stante l’assoluta sua innettezza, il promuoverlo militarmente. Esisteva in Francia fino dal 25 dicembre 1799 il Senato conservatore composto di uomini ubbidientissimi a qualunque volere di Napoleone. Il mezzo sicuro per esser nominalo a quella carica era quello di presiedere un Collegio elettorale. Si volle Bacciocchi senatore, e si destinò a presidente del Collegio elettorale del dipartimento delle Ardenne, e li 29 novembre 1804 sedette fra i così detti conservatori delle costituzioni francesi, e fu decorato del grado d’ufficiale della Legion d’ onore.
Li 2 dicembre 1804 segui l’incoronazione dell’Imperatore nella chiesa di Nòtre Dame. È impossibile il figurarsi la magnificenza e la sontuosità di quell’augusta cerimonia. Rheims, Mosca, Vienna presenteranno molto in simili casi, ma sarà sempre poco in confronto dell’immenso della coronazione di Napoleone.
Il cerimoniale escluse l’intervento del senator Bacciocchi e del generale di brigata Borghesi, benché legati in parentela coi Bonaparte, onde se furono a Nòtre Dame vi figurarono come semplici testimoni della comparsa che vi fecero le auguste loro spose.
Li 18 marzo 1805 l’Imperatore si rese al Senato per informarlo d’ aver accettata la reale corona d’ Italia, e di aver ceduto il principato di Piombino in piena proprietà alla sorella Elisa. In tale occasione decorò il senatore Bacciocchi della grand’aquila della legion d’onore, e, come marito di Elisa, fu riconosciuto principe di Piombino, ma di solo titolo. La repubblica di Genova ottenne in Milano di far parte dell’impero francese, e dietro quest’esempio fu sollecita quella di Lucca a supplicare per avere una costituzione e per esser governata da un membro della famiglia imperiale.
Li 23 giugno 1805 i Lucchesi furono esauditi, ed ebbero i Principi Elisa in primo e Pasquale Bacciocchi in secondo.
Li 10 luglio susseguente fecero l’ingresso in Lucca di dove la principessa governava i 179030 sudditi che componevano la popolazione dei due principati di Lucca e di Piombino. Le monete dei due principati avevano l’effigie dei coniugi Bacciocchi, ma il profilo di madama sul davanti lasciava appena travedere la siluet di monsieur di dietro al suo.
La famiglia Bonaparte era composta di Giuseppe già re di Napoli, poi delle Spagne; di Luigi re dimissionario d’Olanda; di Girolamo re di Westfalia; di Annunziata in Murat regina di Napoli; di Luciano apparente sprezzatore della grandezza dei fratelli, di Paolina in Borghesi principessa di Guastalla, e di Elìsa in Bacciocchi. Tutti erano necessariamente conosciuti nella capitale dell’Impero all’infuori del Bacciocchi che non si sapeva se, e dove esistesse, e bisognava sfogliettar almanacchi per sapere che vi fosse un principe di tal nome, mentre i nomi dei Berthier, dei Talleyrand, dei Cambaceres e di tanti altri ri suonavano per ogni dove, e per ogni angolo della gran capitale. In sedici anni di soggiorno fatto sulla Senna, e in mezzo si può dire alla Corte, lo scrivente di quest’opera non ha mai veduto i Bacciocchi né prima, né dopo il loro principato.
Li 2 marzo 1809 il Senato eresse in governo generale e in gran dignità dell’Impero i dipartimenti della Toscana, alle quali cariche fu nominata Elisa il susseguente giorno col titolo di Gran Duchessa, e Pasquale a quella di comandante generale della divisione militare dei dipartimenti Toscani. Finalmente nel 1813 Bacciocchi ebbe il grado di generale divisionario della classe di quelli da impiegarsi straordinariamente, che equivale ad honorem.
La fortuna sazia di prodigare, per i meriti di un solo, tanti favori ai Bonaparte e ai suoi alleati di parentela, decretò la fatal giornata delli 11 aprile 1814 nella quale Napoleone sottoscrisse il trattato di Fontaineblau, riservando per sé il miserabile isolotto dell’ Elba ed il vano titolo d’Imperatore. La famiglia, niuno eccettuato, precipitò nella classe dei privati. Per una sì grande ed impreveduta metamorfosi, il principe Pasquale Bacciocchi non mostrò rammarico di sorta, e puossi spiegare tale sua apatia dal considerare che della sua elevazione ne raccolse le spine, non mai le rose. Napoleone nel suo asilo potè scoprire che i Borboni proponevano al congresso di Vienna la sua relegazione a Sant’Elena, nulla curando la violazione dei trattati, per cui tentò un colpo ardito, che poteva liberarlo dalla minacciata cattività, e fors’anche restituirlo al trono. Cosi la notte del 26 febbraio 1815 salpò dall’isola d’Elba, in cinque giorni approdò a Cannes, e in venticinque rimpiazzò i Borboni in Parigi.
Sembrò che la fortuna arridesse alle intraprese di quest’uomo sempre grande, ma non fu che apparente il suo favore, perché tradito per perfidia, o per ignoranza, da qualche suo generale, perdette li 18 giugno a Waterloo ogni speranza di regnare.
Li 29 susseguente partì da Malmaison per Rochefort, e anche in questo la sua stella non gli fu meno avversa, perché se avesse seguito Giuseppe a Bordeaux poteva salvarsi in America, il destino invece lo diresse fra i suoi più implacabili nemici i quali lo seppellirono in quello stesso scoglio al quale voleva momentaneamente sottrarsi.
Elisa e Pasquale, per le conseguenze del 1814, dovettero abbandonare i principati e la Toscana. Rifugiaronsi in Bologna dove abitarono il palazzo Beauharnais, e durante il loro soggiorno acquistò Elisa la villa Caprara posta subito a sinistra fuori di porta S. Felice. La fuga di Napoleone dall’isola d’Elba ingelosì il governo Austriaco che obbligò i Bacciocchi a portar la loro dimora nelle vicinanze di Trieste dove l’ ex Principessa comprò una terra col titolo di contea di Compignano, e vi mori pochi anni dopo, testando a favore dei figli, e lasciando un miserabile legato a Bacciocchi, che ricorrendo a Vienna ottenne gli fosse aumentato. Rimasto vedovo e legatàrio della moglie, ottenne dalla Corte di Vienna di vivere sei mesi in Germania e gli altri sei nel Bolognese. Prese egli dapprima un quartiere in affitto nella casa del ferrarese Bottoni in Strada Stefano, poi acquistò il palazzo Ranuzzi, ove fece non poche spese per ridurre un appartamento alla moderna foggia, ma non vi riuscì causa la vastità delle camere non adattabili alla mobigliatura dell’epoca.
In seguilo contrattò per la compra della tenuta già Odorici alla Mezzolara, passala poi nelle mani dei Pizzardi. Volendo egli impiegare il suo denaro al frutto del 6 per cento in terreni, quando si stentava ottenerlo nei cambi, il Pizzardi per tranquillarlo si offri condurre la tenuta per vari anni pagandogli l’affitto in ragione del 6 per cento sul capitale del prezzo. Pasquale si persuase e segnò i contratti di compra e di affìttanza, per cui terminata la locazione si accorse il Bacciocchi quanto effettivamente gli avesse fruttato il suo denaro.
Elisa ebbe un maschio nato in Bologna, e Napoleonq Elisa nata li 3 giugno 1806. Questa giovinetta, sommamente vispa ed allegra, toccava di già l’età per aspirare ad un collocamento, la ricca sua dote però non risolse alcun bolognese, e dicesi fosse da alcuni rifiutata. Si presentò Camerata di Ancona, di nobile lignaggio, ma di mezzi ristretti, ed a lui fu concessa. Maritata Napoleona, pensò il Bacciocchi di rimaritarsi. Piacevagli la figlia della già maitresse della Camerata, e su di essa formò progetti. Il suo agente Le-Bon credette che questo matrimonio non convenisse all’ex principe, e si adoperò alacremente affinchè non avesse luogo. Fra gli assidui alla tavola di Bacciocchi vi era il marchese Borelli d’ Imola a cui Le-Bon manifestò le ricchezze della ragazza, e le generosità che avrebbe prodigate il padrone nel caso di accasarla. Borelli non disprezzò l’offerta, tanto più che mercé quella migliorava condizione, e cosi cominciò a corteggiare la giovane, e finalmente a chiederla in isposa. La maitresse che conosceva l’inclinazione dell’ex Principe per la figlia, fu facilmente persuasa dal Le-Bon questo essere il mezzo per sollecitare il matrimonio di Bacciocchi, il quale aveva dati già non equivoci segni di gelosia. Bacciocchi ebbe anch’esso la sua lezione dal Le-Bon che dipinse Borelli per un volubile, la ragazza per una capricciosa, e la madre per un’ ingrata. S’indisponi naturalmenle Bacciocchi, licenziò il Borelli, le due donne, e finì la commedia col trionfo del Le-Bon. Borelli. finalmente, informato di quanto succedeva, si ritirò con un biglietto incolpando la sua signora madre esser contraria a un sì disuguale matrimonio.
Non pertanto Bacciocchi si sentiva inclinato a rimaritarsi, ed offrì la sua mano ad una gentil vedovella. Chi poteva prevedere che donna di pochissima educazione e di niun talento avrebbe avuto il buon senso di non dar retta all’ambizione ed all’amor proprio, rifiutando di divenire la contessa di Carbognano? Ma quando la fortuna ha volte le spalle, non è in potere di un ex principe il vincere nemmeno nella parte la più debole il bel sesso. La vedovella seguitò a partecipare delle buone grazie del vecchio spasimante, il quale la distingueva coll’incarico di far gli onori di casa in circostanza di conversazioni o di balli. I militari se non sono destri sono almeno forti nel cavalcare, ma il disgraziato Bacciocchi cadde nel 1826 di sella, e divenne zoppo senza speranza di raddrizzarsi.
Le spoglie mortali di Elisa furono nel predetto anno trasportate a Bologna, e poco mancò che nel tragitto da Trieste a Venezia non fossero ingoiate dal mare assieme al cappellano che le accompagnava; le deposero temporaneamente nella cappella privata del marito, finché fosse compiuto il meschino deposito che s’intendeva erigere nella cappella Rossi della Basilica di S. Petronio. Le ricchezze di Bacciocchi, o per meglio dire quelle de’ suoi figli, attenendosi alle dicerie dei cortigiani, erano considerevoli, se poi si dà retta ai meglio informati, sarebbero limitate da 25 a 30000 scudi di rendita. Le-Bon era il felice regolatore di Pasquale, ed era il modello più perfetto della nullità. Il consigliato ed il consigliere furono sempre piccoli in tutto, ed anche in quelle cose nelle quali avrebbero voluto far spiccare idee principesche. Questa storia servirà di scudo ai posteri per non essere illusi da quanto potessero lasciar scritto gli adulatori, gli imitatori dei Cicarelli o d’altri autori prezzolati. Non vi fu nobiltà di lignaggio, non azioni gloriose in armi o in politica nell’autore di questa famiglia, e per persuadersene basti il rifiettere che l’ onnipotente suo cognato lo trascurò continuamente dal 1797 al 1804, e poco lo curò anche dopo, in confronto di Murat che era nello stesso grado di parentela colla famiglia di Bonaparte.