Origine di Bologna

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Luigi Zamboni, Giovanni Battista De Rolandis

In questa piazza ebbe lungo una esecuzione della quale non possiamo astenerci del render conto, e per questo inseriamo intanto la requisitoria del fisco a quella riferentesi nella sua originale versione e recitata dal medesimo in Tribunale.
Soggetti sempre i buoni alla malvagità de scellerati non giova a preservarli l’attaccamento, che di natura essere dovrebbe fra loro, non basta la vigilanza dei governi a frenarli e non vale l’esempio di tanti castighi ad anichilirli. Si è dovuto purtroppo in oggi soffrire la sfacciata maniera, colla quale sotto l’aspetto di spiritosi o di eruditi discorsi è stata fatta sediziosa pompa di massime coperte da velo d’immaginaria felicità, che squarciato ben presto hanno dimostrato il complesso di molti flagelli.
Ingannati taluni dalle ombre di sì perniciose imposture, avesse voluto l’ Altissimo che fossero stati in tempo ad esporle alli lucenti raggi della verità, avrebbero veduto allora, che dissipate all’ istante dalla forza di questi, altro non erano in sostanza che un vero Ateismo. Siccome però chi travia dalla retta strada, va d’ ordinario di male in peggio, così erasi giunto per fino a più non curare la pubblica quiete, a non rispettare il Sovrano, ed a non aprezzare la religione. Sembrerà affatto impossibile, che noi grembo di santa Chiesa abbia ad esservi stata tanta rilassatezza e che siasi voluto cercare la ruina di quel buon ordine si gloriossamente mantenuto. Eppure con sommo rincrescimento dei buoni è convenuto sentire, che anche in questa Città illuminata siavi stato un pessimo individuo che seducendo degli altri, nell’autunno dell’ anno prossimo scorso abbia attentato di spezzare quel dolce freno sotto cui l’ immortai Pio VI magnanimo dominatore fa che ognuno giubili nel vero bene.
Cospirazione assai maligna, mentre niuna apparenza poteva eccitarla, sarebbe stata difficil cosa, senza il celeste aiuto di prevenirla. Ristretto il segreto in pochi letterati, quanto impossibilitava la scoperta altrettanto avrebbe reso facile l’effetto. Favorita dall’ accidentalità dell’assenza de Birri in tal frattempo a scanso di maggiori inconvenienti col militare disgustato con loro per cause dif ferite, chi non avrebbe creduto, che l’iniqua trama fosse giunta al suo compimento? Sanno pur troppo i secoli quali lacrimevoli conseguenze sieno derivate anche da piccoli principii, ne s’ignora di presente quanto debba chi governa raddoppiare la vigilanza per salvarsene. Nulla per altro a giorni nostri giovarebbe l’accortezza umana a fronte della tanto raffinata malizia. La Divina Provvidenza però apponendo sempre il forte scudo a suoi offensori, fa germoliare que’ mezzi, mediante i quali chi presiede possa impedire il male, e le somministra il dardo vendicatore, che nel ferire i rei, gl’ innocenti sana. Agli altri esempi sino ad ora seguiti su questo particolare, la causa di cui in adesso deve farsi relazione all’ Em.za Vostra , ne aggiunge maggior prova, anche per l’ infelicissimo fine a cui è soggiaciuto il principal autore di un tanto delitto, cioè:
Luigi Zamboni bolognese d’anni 22 di vile estrazione, ma possessor di più lingue ed instradato nella legge. Imbevutosi questo di pessime idee fin da giovanetto, soffrì mal volontieri di non essere riuscito a promuovere in questa Città una sollevazione nel giorno della mezza Quaresima dell’ anno 1790 mediante lo spargimento di più sediziosi biglietti da lui medesimo composti , e scritti nella seguente maniera:
Manifesto: Se vi sta a cuore il bene della Patria, leggete. Siete invitati a seguitare con armi coraggiosamente chi comincierà a liberare Bologna dall’insopportabile giogo di chi governa con tiranniche oppressioni. Chi comincierà, non sarà solo, ma avrà buon seguito. L’ effetto seguirà a mezza Quaresima la sera della Vecchia, ad un ora di notte nel mercato alla Montagnola. Ecco l’occasione di ricuperare l’antica libertà, non lasciate sfuggirla. Siete voi codardi? Si vedrà. Di ciò vi avvisa parte del Popolo.
Persistendo sempre più nell’iniqua sua mira , mai ne abbandonò il pensiero, e datasi poi per lui la sfortuna nell’ anno 1791 di aver acquistata conoscenza di certo sacerdote Marsigliese denominato Monsieur Ivan Bouset ottenne da questo lettera comendatizia all’ oggetto di essere ricevuto nelle Milizie Nazionali di quella Città, como seguì, essendovisi tradotto improvisamente. Quanto mai potesse crescere l’ alterazione delle sue massime, è facile l’intendorlo, tosto che si considerino li prodotti di quella Nazione. Restituitosi quindi con licenza alla Patria nell’anno prossimo passato dopo di essersi reso disertore della Cavalleria Pontificia in Corneto, dove per fino aveva voluto servire per alcuni mesi sotto il finto cognome di Rinaldi, tornò in apparenza allo studio legale, in cui diceva volersi adottorare.
Sotto questa vista di studio teneva segreti colloqui cogli altri Studenti riguardo al complotto e coltivava l’occulto carteggio con il medesimo Bouset non che con certo Monsieur Alexandre Renoux pure marsigliese, mediante la corrispondenza in Genova con un tale avvocato Luigi Berselli, ricevendo notizie della Francia, e dandone esso sullo spirito di malcontento e facilità di far succedere qui una sollevazione. Inteso con tali soggetti, che nella primavera del corrente anno sarebbe stato il tempo più opportuno di suscitarla, per così impedire che si andasse contro le forze francesi, che ad ogni costo avrebbero tentato d’ invadere l’ Italia, stabilì esso Zamboni di anticipare questa scellerata impresa e la fissò per la sera dei 16 novembre prossimo passato, perchè fosse tutto suo l’abominevole trionfo.
Prima peraltro della sera stabilita, e precisamente in quella delli 9 dello stesso mese avvenne il fatto, pel quale si fece assentare li birri da questa Città, come si è detto, e trovandosi allora l’ Em.za Vostra alla visita dei lavori della Commissione d’acque, mentre andavansi disponendo lo cose, per la quiete fra il militare, e li birri , volle l’ Ente supremo, che in vece di vieppiù innoltrarsi per l’ultimazione del pravo disegno, si spaventasse nel giorno 11 di tal mese
Angelo Sassoli bolognese dottore di legge, uno dei sedotti dal Zamboni, dello scempio che sarebbe seguito in quella congiuntura, e sobbene non a giorno del tutto si determinasse a far avere al Tribunale la notizia vaga, che il Zamboni medesimo con de’ seguaci machinava di eseguire quanto prima una sollevazione, contro della suproma autorità del sommo felicemente regnante Pontefice e dell’ attuale Governo.
Nel seguente giorno poi delli dodici , entrato in qualche sospetto l’altro dottor di legge Antonio Succi dalla Molinella, principal compagno del Zamboni istesso, che il Tribunale avesse scoperta qualche cosa, si appigliò al malizioso ripiego di farlo sapere ancora lui ed artifiziosamente dimostrando esserli necessario qualche altro scoprimento che si esibì di fare, gli si diede campo da eseguirlo.
Sotto lo stesso giorno dei dodici pervenne una consimile notizia all’E.mo Arcivescovo per parte del Chierico.
Andrea Cofano di Asti nel Piemonte colleggiale in questo Collegio Ferrerio detto della Viola espresse avergliene fatta confidenza l’altro Collegiale. Giovanni De Rolandis pure Piemontese studente di legge similmente uno dei compagni del Zamboni. Siccome per altro non era riuscito ad esso Cofano di distogliere il De Rolandis dall’ iniquo pensiero d’ insurrezione, conforme aveva provato così sopreso di timore si determinò a partire da questa Città, e presentossi all’altro governo di Ferrara, secondo si seppe in appresso, per avere sempre più palesata l’ istessa cosa.
In sequela di ciò fu il prelodato E.mo sollecito a convenirveli, e diedesi tutta la cura, acciò il De Rolandis con promessa di assistenza spiegasse l’intera cospirazione; ma questo invece di prestarsi alle autorevoli paterne insinuazioni del suo superiore, ed invece di ubbidire al comando fattogli avere di non partire da quel collegio se non che presentarsi a lui se ne assentò improvvisamente nella seguente sera dei 13 dando cosi manifesti contrasegni della propria delinquenza, benchè l’avesse impugnata costantemente.
Dal complesso di tante circostanze si venne in certezza della cospirazione, quale volendosi reprimere esigeva il sollecito ritorno de’ Birri assenti; come si è detto. Per ottener ciò senza il disturbo del militare, si diede il Governo la maggior premura per aquietarlo, ed essendovi riuscito si spedì nella notte di detto giorno dei 13 a richiamare le squadre degli esecutori; ma nella notte istessa da sei porsone armate in figura di Birri furono distribuite in vari luoghi di questa Città ed anche consegnate in mano di alcuni, molte copie del seguente manifesto, che vedeansi scritte tutte di uno stesso carattere:
Avviso al Popolo. Quella libertà gloriosa, stemma della patria, che abbiamo dalla natura stessa sortita, della quale l’ intimo senso altamente ci parla e che ad usarne giustamente ci sprona. Quella dessa o bolognesi vi viene da questo punto restituita, mercè il grato animo dei vostri concittadini cui più il comune, che il privato bene sta a cuore. Forti abbastanza sono i motivi, che ad un tal passo ci spronano. I diritti dei Cittadini annullati dalla prepotenza. La ragione alla forza sottomessa. Le pubbliche cariche distribuite in ragion delle persone; non già dai meriti. I delitti dei ricchi impuniti, calunniata l’ innocenza del povero. I Magistrati Nazionali od inattivi , o determinati da privati riguardi. Le imposte maggiori della forza dei Cittadini, ed esatte a danno del più povoro; queste ingiustamente carpite alla Comune utilità; ingannati a un tempo da promessoci protezione, ben presto degenerata in sovrano dominio, coperto da velo di libertà, che in fìne squarciato vengonci usurpati i più sacri diritti, che formavano sì la privata, che la pubblica felicità. Ha riclamato, ma invano il misero popolo di Castel Bolognese, al quale unita Bologna tutta contro l’uso tale tirannia reclamava ed assai le pesa il dover soffrire ulteriori disastri. Scuotetevi o Cittadini da quel letargo in cui giacete profondamente immersi, che vi rende, si inoperosi al ben pubblico, che nuocevoli a voi stessi, e non esitate a seguire l’ orme di chi vi addita la libertà, e la gloria della Patria.
Pervenuta al Tribunale nella mattina dei 14 alcune di esse copie, opinò con ragione , che derivassero dal Zamboni stesso, e sempre più fu impegnato a procedere contro di lui, e dei suoi seguaci.
Nella notte adunque dello stesso giorno furono mandati li birri alla casa Zamboni per carcerarlo ed andativi successivamente i ministri all’effetto di farvi l’ opportuna perquisizione si rese vana ogni diligenza, poichè il Zamboni dopo aver lacerato, e bruciato quanto eragli riuscito, aveva presa la fuga assieme col De Rolandis nella mattina del medesimo giorno.
Mentre peraltro che il governo attendeva seriamente al discoprimento della Catena dei mal intenzionati, con far seguire le catture di
Tommaso Bambozzi Anconetano studente agrimensore.
Luigi Montìgnani e Domenico Zechi ambi perucchirri.
Giuseppe Zamboni fondachiere.
Brigida Borghi moglie di questo, merciara, genitori del ridotto Luigi Zamboni, come anche di
Barbara Borghi sorella di detta Brigida tutti bolognesi.
Giovanni Battista Neri, e Giovanni Osbel Trevisani scranari, e faceva inoltre tener dietro alle traccie delli nominati fuggitivi Zamboni, e De Rolandis, dei quali riuscì averne notizia, e farli arrestare in Toscana muniti di archibuggi, e di sciabole, avendo ancora molte cartoccie alla militare, e specialmente il Zamboni di un coltello fermo al manico, ed il De Rolandis di una pistolla corta, proseguiva il nominato Succi a presentarsi, e per evitare la carcerazione affettava andar procurando di scoprirne il positivo trattato nonostante ch’egli ne fosse pienamente informato.
Compresosi la di lui malizia, poichè diceva le cose soltanto, allorchè dal Tribunale eransi di già risapute, questo fece seguire la cattura anche di lui. Sapendo già esso il seguito arresto dei sudettì Zamboni, e De Rolandis, che poi vennero consegnati , fu pronto a chiedere l’ impunità , che l’Em.za Vostra piacque di concedergliela colla riserva però della relegazione in qualche fortezza per quel tempo che dalla Congregazione verrà decretato.
Sulla traccia adunque del rivelo dell’ impunito, e del dettaglio di alcuni detenuti confessi, furono fatte seguire lo altre carcerazioni di
Antonio Forni manual muratore estratto da luogo Immune.
Camillo Tomasani cordaro
Camillo Galli mozzo di stalla a spasso.
Pietro Gavasetti dottor di legge, tutti bolognesi.
Alessio Succi intendente di campagna fratello dell’impunito.
Giovanni Calori della Molinella calzolaio, e per ultimo.
Giuseppe Succi altro fratello dell’impunito studente di chirurgia stato arrestato in Trento, dove se ne era fuggito, a premura del Pontificio Governo, e quindi consegnato.
Prosentossi in carcere da se Filippo Marzocchi studente di legge, mentre se ne procurava la cattura, e si costituì spontaneamente il nominato dottor Angelo Sassoli.
Inoltre coll’ intelligenza di Segreteria di Stato fecesi venir da Ferrara il ridetto Collegiale Cofano, che restò collocato in un Convento di religiosi, ma essendosegli alterato di molto la mente in vista di quanto avevagli il De Rolandis comunicato su la sollevazione, non riuscì possibile il sanarlo, onde convenne in vista dell’ attestato del medico rimandarlo alla sua Patria in Piemonte , senza sentirlo.
Fu poi soggettato alla Città per carcere.
Salvatore Gavasetti computista fratello del carcerato dottor Pietro, e s’ingiunse precetto di presentarsi d’ ogni chiamata.
Angela Taruffi Conti pure Bolognese, come anco lo stesso precetto venne per ogni buon fine fatto anco a diversi altri, essendo rimasti contumaci soltanto.
Giuseppe Bizzoli negoziante di bestie.
Lazzaro Gherardi studente di filosofia, anch’esso bolognese. Compitosi il processo quale è stato formato anche colle speciali facoltà Pontificie, contro degli Ecclesiastici, e di poter perquisire, non che estrarre dai luoghi immuni qualunque cosa appartenente alla causa, e valersene in esso fino alla sentenza, totale esecuzione della medesima fol. 442 seg. si raccoglie dell’intero complesso in fatto.
Che partito il ridetto Luigi Zamboni da questa Città nell’ estate dell’ anno 1791 dopo di avere nella Quaresima dell’ anno precedente inquietato non poco il governo, mediante i surriferriti sediziosi biglietti, che per più volte andiede spargendo , per muovere una sollevazione , che non ebbe effetto, come si è accennato, portossi a militare a Marsiglia, mediante la comendatizia del nominato Abbate Bouset, e fatti vari giri per la Francia, tanto per terra che per mare, partì con licenza. Avendo vagato in altri luoghi andò alla fine in Roma, senza più pensare a far ritorno a Marsiglia.
Mancatogli peraltro li denari fu allora che entrò nella Cavalleria Pontificia in Corneto, sotto il cognome di Rinaldi, ed in seguito si rese di quella disertore, avendo nel passato anno 1794 fatto ritorno in questa Città, dove rividde di passaggio per Roma il Bouset, che gli diede qualche aiuto di denaro e replicò il concerto per la sollevazione.
Quindi proseguendo il segreto carteggio scriveva in Roma al Bouset colla direzione a Iean Tancrai, ovvero, Iean Biliards similmente Iean Ambaius, come pure Giovanni Roversi, ed anche Deodato Tonini, e facevasi chiamare e rispondere sotto li nomi , e cognomi di Luigi Malpighi, Cosimo Biaggioni e Cosimo Scarelli.
Volendo peraltro esso Zamboni anticipare il tempo, come si è detto, il primo con cai si esternò soltanto sulla sollevazione, fu l’ impunito Sacci, come quello che non discordava delle massime, anche a riguardo d’essere alcuni mesi in carcere un di lui Zio, particolarmente per discorsi fatti contro il Governo e del Sovrano. Fu proposto fra di loro di darvi principio con qualche incendio; per cui adunandosi specialmente della plebaglia potesse questa sollevarsi , mediante la distribuzione dei biglietti sediziosi sulla massima a lor dire fissata del Malchiavelli, che data occasione, nasce sollevazione. Fatto questo concerto, scrissero una composizione, che diceva “Popolo scuotetevi fate valere i vostri diritti, che vi sostiene il Senato” ovvero “Scuotetevi o Senato , che vi sostiene il Popolo”.
Quindi con più maturo consiglio riconoscendo impossibile l’effetto lacerarono lo scritto, ma non abbandonarono il pensiero, anzi in autunno dell’ anno prossimo scorso si riacesero di modo nello stesso particolare, che lo parteciparono al Collegiale De Rolandis, quale portato non poco al libertinaggio, accettò l’ invito con sommo impegno.
Fu partecipato di poi anche al ridetto Angelo Sassoli creduto di talento, per aver fatto conoscere con alcune composizioni recitate in una Accademia detta degli audaci d’ inclinare per la libertà. Questi assai meschino di personale non difficultò d’ unirvisi, quando sentì, che il suo incarico doveva essere soltanto di scrivere sul metodo di un governo repubblicano, e di una nuova Legislazione.
Giuratosi fra di loro la segretezza, mentre si credeva, che il Sassoli cominciasse ad eseguire la sua incombenza, formarono il Zamboni, ed il Succi il già trascritto manifesto da spargersi per questa Città, e pubblicarsi al popolo nella circoitanza stessa, che sarebbe incominciata la sollevazione.
All’oggetto poi di rendersi cauti nel caso di smarimento del medesimo lo scrissero con una cifra di numeri e lettere inventata dal Zamboni, che senza saperne la chiave non si poteva leggere.
Per ben comprendere la somma malizia dei carcerati, ed il grave sconcerto che poteva recare la di loro cospirazione, convien premettere, che nel palazzo ove risiede l’ E.mo Legato vi restano ancora Monsignor Vicelegato, li Ministri della Legazione delle Carceri, oltre l’esservi l’ Ecc.mo Gonfaloniere, diversi uffiziali, le casse del pubblico, e due armarie, una della Reverenda Camera Apostolica, l’altra del Senato, tutte fornite di quantità d’armi da fuoco, e da taglio, non che dei cannoni ritenuti ancora in maggior numero in altro sito nel palazzo medesimo con qualche provvista di monizione. Inoltre dimorando nel palazzo stesso il solo Corpo di guardia Svizzera, che ha l’ incombenza di custodire l’ unico portone del medesimo e di far la guardia nella prima Sala dell’ appartamento di Vostra Em.za, era di costume, che detto portone restasse di notte collo sportello, ossia porticella affatto aperta, fino ad ora molto avanzata, anche a riflesso della pubblica osteria detta dei Cavaleggieri, che vi rimane, e sebbene per il restante della notte venisse tirata la catena, quasi alla metà dell’accennata porticella, per rendere ad uno per volta più scomodo l’ ingresso, tuttavia dalle due ore fino a giorno vi si rendeva visibile una sol sentinella con alabarda, quale a niuno impediva il passaggio, e ragionevolmente reputavasi che gli altri Svizzeri di guardia dormissero, come lo stesso facessero quelli nella sala dell’ accennato appartamento, in cui puole entrarsi per più parti.
Posto ciò non trascurarono il Zamboni ed il Succi di prendorne accertate informazioni, e quindi determinare, che il primo assalto dovesse farsi in detto palazzo, e progettando sempre loro quanto doveva operarsi nella esecuzione, il Sassoli all’incontro trovava difficoltà in ogni cosa, che serviva a progettare con più cautela, ma non potendosi conchiudere con approvazione comune, risolvette il Zamboni abitante in un appartamento terreno con più ingressi, di fare in alcune stanze del medesimo dove lui dormiva un’adunanza di cento e più persone, ovvero di circa novanta, ed anche di minor numero, secondo fosse riuscito, da convocarsi con vari pretesti, e segnatamente quello di farli mangiare e bere. Tale incombenza restava addossata al Zamboni medesimo, al De Rolandis. ed al dottor Succi, assieme coll’ altro fratello Giuseppe, che unitamente ad esso dimorava qui in Bologna alti studi, onde era inteso del tutto, come pure Alessio fratello di loro , che trovasi nella casa paterna alla Molinella e però questo doveva condur seco quanta gente avesse potuto trovare in tal luogo.
Comunicatesi li primi tre fra di loro, su tal particolare le cognizioni che avevano dei soggetti creduti più facili ad accordarsi ne vennero scritte dal Zamboni tre liste sotto la medesima cifra di lettere e numeri, una delle quali, che si crede la più ristretta fu rinvenuta nella casa del Zamboni, giacchè le altre due vennero lacerate da lui medesimo prima della sua fuga. Detta lista dunque rinvenuta spiegandosi colle chiave manifestata dall’impunito Succi, si trova essere del seguente tenore.
NOTA DEGL’INDIVIDUI CONGIURATI
Succi Primo
Succi Secondo
Succi Terzo
Gavasetti Primo
Gavasetti Secondo
De Rolandis
Giacomo
Compagno
Uomo del Succi
Tommaso
Marzocchi
Natale in Borgo S. Pietro
Uomo del Zoppo licenziato
Giuseppe Tentore
Falegname Grattone
verso S. Giuseppe
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Stanislao
Compagno
Sartore piccolo
Fachino ) Bologna
Fachino ) Avigella
Vano del Bianco
dal M. M.
Grattone Avig. Falegname
Gallonista
Peruchiere M. M.
Tentore in Galiera
Di più il Zamboni medesimo formò il piano di quanto doveva eseguirsi coll’enunciata adunanza cioè in questo stato nel numero superiore al cento, una parte dovesse andare ad uccidere li birri, se nel numero di 90 si dovesse uccidere soltanto chi avesse resistito, e se minore, in questo caso dovesse dirsi il colpo disperato, con far ciò che fosse riuscito. Rendendo comune anche agli altri questo piano, senza manifestare, ad essi la sua intelligenza colli francesi l’approvarono; il solo Sassoli, come si è detto, trovava difficoltà, ma il Zamboni poco, o nulla le apprezzava, onde servivano meramente per rifiettere con maggior accortezza a qualche cosa, che progettava, si di tentare, con poca cautela, ed il contenuto di detto piano, che fu scritto pure del Zamboni sotto la medesima cifra, ma lacerata da esso, e gettato via nella medesima congiuntura, che lacerò le altre note consisteva. Che si dovessero comprare delle armi da fuoco, e da taglio, e ne dovessero portare ancora chi ne avesse avute. Similmente provvedere dei pali di ferro , e martelli da muratore, per le occorrenze di usar violenza, non che delle torcie da vento per vedervi. Inoltre preparare della polvere, delle palle da ridursi in cartuccie alla militare, per essere cosi più pronti alla carica, coll’ avvertenza di prendere palle non molte grosse, acciò potessero adattarsi al vario calibro delle armi, ed infine formare una bandiera colla iscrizione — Libertà — non che delle cocarde per distintivo dei sollevati. Esci questo dopo esservi stata disparità di sentimento sul numero e qualità dei colori, fu conchiuso che per non assomigliar alle francesi, dovessero essere soltanto bianche e rosse, secondo quella della milizia Urbana alle quali cocarde dovevano essere uniformi quattro tracolle con sciable per distinguere i Capi.
Che l’intiera unione avesse da formare quattro corpi da dirigersi uno da esso Zamboni, altri due dalli ridetti dottor Succi e De Rolandis, ed il quarto dal nominato dottor Pietro Gavasetti, quali ad invito del Succi, ne aveva accettato in genere l’incarico, anzi per esser loquace, e franco avevano pensato di destinarlo a fare una parlata al popolo, per sempre più facilitare la sollevazione allorchè vi si dasse principio.
Che prima di farsi l’adunanza dovessero interamente murarsi due finestre di una delle duo stanze di esso Zamboni, nella quale aveva da seguire l’adunanza, per evitare cosi il pericolo d’essere sentito in strada il mormorio della gente adunata, e fatta che fosse l’unione, dovesse somministrargli del vino e robbe mangiative.
Dippoi dare le istruzioni di ciò che doveva farsi e successivamente preso le armi, gi’ Istrumenti da muratore, e tutt’ altro preparato comprese molte copie dell’ enunciato manifesto, per spargerle, ed anco effigerle, andare direttameute al palazzo, con doversi ciò eseguire nell’ indicata sera dei 16 piuttosto per tempo.
Che tutti i quattro corpi armati dovessero immediatamente portarsi al ridetto palazzo, con doversi ciò eseguire prendendo lo Svizzero di guardia al portone, ed impadronirsi delle alabarde, che in poca distanza nell’aperto camerone della guardia sogliono ritenersi a pubblica veduta, chiudere il portone stesso, ove internamente aveva da restare il De Rolandis col corpo maggiore. Il Gavasetti colla sua gente doveva portarsi all’appartamento dell’ E.mo Legato, e prenderlo in ostaggio con fare lo stesso di Monsignore Vicelegato, sebbene per andare da questo si pensasse su la persona del già detto Salvator Gavasetti fratello del sunnominato, che aveva promesso di condurlo seco.
Il Zamboni colla sua divisione doveva dirigersi alle carceri, e violentamente aprirle, ovvero andar prima a prendere pure in ostaggio il signor Uditore del Torrone e chiunque altro de’ ministri si fosse trovato da lui ed indi obbligarlo a scrivere un ordine, perchè si aprissero le Carceri e mettere in libertà li carcerati, che dovevano essere subito armati colle armi delle anzidette due armarie da aprirsi pure violentemente.
Il Succi poi doveva formare come una pattuglia, tanto per accorrere in qualunque parte del Palazzo, ove si fosse tentato di resistere, quanto per riferire al Corpo principale del De Rolandis, ciò andava succedendo, e nelle compresivi dette divisioni e pattuglie dovevano esservi ancora li nominati Alessio e Giuseppe degl’ imputati fratelli , nonche il ridetto Giovanni Calori, che doveva esservi condotto da Alessio suo amico.
Che assicuratosi dell’ E.mo Legato, di Monsignore Vice-legato, del signor Auditore del Torrone, e degli altri Ministri come pure del signor Capitano dei Svizzeri, ed impadronitosi ancora dei cannoni e munizioni, si dovesse allora solamente suonare a martello la campana dell’orologio dello stesso Palazzo, mettere fuori la bandiera della libertà, ed il dottor Gavasetti per la parlata al popolo, che si sarebbe adunato. Vedendosi questo, propenso alla sollevazione, si dovesse introdurre con cautela in Palazzo, ed indi armarlo. Di poi intimare alla truppa militare d’ unirsi a loro sotto più vantaggiose condizioni ovvero di lasciar le armi, e partire, e in caso di ostilità andarli contro con i cannoni, e così superarli, niente valutando li birri, su la fiducia, che essendo Corpo separato sarebbero probabilmente fuggiti.
Che per aver denaro, da prima si propose di uccidere di notte un certo Cittadino per la strada e toglierli quanto aveva, ma sebbene essi Zamboni, ed impunito procurassero informarsi della strada che faceva tanto poi non venne ciò neppur tentato, ed il Zamboni si offerse darne lui, anche colle vendite ed impegni delle robbe di sua casa.
Che cominciata la sollevaziono si sarebbe presa la cassa del pubblico, se vi fosse stato denaro, ovvero si Sarebbe obbligato chi ne avesse avuto, assieme con degli argenti a portarne. Indi sarebbesi ricavato del vantaggio sugli ecclesiastici regolari e sugli emigrati francesi, che dovevano essere discacciati, volendosi, che fosse fissata per massima di non uccidere alcuno, quando non si fosse trovata resistenza, e così dovesse farsi ancora delle persone tenute in ostaggio, quando però il popolo non avesse chiesto diversamente, sebbene in questo sieno varie le voci. Che stabilita la rivoluzione dovessero gli espressi ostaggi essere discacciati sotto una scorta per tutto il Bolognese all’oggetto di salvarli dagl’ insulti del popolo ed obbligando il Senato a convocare tutte le milizie Urbane, dovessero farsi accrescere, per formare un armata rivoluzionaria da vestirsi con panni, che avrebbe dovuto somministrare ogni mercante. Qualche diverbio peraltro nacque sul titolo di generale, fra il Zamboni, ed Antonio Succi, rapporto a chi dovesse assumere l’uno, o l’altro, qual cosa restò indecisa, ne fu scritto di più, perchè il restante da operarsi dopo la rivoluzione doveva scriverlo il Sassoli, in figura di nuova Legislazione, e datosi i’ incontro dell’ assenza dell’ Em.za Vostra per la ragione de’ lavori dell’acque, come si è detto, avevano stabilito durante questo di spedire immediatamente dopo la sollevazione un convenevole numero di gente armata a cavallo, prenderla, e qui condurla in ostaggio. Fatto un tal piano si stabilì fra il Zamboni ed il De Rolandis , i’impunito Succi e suo fratello Giuseppe di non comunicare il preciso agli altri, e molto meno specificare la sera stabilita, tanto che se si fosse creduto di parlare a qualcuno, per riportarne promes a d’unirvisi si dovesse dire soltanto la cospirazione in sostanza. In tali termini si vuole che venisse parlato al ridetto Tommaso Bambozzi, ed al nominato Filippo Marzocchi, non che al già detto Lazzaro Gherardi, ora contumace, con esserne intesa ancora la parimente nominata Angela Taruffi Conti moglie del Perito, in di cui casa trovavasi d’ alloggio il Bambozzi, e che era amico del Zamboni, e De Rolandis suddetti. Con questa preordinazione il Zamboni, il De Rolandis e li due fratelli Antonio e Giuseppe Succi, si fecero carico di comprare in vari siti degli archibuggi, pistole, palossi e quattro sciabole che fecero anche ruotare con denari, dati per lo più dal Zamboni, e dalla Brigida madre di questo, già a parte di tutto. Donna tale di concerto con esso suo figlio, impegnava, e vendeva le proprie robbe per far denari ed erasi anche offerta il domandare in prestito specialmente ad un suo amico morto già all’ improvviso nel tempo della processura, delle possate d’ argento, per venderle , o impegnarle e far così maggior cumulo per comprare tutto il bisognevole per la sollevazione, senza prendersi soggezione veruna del ridetto suo marito Giuseppe, mentre si vuole che questo non vi si opponesse. Comprarono inoltre polvere, e palle di piombo, che il De Rolandis nell’ indicato Collegio ridusse a cartatuccie, e lo stesso De Rolandis fece quantità di copie dell’ enunciato manifesto.
Similmente il Zamboni unito al De Rolandis, ed alli due fratelli Antonio e Giuseppe Succi, si addossò il peso di far le tracolle, le cocarde, e la bandiera, con robba della bottega ad uso di merciara ritenuta da sua madre, quale vi assisteva assieme colla Barbara di lei sorella, anch’ essa intesa di tutto, ed in tal bottega in una retrostanza, come pure in altra superiore vennero per lo più fatti li concerti e restarono formate dallo medesime due donne, con qualche aiuto , in particolare dell’impunito lo ridette tracolle e quantità di cocarde, non sapendosi fatta ancora la bandiera.
Tali tracolle erano composte con galloni, ossia trine di seta, e le cocarde a prima si fecero con cordelle pure di seta, ma poi per maggior economia venne adoperato dello stallone di filo e sin della robba da pedine. Fu anche dal Zamboni e dal suddetto Antonio Succi fatta la muratura interna nelle finestre nella stanza, ove adunarsi doveva la gente, ed il De Rolandis erasi perfino ordinato un abito con mostre, e paramani alla militare, all’oggetto di trovarsi più sbarazzato di panni. Tale operazione conforme, si vuole che avesse anche determinato Zamboni di fare.
Inoltrandosi le cose a si gran passi, giunsero a star segrete come si è detto fino al giorno martedì 11 dello stesso novembre, in cui il Sassoli, che si vuole, credesse a primo impossibile l’esecuzione, si accertò della seguita provvista anche d’armi, onde credette di parteciparle in sostanza al Tribunale del Torrone, ed in seguito ne avvenne quanto già si è premesso rapporto al discoprimento. Il De Rolandis poi, quale secondo il già esposto disprezzati aveva li paterni comandi dell’ E.mo Arcivescovo, e che aveva messo a parte del segreto l’altro Collegiale Cofano per sedurlo, senza esservi riuscito, rese comune al Zamboni la seguita scoperta ed ambidue uniti nella notte del mercoldì susseguente molto armati si portarono alla casa del ridetto dottor Succi a parteciparglielo, ed incoraggiarlo a non ritirarsi.
Questa scoperta peraltro invece di avvilire, rese il Zamboni e il De Rolandis più audaci di modo che risolvettero di anticipare l’ esecuzione di quanto avevano preordinato, onde nell’ altra susseguente sera del giovedì dopo di essersi il De Rolandis partito dal ridetto Collegio, coll’accordo del Zamboni chiamò seco con vari pretesti li nominati Antonio Forni , Camillo Galli, Camillo Tomesani, ed assieme col Zamboni stesso li condusse nell’ indicata stanza destinata per il raduno delle persone. Ivi si prese cura il Zamboni medesimo di farvi andare ancora il ridetto Giovanni Osbel e Battista Neri avendoli chiamati col pretesto di fargli portare un peso, che consisteva in un bigongio di vino, fatto prendere dalla sua cantina, e portare in quella stanza a comodo delle persone che avevano da radunarsi, come pure vi condusse per effetto direttamente della sollevazione il nominato Giuseppe Rizzoli, e vi fece andare ancora, ma col pretesto di una cena Giacomo Fondaroli padrone di bottega falegname, e Giuseppe Monari lavorante di questo, ambedue Bolognesi.
Adunati nel detto numero in quelle stanze, dove niuno si vidde degli altri di casa del Zamboni, stante che appostatamente trovansi assenti, per non dar soggezione, vi erano già preparati degli archibuggi, pistole, palossi e le quattro tracolle, come pure quantità di cartuccie alla militare, un palo di ferro, un martello da muratore, e molte copie dell’anzidetto manifesto. Nelle stesse stanzo fu mangiata della robba comprata dal Zamboni, ed anche bevuto del già detto vino. Indi il Zamboni medesimo lesse una copia del manifesto, dicendo doversi spargere per questa Città, parlò dell’accesso da farsi al Palazzo, della libertà da darsi ai carcerati, e conchiuse di volersi fare una sollevazione, anche coll’uccidere chi si fosse opposto. Sentitosi ciò dalle ridette persone adunate, fu il Fondaroli quello che si oppose con tal costanza, che per fino spianò uno di quegli archibuggi contro del Zamboni, perchè lo facesse partire, e la di lui opposizione fece che venisse seguito dal ridetto suo lavorante, restando li nominati Osbel e Neri, senza dir cosa alcuna. Accordatasi gli altri quattro già detti venne obbligato il Fondaroli col suo lavorante a restar nelle stanze stesse, come vi restarono anche li Scranari, fintantochè verso le ore cinque, senza avere avuto più coraggio di adunare altre persone, fu risoluto dal Zamboni, e dal de Rolandis, coll’ unione dalli ridetti Forni, Galli, Tomasani e Rizzoli di far la sortita.
Munitosi tutti di archibuggi, pistole, sciabole con alcune tracolle, palossi, cortelli e cartatucce con essersi spartite un poco per ciascheduno le copie dell’ accennato manifesto, partirono da quella casa, con avere il Zamboni avvertito al Fondaroli, al Monari, all’ Osbel, al Negri, che si astenessero di andar con loro, di non parlare. Girando per la Città misero alcune copie di quelle sotto diverse porte, altre le lasciarono in terra, e diverse ne consegnarono anche in mano, come si è premesso a persone, che incontrarono, dicendogli che leggessero, e poi ne avrebbero data la risposta. Fatta tale distribuzione delle copie, niuna altra cosa venne tentata atteso il ristretto numero di soli sei, onde rimaste ad ognuno le armi, che avevano prese, si divisero, ed il De Rolandis andò a dormire in casa del Zamboni, con cui poi prese la fuga, come già si è accennato. Per ben distinguere il grado di reità di ciascuno, quanto la forza di ciò che concorre a gravarlo, rendesi in dispensabile parlare gradatamente di loro. Il primo luogo dovrebbe senza meno occuparlo il menzionato Luigi Zamboni, come capo di tutti, o come limpidamente confessò nelli stessi termini, che si è dettagliato il fatto, avendo taciuto soltanto quello che riguarda li proprii genitori e zia, con avere ancora riconosciuto alcuni dei biglietti stati sparsi per questa Città nella Mezza Quaresima dell’anno 1790 come scritti di suo carattere, che alterò alcune copie del sedizioso manifesto, come scritte dal De Rolandis, gli archibuggi, sciable, tracolle, cocarde, cartatuccie e tutt’altro stato ricuperato dal Tribunale, come cose provviste, e comprate da esso, e dalli carcerati De Rolandis, dal impunito Succi, e Giuseppe fratello di questo, ma il compimento dattosi da per se alle proprie sceleraggini, fa che debba cedersi al suo intrinseco amico, e consocio Giovanni De Rolandis. Prima però di parlare di questo sembra giusto esporre la totale istoria dell’infelice termine del ridetto Zamboni, quale pieno di cognizioni, comprendendo esser meritevole della forca, lo andava dicendo ne’ suoi esami, tanto che giunse a chiedere, che si domandasse per grazia il permutargliela nel taglio della testa, o nell’ essere moschettato. Turbato da ciò senza avvilirsi non rendevasi giovevole il farli passare più abbondante mantenimento del consueto de’ carcerati, ne il fargli tenere la catena ad un piede, mentre fabbricatosi più pezzi di corda, colla stoppa del suo trappunto, dove poi di mano in mano gli andava nascondendo, tentò per due volte, ed in vari tempi, e segrete, la sua fuga, anche con rottura de’ muri, mediante piccoli ferri, che staccava da tavolati.
Per ultimo si fece porre in altra segreta, più sicura colle stesse condizioni ed in compagnia di altri due carcerati detenuti per dilinquenze diverse dalla presente causa ma avendole arbitrariamente:
Giacomo Comaschi piemontese, uno de’ custodi, levata la catena dal piede, concepì altra idea di fuga, alla quale venne stimulato come disse co’ due compagni dal prevedore di mancar soltanto le difese al compimento della causa. Fatti adunque in consimil maniera altri cordini, e preparatisi due ferretti, non che un chiodo aguzzo, con averli fermati con lacci a piccoli pezzi di legno in figura di manichi, sorprese verso le ore due della sera dei 17 agosto prossimo passato i ridetti due carcerati, mentre stavano distesi nudi sul tavolato per dormire e gl’invitò ad aiutarlo nel tentar la sua sorte colla fuga. Si opposero questi verosimilmente, per l’impossibilità di eseguirla, ed allora esso facendogli sentire la punta dell’accennato chiodo, che per esser all’oscuro non potevasi distinguere se fosse arma, li minacciò della vita, se non tacevano, e non si facevano legare, onde si prestarono a’ suoi voleri. Legati che li ebbe, ripete di voler fuggire, ed indi si pose a scavar il muro, faticando molto inutilmente, fino a circa le ore quattro, tempo in cui disse di non potervi riuscire, e convien credere che allora determinasse di appicarsi.
Legò a tal effetto, com’ è presumibile per non avere potuto distinguere all’ oscuro li ridetti concarcerati, un cordino ridotto a guisa, di capestro al catenaccio che teneva chiuso lo sportello della finestra, vi legò ancora la sua coperta trapuntata ridotta in un involto, forse perchè premendole sulla testa le accelerasse la morte, e formò altro involto del proprio trapunto che dovette servirgli per salirvi sopra o fare la caduta. Riuscì troppo lungo il capestro, tanto che essendo inutile il superiore involto della coperta e toccandoli in terra li piedi , ebbe il barbaro coraggio di piegare anche le gambe per morire.
Venuti li medesimi carcerati in cognizione di ciò dal rumore, se ne accertarono, col non avere esso Zamboni risposto alle loro reiterate chiamate. Incominciarono a gridare fortemente, ma non potendosi muovere dal tavolato, per essere legati al medesimo, vennero uditi soltanto quando fu inutile il soccorso.
Fattasi in seguito la formale ricognizione di tanto eccesso, si trovò scritto con tinta rossa sul volto di detta segreta in particolare quanto sul seguente si legge:
A. — T. — C. — optime dilectissime venustae monumentum eternum catena aristocratum obstrictus posuit. A. — Z. — Bononiensis scripsit quia somniavit die Iulii MDCCLXXXXV. L. Zamboni. Libertè, Surete, Egalitè. 1795. 17 Luglio.
A perpetua infamia del dottor Antonio Succi della Molinella, contro li Democratici Bolognesi del 1794. — Impunito, sedutore ed accusatore de’ proprii fratelli, traditore della più sacra amicizia del proprio partito, vile, disertore, uomo iniquo e disleale, fratello snaturato, finto amico, e pattriotta falso. Scrisse l’ ottavo mese di sua carcerazione avvinto da catena. Luigi Zamboni democratico Bolognese.
Il cadavere poi di esso Zamboni , come creduto immeritevole di ecclesiastica sepoltura, fu portato nel solito sito, ove si pongono quelli degl’ infedeli. Il nostro egregio concittadino Att. Augusto Aglebert pubblicava una sua forbitissima ed erudita memoria che per intero svolge le Fasi di questa tremenda catastrofe e previo cortese suo permesso ne diamo letteralmente le sole ultime pagine che servono a completare questo nostro storico racconto.
Giugneva il 1796, — il popolo era all’oscuro di tutto quanto avveniva fuori di qui, — pochi eletti soltanto, pensavano — arte di tirannico governo mantenere le pubblica opinione più cieca che sia possibile, perchè non abbia tempo di concepire giudizii, di prepararsi agli avvenimenti, di affrettarli, di sussidiarli, per assicurarne il trionfo, e conservare incolume di dignità popolare!
Da alcuni si aspettavano i francesi — ecco tutto. Non cosideravano, che altro è il conquistare col proprio braccio, col proprio sangue la libertà, altro è il riceverla per forza del caso o di fortuite circostanze favorevoli!
Frattanto erasi fatta facoltà ai difensori d’ufficio di esaminare il processo. L’avvocato Antonio Aldini veniva incaricato della difesa di tutti, ed accettava l’ incarico con quel cuore, con quel patriottismo, che gli procacciarono lustro o onorificenze in futuro e tramandarono alla posterità la sua memoria.
Il 14 marzo 1796 Giuseppe Zamboni moriva, lo si portava di notte e seppellire alla parrocchia de’ Celestini per togliere dalle carceri un imbarazzo e nulla più. Nel processo questo avvenimento non è neppur accennato, e solo dagli allegati lo si verifica per il pagamento fatto delle Ragioni Parrocchiali al Cappellano Ubaldo Masi (1) pel noto cadavere!
L’ avvocato Aldini con accortissimo intendimento differiva la seduta per la sentenza, ma finalmente ebbe ad obbedire alle intimazioni, e cedere al prepotente volere dell’ Autorità.
La Congregazione Criminale adunatasi a porte chiuse, udiva la difesa dell’avvocato Aldini, lavoro profondo, e meditato d’ alta giurisprudenza, nel quale l’ eloquenza per allontanare dagl’imputati la severità del giudizio, era corroborato dai testi del diritto pubblico con copia d’erudizione raccolti. Vana cura! il 19 aprile 1796 il Tribunale pronunciava la seguente sentenza:
NEL NOME SS. DI DIO
Noi Antonio Ippolito Innocenzi Romano in ambe le leggi dottore ed avvocato, prete e Cardinale del Titolo dei Santi Nereo ad Achilleo per il Santissimo N. S. Papa per la Divina Provvidenza Pio VI per la S. Sede Apostolica Legato a Latere della Città e Contado di Bologna Presidente della Congregazione Criminale ecc.
Nella causa di tentata sedizione ecc. per La Curia del Torrone contro
Luigi Zamboni, Giovanni Battista De Rolandis ecc.
» Prodotte le citazioni ecc.
» Viste le qualità delle confessioni o indizi aggravanti ecc.
» Vista l’impunità del dottor Antonio Succi.
» Vista la legittimazione del processo nelle sue parti e in tutto.
» Visti i termini assegnati contro le proprie confessioni e lo rispettive difese ecc.
» Uditi i difensori in iscritto e in voce e quanto poteva dedursi in loro favore ecc.
» Visto quanto era da vedere, considerato quanto era da considerare ecc.
« Ripetutamente invocato il nome di Cristo diciamo, pronunciamo, sentenziamo:
» Che la memoria di Luigi Zamboni defunto in carcere sia con pittura infame ed analoga iscrizione esposta in luogo pubblico, colla confisca de’ beni ecc.
» Condanniamo Giovanni Battista de Rolandis alla forca da esguirsi nel solito luogo di Giustizia dal Ministro a ciò deputato, il quale mediante laccio al collo dee sospenderlo sinchè ne segua la morte, l’ anima sia dal corpo separata, e rimarrà sospeso a pubblico esempio.
» Antonio Forni e Camillo Galli sono condannati ad assistere sul patibolo durante l’esecuzione, e poscia trasportati alla galera perpetua sotto stretta custodia.
» Giuseppe Rizzoli e Lazzaro Gherardi contumaci condanniamo all’ultimo supplizio ingiungendo alla forza pubblica l’immediata carcerazione.
» Brigida Zamboni e Barbara Borghi condanniamo a perpetua reclusione in una casa di correzione fuori della Legazione (in S. Michele a Roma) colla confisca ecc.
» Antonio Succi impunità in una fortezza per 10 anni e poscia dimesso coll’ esilio dallo Stato Ecclesiastico sotto pena della galera per 10 anni alla prima contravvenzione.
» Giuseppe Succi e Camillo Tomesani a 10 anni di galera poi all’ esilio perpetuo.
» Tommaso Bambozzi o Bambocci e Pietro Gavasetti alla galera per 5 anni da scontarsi nel forte di S. Leo poi all’esilio perpetuo.
» Ad esilio perpetuo Alessio Succi, Giovami Battista Neri c Giovanni Osbel sotto pena ecc
» Dimessi dal earcere.
» Giovanni Calori con precetto di presentarsi.
» Filippo Marzocchi non trovato colpevole.
» Angelo Sassoli, Luigi Montignani e Domenico Zecchi abbastanza puniti, senza pregiudizio d’ ulteriori ecc.
« Giacomo Comaschi carceriere per delinquenza commessa in ufficio a tre anni di galera da scontarsi in Ancona.
» Gli altri inquisiti vengono rilasciati liberi senza pregiudizio ecc.
» Atto fatto, letto ecc.
Firmati coll’ Eminentissimo Presidente Card. Ippolito Innocenzi, gli Uditori e Notai del Torrone ecc. (2).
Appena intimata la sentenza agli inquisiti , la Congregazione Criminale spedi una staffetta a Reggio a prendere il carnefice di quella città Antonio Pontoni (3) perchè sollecitamente si eseguisse la tremenda giustizia.
I condannati avevano ascoltato con calma serena la loro sentenza. — La popolazione estatica, sbalordita, sentiva dei doveri per istinto, ma non osava, per mancanza d’iniziativa. — La fervida immaginazione del popolo si dipingeva tutte le fasi atroci di questo processo. Deplorava il collegiale Cofano impazzito per essersi reso involontario delatoro de’ proprii compagni ; — compiangeva lo sciagurato Pancaldi annegatosi per aver pregiudicato gli inquisiti, nel deporre in Tribunale lo armi confidate alla sua custodia; — imprecava contro il governo che perpetrava e compiva l’assassinio di Zamboni, e uccideva colle torture il vecchio di lui padre. — Questo popolo nelle sue considerazioni trasportavasi d’entusiasmo per l’ eroico contegno de’ prigionieri , per la costanza e fermezza delle donne compromesse, e non sapea persuadersi che a suggellare il trionfo dell’iniquità avesse a versarsi l’ immacolato sangue di De Rolandis impunemente! Universale lo sdegno , ma universale egualmente il terrore! Se un uomo fosso sorto in nomo di Dio e della giustizia, soldati, birri, magistrati, governo, sarebbor stati in un istante, polvere — chi tentava mormorar qualche parola che accennasse a partito estremo sì, ma generoso — dichiaravasi pazzo. — L’ idea del pericolo non sorride lieta a coloro che sperano evitarlo e trar profitto da vittoria immanchevole , dovesse pur costare umiliazioni, sacrificii e pochi, avvilivano, frenavano i molti, non curandosi, di considerare che nei momenti solenni l’accusa d’inerzia, o d’ indifferenza è il peggior degli oltraggi… e si genera il mal seme, donde viene il disprezzo. Al virtuoso istinto popolare risponde vano…. aspettiamo! aspettiamo i francesi!…. Intanto De Rolandis si mandava al patibolo.
II 22 aprilo il Padre Daria parroco dei Celestini entrava nella oscura e squallida prigione di De Rolandis. — Giaceva ei steso a terra, sopra fetido o lurido canniccio, oppresso da febbre ardentissima — tormentato dalla lebbra di cui era coperto, angosciato dall’affanno che gli troncava la parola…. a stento sollevando il capo con fioca voce, questi accenti proferì:
— Dio vi benedica, o Padre, voi mi recate la buona novella. — Oh Cielo ! sacra patria degli infelici che soffrono, il tuo soggiorno mi sorride come questa mia che avrei voluto render libera in terra, e dalla quale son presso a separarmi per sempre!…. Ma il mio cammino è compiuto…. ora non sono più che povera creta, inerte, impotente…. il mio sangue mi farà vivere…. sgorghi, e presto, e innaffi questo suolo, e fecondi la redenzione d’Italia!
Si commosse il frate alla soavità delle espressioni, alla tenerezza dell’ accento , alla pace che spirava da quell’anima infiammata da fuoco divino. Incominciando a parlargli delle cose sacre vide De Bolandis alzare alquanto su d’un gomito la persona, e lo udì pronunciare tali ragionamenti sulla religione, sulla patria, sui diritti e sui doveri dell’uomo, e del cittadino, che n’ebbe a stupire e a piangere. La giovane intelligenza cui brillava alla mente il futuro, squarciava il negro velo del presente, e descriveva lo splendido avvenire de’ popoli con quella luce di verità ispirata dalla fede e dalle convinzioni coscienziose.
Richiesto se avea parenti, ricadde il misero sul giaciglio e proruppe in amarissimo pianto ! — Ah! povera madre mia! esclamò, chi sa qual dolore arrecherà al cuor tuo la mia morte! e queste parole ripetè sovente con lunghi e dolorosi sospiri frammisti a copioso sfogo di lagrime.
La febbre incalzava violenta, il calor soverchio ammorzava con bevande ghiacciate concessegli in questi estremi momenti. Con uno sforzo di volontà sopranaturale alle 3 si alzò, e alle 3 e tre quarti passò in Conforteria appena appoggiato al braccio del frate…. Di sè stesso compiacendosi disse: — Oh Dio ti ringrazio, potrò da me solo andar incontro alla morte!
Un’ anima fortissima destinata ad essere violentemente sprigionata, lottava contro alla natura che minacciava dissolversi. La potenza della volontà, fieramente combatteva contro fragil corpo piagato, macerato, consunto. — Lotta dello spirito, contro la materia; lotta di cadavere contro la vita. — Ma i’ uomo dispiegando la sua potenza trionfa.
— De Rolandis volle, sovrumanamente volle, e vinse. — Alcune paste dolci, e vino navigato, mangiò e bevve, poi si coricò sul letto e pacificamente si addormentò.
Quel placido e tranquillo sonno, più volte ingenerò ne’ medici il sospetto ch’ ei fosso morto, e più volte gli tastarono il polso per assicurarsi che non fosse sottratto alla giustizia la sua vittima; ma Dio gli alimentava l’esistenza perchè eterna l’ infamia scendesse sul capo dei suoi carnefici!
Il breve riposo, l’ avea rinvigorito viemmagiormente, — discese solo dal letto, solo passò in Cappella per ricevere le solite benedizioni dalla mano di quei ministri che dianzi lo maledivano, e ‘avean condannato. Accolse le .diverse Compagnie e fra l’altre quella del Biscotto cui rivolse le .seguenti parole:
— Rammentate o Signori, che più degli schiavi da riscattare in Barberia nel nome di Dio, vi sono barbari in Italia che nel nome di Dio di più ferrea o pesante catena, aggravano a tengono schiavi i cristiani — estorminateli, e di ben altra gloria rifulgerà la missione della Compagnia del Riscatto.
— Una parte degli astanti inorridi , una parte intese , e tutti si ritirarono salmeggiando i Congregati.
Malgrado ogni sforzo veniva De Rolandis assalito da frequenti deliqui. Quantunque nell’ eccesso della debolezza, pur volle il carnefice legarlo, toglierli le forze, aggiugner barbarie a barbarie, in obbedienza agli ordini e alla formalità irremissibilmente da adempiersi.
Inranto che il carnefice si adoperava a compiere la toletta del condannato, affiggevasi per la città la stampa seguente:
Sabato 23 Aprile 1796.
Nella Piazza del Mercato presso la Montagnola si eseguirà la giustizia della forca contro:
GIOVANNI DE ROLANDIS piemontese (4), il quale unitamente a LUIGI ZAMBONI (5) bolognese, e ad altri avea tentata una sollevazione in questa città, e però restando condannata la memoria del detto ZAMBONI premorto nelle carceri con perpetua infamia, saranno esposti sotto la forca:
ANTONIO FORNI e CAMILLO GALLI bolognesi, e quindi si trasmetteranno alla galera in vita sotto stretta custodia (6).
Dai primi albori tutta la città è in piedi, — le botteghe , i negozi chiusi; — lo strade nei dintorni del Torrone piene, zeppe di gente che silenziosa sta, trascorre, si affolla agitata, inquieta. — Sbirri e soldati coll’ armi inarcate pattugliano — memoria d’ uomo non ricorda giorno più triste!
Alle 13 ore la Guardia a Cavallo sgombra la Piazza del Carbone e a briglia sciolta dalla Fontana Vecchia percorre Canton de’ Fiori, la via Malcontenti, fino alla Montagnola. — Esplorazione volutasi per verificare se niun sintomo si appalesasse che potesse turbare il libero cammino del corteggio. I rassicuranti rapporti indussero l’ Uditorato del Torrone ad ordinarne la partenza.
Impossibile a De Rolandis il sostenersi in piedi. — Venne collocato e legato in una poltrona a bracciuoli portata dai fratelli della Compagnia della Buona Morte.
Una squadra di Cavalleggeri apriva la marcia ; la seguivano birri, Svizzeri, soldatesche d’ogni sorta della città o del Contado. — Circondato da carcerieri co’ moschetti, da uscieri , da sacerdoti veniva il paziente, e dietro lui il gran quadro da esporre sulla forca ov’era effigiato Zamboni impiccato, e scritta infame leggenda, — poscia Galli e Forni incatenati in mezzo alla forza e finalmente la processione funesta chiudevano i Notai del Torrone, e la Compagnia della Buona Morte. Il lugubre convoglio lentissimamente procedea, e a quando a quando sostava; — la sbirraglia vigilante si guardava dintorno e teneva l’armi puntate contro la folla immensa, donde esciva cupo mormorio all’avvicinarsi di De Rolandis, il cui volto magro, contraffatto , corroso dalla lebbra commuoveva la pubblica pietà! — compassionevoli voci udivansi ripetere « muore! muore! Oh Dio lo volesse, potesse così quel povero giovane sottrarsi alla forca! »
Giunti dal Guazzatoio il paziente prese un cordiale; — di frequente rivolgeva parole al Canonico Giovanni Battista Morandi, e a D. Filippo Manolessi parroco di S. Cristina della Fondazza (7) che lo assistevano, lo confortavano, — poi componendo il volto a celestiale soavità, girava dintorno li pietosi sguardi, e strappava lagrime e singhiozzi alle persone.
Ma ecco De Rolandis davanti al patibolo; egli alza il capo, per contemplarlo. — Con supremo soprannaturale sforzo sollevandosi dalla poltrona, s’incammina, muovendogli incontro con passo fermo e sicuro ! sospirando sorride amorosamente al ritratto di Zamboni ! — saluta e bacia Forni e Galli che prorompono in dirottissimo pianto; quelle lagrime lo conturbano, e rivoltosi al sacerdote teneramente gì’ indirizza questa preghiera:
Dite addio alla mia cara madre, addio agli ameni colli , e ridenti vigneti dell’ Astigiana , ricordino i miei concittadini che qui io riposo e non mi fu grave consacrar la vita per la libertà della patria!…. poi tace…. bacia il Cristo, e sale i gradini della morte. — L’orologio batte le 14 e mezza ; è la sua ora estrema (8).
Fu silenzio un istante!…. silenzio profondo e tetro , interrotto soltanto dalla campana di S.Gio. Decollato, che suona il lugubre rintocco dell’ agonia (9) !
Arrivati al sommo della scala fatale, il boia getta il laccio al collo del condannato, e con un calcio nelle reni lo slancia incontro all’ eternità! Al truculento spettacolo un fremer generale introna la vasta piazza…. ma un gemito improvviso sparso per l’aere, l’atterrita moltitudine — agghiaccia…. Il gemito si ripete !…. esce da quel corpo che si agita, e dibatte e agonizza penzolando nello spazio…. Ah ! è sfuggito dalla gola della vittima il capestro mortifero ! — Grazia ! Grazia ! gridano in suon tempestoso lo mille e mille disperate voci. — Grazia! Grazia!
In un baleno, s’ inforca il boia sulle spalle del paziente, con l’ una mano aggrappato alla corda, coll’ altra ne afferra i capegli sicchè il laccio qualche parte della testa stringa. Orrore! orrore! Dalla nuca al mento serrasi il capestro, e stritola e frantuma l’ossa, e sulle guancie incide larga ferita, donde spiccia sangue e marciume e dalla bocca spalancata volano i denti !… A quella orribil vista, il popolo in una sola esclamazione freneticamente urla morte ! morte ! al boia ! al boia ! uccidi! uccidi! agli assassini!
In mezzo a tale orrenda confusione, la mugghiante onda popolare corre furibonda , e cade, si accatasta, e si sospinge e precipita con orribili strida verso il patibolo. — Trema la terra!…. Assaliti, soldati e birri si difendono, scaricano l’armi e ruotano le corruscanti spade i carcerieri frettolosamente sottraggono incatenati Forni e Galli.. il popol fugge…. gli scomposti moti accrescono coraggio agli armati…. incuorati i satelliti, con impeto micidiale, irrompono, inseguono, e uomini e cavalli si rovesciano, e volan panche e sassi…. ma il furore armato vince la inerme virtù, e abbattendo, atterrando ogni ostacolo s’involan tutti a spargere il terrore per la città in vestita da universal spavento.
La Piazza del Mercato rimane deserta!… qua e colà chiedono aita invano i feriti, la terra è coperta da lembi di vestimento, da rottami, e da ogni sorta d’oggetti…. Fino alle 21 ore pende in alto sospeso un cadavere sanguinolento barbaramento strozzato, quando la Compagnia della Buona Morte con religioso sentimento di cristiana pietà, viene a distaccarlo, lo depone in una bara, o lo trasporta a sepellire in S. Giovanni Decollato.
Cosi finiva De Rolandis l’ultimo condannato in Bologna (10) alla forca, ma non l’ultimo condannato alla morte a persistente vergogna do’ tempi che orgogliosamente si chiamano civili !
Tra i giorni nefasti venne tramandata alla posterità la memoria del 23 aprile 1796.
La pubblica opinione commossa in faccia a tante atrocità e tante enormezze, preparava il trionfo del principio rivoluzionario che a marcio forzate, si avanzava.
L’ istante del passaggio dall’ oscurantismo al progresso, dalle tenebre alla luce, dalla tirannide alla libertà, era sospirato dal popolo che attendeva il soffio rigeneratore della società.
Assistemmo ai dolorosi casi dei primi martiri della libertà, assisteremo alla loro apoteosi, all’ altare che loro innalzava la popolare riconoscenza.
La separazione tra governo e popolo fattasi profonda, avea esautorata la Sovranità Pontificia. Nondimeno la Corte Romana giubilava dei fatti di Bologna come di una vittoria, e simile al coniglio che minacciato della vita chiude gli occhi e si erode salvo, cosi il Cardinalizio Consesso offuscato dalla propria cecità stimavasi potentissimo, davanti al torrente della libertà che scendeva maestoso ad ingoiarlo.
Lo stendardo della redenzione sventolava vittorioso sui ruderi del dispotismo, e valicate le Alpi appariva glorioso in Lombardia salutato dall’entusiasmo delle popolazioni che l’accoglievano simbolo del loro riscatto.
Il 23 aprile uccidevasi De Rolandis, e due mesi dopo romoreggiava a’ confini il grido di libertà, e sollevavano il glorioso capo i suoi propagatori ed apostoli.
Fino alla metà di maggio non erano rilasciati i detenuti dichiarati liberi o esiliati, e condotti gli altri al rispettivo luogo di pena. Malgrado i fatti, Roma e i suoi Legati riposavano tranquilli e sicuri sulla loro immortale autorità, o sulla perpetua incolumità dei loro dominii. Ma dal Tarpeo al Campidoglio è breve il passo.
Il Card. Vincenti avea annunziato il 1° marzo e il 2 agosto il passaggio per la città di truppe Brittaniche e Siciliane, minacciando corda e galera a chi non le avesse rispettate, come se i suoi Bandi e le sue pene dovessero sopravvivere eterne (11). Ma non eguali furono le prescrizioni allorchè nel 21 maggio avvisava il transito per Bologna delle truppe francesi! Le sue minaccie, non più diresse a coloro che non le avessero rispettate ma bensì a quelli che si fossero lasciati trasportare inconsideratamente a parlare de’ governi, proibendo perfin le scommesse sul trionfo di questi e di quelli sotto la comminatoria delle solite pene a Noi arbitrarie (12).
Questi esempi sono sufficienti per confermare le insensate illusioni de’ Legati Pontificii. Il Senato di Bologna però, accortamente, frattanto approvviggionava i proprii magazzini di viveri, fieni biade e ogni sorta di commestibili e combustibili (13).
Venne il 18 giugno, e un bisbiglio generale sollevossi per la città a cagione della notizia sparsasi che a Crevalcore fosse giunta la vanguardia francese. Senza frapporre indugio il Senato immediatamente si convocava e spediva colà il Senatore C. Caprara, ed a S. Giovanni in Persiceto inviava il Senatore Giuseppe Malvasia i quali doveano invigilare perchè nulla mancasse all’ esercito liberatore.
All’ un’ ora di notte vede Bologna comparire alle sue porte un picchetto di cavalleria col generale Verdier. Tutta la popolazione trasportata d’entusiasmo corre ad incontrarlo benedicendo alla nuova vita che lo promettono gli abbronziti guerrieri circondati dall’ aureola di gloria di tante battaglie.
La domenica 19 correva la festività di N. Signore a S. Matteo degli Accarisi detto delle Pescarie, o le contrade di quella Parrocchia erano vagamente e sfarzosamente adornate secondo antica patria costumanza. Alle ore 13 un suon di trombe, di tamburi, e di musiche militari dalla Porta S. Felice annunziava il memorabile ingresso delle troppo francesi.
Veniva innanzi un corpo di cavalleria di 1500 uomini con sciabole nude, e carabine al punto, poscia quattro pezzi di artiglieria comandata dal generale Robert e finalmente il generale Augereau col suo Stato Maggiore.
La vista delle truppe coll’armi puntate, e in aspetto nemico, turbò alquanto il giubilo della popolazione che sentivasi umiliata. Ma una tal onta e sciagura incoglie i popoli che da sè soli non sanno redimersi; non potendo da vincitori andar incontro ai fratelli, dovevano come vinti assistere alla marcia de’ conquistatori. Il grido di Libertà, Eguaglianza, Fraternità, ben presto cancellò ogni pensier sinistro, soldati e popolo intuonarono uniti il canto di Rouget de l’ Isle che dalla Senna alla Vistola ridestò negli animi l’amore della libertà, l’odio alla tirannide. — La Marsigliese. —
La moltitudine immensa, i forestieri accorsi si abbandonarono ad ogni sorta di dimostrazioni; in breve ora, eran tutti fratelli uniti per abbattere i sanguinosi stendardi de’ tiranni dei popoli.
Verso mezza notte arrivava il generale Bonaparte col generale Saliceti Commissario della Repubblica (14).
Il giorno vegnente traevansi a Bologna prigionieri di guerra i soldati pontificii che presidiavano Forte Urbano, e vennero rinchiusi nel Convento di S. Martino. Gli ufficiali col Castellano march. Lodovico Rondinelli Bondedei, furono sotto parola d’onore lasciati in libertà.
Il lunedì 20 Bonaparte si fece condurre dinanzi il Legato Card. Vincenti e il Vice-Legato Mons. Giacinto Orsini. Disinvolti ed allegri entrambi, credendo di trattare da potenza a potenza, colla mellifiuità e cortesia propria della Curia Romana col sorriso sul labbro si presentarono al Generale, il quale con severo ciglio li accolse dicendo:
— Signori, cosa avete voi fatto di Zamboni e De Rolandis di questi virtuosi e caldi amatori di libertà?
Il Porporato e il Monsignore, guardandosi l’un l’altro, il giubilo del volto composero a mestizia, e cercarono invano parole per rispondere alla inaspettata interrogazione.
— Colla confusione non si scusa un delitto, riprese Bonaparte, Delitto brutale e atroce che disvela la vostra libidine di vendetta. — Impotenti ad uccidere un principio , credeste spegnerlo colle vite che sacrificaste, offerendo al mondo una novella prova della vostra inumana crudeltà, per cui vituperato ed infamato è il vostro governo. Mi si rechi il processo, io voglio esaminarlo, e guai ai Giudici che pronunziarono la barbara sentenza! intanto il Tribunale del Torrone sia all’ istante abolito, i detenuti sian in forma solenne liberati, e reintegrati ne’ loro diritti, e Voi, Voi partite subito, e ringraziate la generosità della Repubblica che vi sottrae dalla furia di quel popolo che avete finora calpestato ed oppresso (15).
A quelle parole il Card. e il Mons. si avvidero ch’erano i tempi nella più straordinaria forma, mutati, cominciarono a sentire di avere la coscienza di meritare il castigo che loro sovrastava, e senz’ altro inchinandosi al Generale fecero allestire tutto l’ occorrevole e in poche ore avean presa la via di Roma.
Alle ore 24 il Senato dall’alto della Ringhiera del Palazzo Pubblico proclamò il nuovo stato che avea per base la libertà, l’ unità, la fraternità.
La moltitudine a tale annunzio fu da frenetico furore assalita, tutta la Città venne in un’istante illuminata, e nel corso della notte, balli pubblici, canti, suoni occuparono i cittadini con inesprimibile entusiasmo di letizia gaudenti.
La mattina del 21 nella Sala d’ Ercole dove un imperatore e un papa, Carlo V. e Clemente VII, aveano segnato 266 anni addietro il patto della perpetua schiavitù degl’ Italiani per cui i bolognesi si levarono a rumore ed ebbero gl’imperiali a escire dalla Città, in quella stessa Sala trovavansi Magistrati, Giudici, Corporazioni sì Civili che Ecclesiastiche, a giurare tutti fedeltà e obbedienza al Governo del popolo rivendicato ne’ suoi diritti — giurarono anche gli Ecclesiastici perchè le autorità avean forza e volontà per farsi obbedire. La setta clericale inorgoglisce e ricalcitra davanti alla generosità, alla tolleranza, ma dinanzi all’imperioso comando si prostra, bacia la mano, ed obbedisce. Questo è quello che fu e sarà sempre.
Non è del mio assunto seguir i fatti occorsi nel meraviglioso mutamento — La Francia che avea su un vasto cimitero sepolti, re, filosofi, oratori, poeti, nomini di genio e di coraggio per creare un secolo novello, avea seco portato il carattere rivoluzionario del suo gran movimento. — Alla mannaia avea sostituito il cannone della conquista, ma sempre tenendo alto il principio della rivoluzione, uomini, cose, istituzioni che ad essa non consentivano, cadean distrutti. Una rivoluzione perchè trionfi, o sopra basi incrollobili si voglia stabilire, dee ogni traccia del passato far obbliare.
Così, ma così soltanto i popoli si rendono contenti ed è agevole far loro assaporare i benefici della libertà. Un nuovo edifìzio non può erìggersi, sulle macerie di quello che vuolsi distrutto senza grande pericolo.
A cose nuove, uomini nuovi, questa pratica costantemente seguita ebbe per effetto di tradurre la rivoluzione, in un avvenimento sociale, nè il dispotismo il più ferreo acquistò mai tanta forza da cancellare i benenzii e le memorie di questa immensa eredità.
Il popolo italiano eroico per tradizioni, generoso per istinto, alla gloria della Francia consacrava sostanze e vita — pagava ad usura la libertà, ma non era con egual disinteresse retribuita — parte d’ Italia addiveniva dipartimento francese !
Ad illuminare il popolo sui suoi doveri, sui benefizii do’ nuovi ordinamenti, ma non sul diritto di costituirsi Nazione, davan opera ardenti patriotti, cittadini illustri, ed in Bologna stabilivano il Circolo Costituzionale, che nel suo seno riuniva il fiore delle intelligenze, quanti desideravano costruire l’immenso edifizio sociale, anzichè l’edifìzio nazionale. Eloquenti oratori, amici attivissimi della rivoluziono infiammavano i cittadini a sostenere con giubilo i rilevanti sacrificii lor imposti. — Esempio simile di abnegazione, di virtù, di costanza, non offre la storia. — Onori, tesori, sangue, tutto donava alla gloria, alla grandezza della Francia — il popolo italiano ! — Donava, senza pur riceverne un ringraziamento (16).
Al Circolo Costituzionale presentatasi il primo di gennaio 1798 il cittadino dottor Saverio Argelati e noll’ estremo della commozione, con eloquente arringa domandava che fosse tratta dall’ oscurità, ed onorata come meritava la memoria di Colui che primo tentò sradicare la servitù, sollevare l’ Italia alla antica potenza, e redimere il popolo ne’ suoi diritti — questa memoria, disse è quella di Luigi Zamboni…. Pronunciato questo nome, un grido echeggiò per la vasta sala, e lungo continuato applauso accolse la proposta dell’oratore, l’eroico nome significava, indipendenza, nazionalità, di cui sentivasi il bisogno ardentissimo.
Poscia montò la tribuna Pietro Gavasetti l’augusto complice della celebrata congiura e calorosamente dipinse i caratteri nobili ed ammirandi de’ congiurati, l’altissimo scopo della cospirazione e concluse perchè degli onori resi a Zamboni avesse pur a partecipare il suo lacrimato amico De Rolandis.
Nell’ entusiasmo della pubblica riconoscenza venno decretato che Zamboni e De Rolandis dovessero essere glorificati come i precursori, gli apostoli, e primi martiri della libertà italiana. Una Deputazione immediatamente nominata andò dal Commissario del Potere Esecutivo Caprara a presentare il voto del Circolo; altra Deputazione venne incaricata do’ preparativi occorrevoli per chè riescisse splendida e solenne questa Festa Nazionale.
Tutta la città fu lieta di tale notizia e ognuno andava al Circolo ad offerire il proprio concorso, per effettuare il magnanimo progetto.
Caprara pubblicò in questa circostanza un bellissimo proclama nel quale loggonsi le nefandità del Governo Pontificio, lo crudeltà, le ferocie, i delitti de’ suoi ministri e celebransi le virtù e i meriti de’ due illustri martiri della patria (17).
L’ aurora del 6 gennaio 1798 annunziavasi al popolo dal rimbombo delle artiglierie, a l’intera città dall’ alba coprivasi d’ arazzi e di bandiere.
Alle 9 tutti i distaccamenti della Guardia Nazionale a piedi e a cavallo le Autorità Municipali, il Commissario del Potere Esecutivo, i pubblici funzionarli, i professori dell’ Università, e i Corpi Costituiti si partivano dalla Piazza Pubblica, e in bell’ordine portavansi in mezzo al suono delle musiche militari, ai canti, e alle grida popolari, a S. Gio. Decollato e al Malcantone per raccogliere lo ossa e le ceneri di Zamboni e De Rolandis.
Ivi giunti devotamente dieder opera alla disumazione — durante il rito religiosamente conservò la moltitudine, il più scrupoloso silenzio, ma quando dal Tempio di S. Giovanni videsi comparire l’urna, sollevata da sei fra i primari cittadini, un turbine di evviva si alzò dalla vasta piazza, e si sparse per le contrade adiacenti stipate da folla immensa.
Quindi processionalmente portata l’urna in Piazza Repubblicana, venne deposta ai piedi dell’ albero della Libertà. In apposita tribuna saliva il dottor Saverio Argelati moderatore del Circolo Costituzionale a pronunziare eloquente orazione, frequentemente interrotta da vivissimi applausi; — poscia quattrocento voci intuonarono il bellissimo Inno espressamente composto per questa solennità, e dopo averlo per tre volte ripetuto in mezzo alle universali acclamazioni, nuovamente risollevata l’urna, fu pomposamente recata nella Montagnola alla Colonna del Mercato.
Ai lati della Colonna erano state innalzate due immense piramidi le quali congiugnevansi mediante un ponte per agevolare il collocamonto dell’ urna de’ Martiri sul capitello ove dapprima trovavasi lo Stemma Pontificio. — Tutte le deputazioni salirono colassù, e attestarono per atto solenne notarile l’eseguita funzione.
Il popolo, da uno sventolar di bandiere avvertito che l’urna era al suo posto, scoppiò in entusiastiche acclamazioni, l’armonia delle musiche militari, il canto dell’Inno dei Martiri, lo squillo dello campane, il tuono dei cannoni, portarono al Cielo in mille guise la voce della popolare riconoscenza all’anime sante di Zamboni e De Rolandis.
E perchè la gioia fosse intera e tutti vi prendesser parte i cittadini, al Circolo Costituzionale distribuivansi copiose elomosine ai poveri della città.
La giornata trascorse fra le gioie della festa, in ogni piazza stanziavano musiche e cantori, universale il giubilo, universale la letizia. — Vedeasi un popolo penetrato dalla dolce soddisfazione di aver compiuto un sacro dovere rendendo tributo di onoranza e di riconoscenza a cittadini benemeriti della patria.
Un anno dopo le rimembranze di questo giorno, contristavano dolorosi lutti!

(1) Ved. Proc. 8415 Alleg. fase. B. pagate Lir. 23 al Cappellano per diritto di stola nera; Lir. 3. 10 agli infermieri della Morte che col cochietto trasportarono il NOTO CADAVERE; e Lir. 3. 10 al becchino che lo ha vistito.

(2) Ved. Proc. cit. pag. 2677 e segg.

(3) Memorie private vol. 1.

(4) De Rolandis Gio. Battista Gaetano figlio del dott. Giuseppe Maria medico e Rosa coniugi, nato il di 24 giugno 1774 nella parrocchia di Castel d’ Alfero Diocesi d’ Asti. Alleg. vol.. 5.

(5) Luigi Zamboni figlio della Barbara Borghi e Giuseppe coniugi, nato sotto la parrocchia di S. Benedetto il 18 ottobre 1772. Alleg. vol. 5.

(6) Raccolta dei Bandi Notitìcaz. ecc. Arch. Comunale all’ Archiginnasio.

(7) Archivio dello Spedale della Morte.

(8) Dal Libro dei Condannati.

(9) La Chiesa di S. Gio. Decollato nella Montagnola, fu fondata dalla Compagnia dei Battuti nel 1352, fu atterrata nel 1808 per far i pubblici giardini attuali.

(10) Vedi Lib de’ Giustiziati. – Arch. Sped. della Vita. Notiamo la singolarità che tutti i libri dei Giustiziati di Bologna cominciano col seguente ricordo. — Anno 1030 Mastro Arnaldo (da Brescia) uomo molto dotto fu impicato perchè riprendeva !e persone (la Corte di Roma) mollo acremente nelle sue prediche, per le grandi pompe, e lascivie loro, perocché fu gran parlamento in Bologna (Cronache di Messer Fileno delie Tuate).

(11) Vedi Racc. dei Bandi ecc. Tom. VI.

(12) L’ originale di questo curioso documento esiste nell’ Archivio della R. Tipografìa in Bologna. — 8 “comandava che esso fosse affisso nelle botteghe ad uso di libraio, caffé, cioccolato e acque fresche, spezierie, tabaccherie, barbierie, ed ogni bottega pubblica ove sul suol adunarsi la gente” 23 maggio 1796.

(13) Camp. Storico di diversi governi. – Boi. 179?, pag. 69 e 70.

(14) Il generale Bonaparte prese alloggio nel Palazzo Senatorio Pepoli. Saliceti in quello del Senatore march. Gnudi.

(15) “Nel trattato d’ armistizio fra la Francia e la Corte di Roma, Bonaparte volle per condizione espressa che tutti individualmente fossero restituiti a libertà i pretesi complici di Zamboni e non potessero giammai essere molestati”. C. Caprara 27 marzo anno VII Repubb. Raccolta citata.

(16) Il governo davasi così poca cura delle cose nostre che solo il 20 dicembre 1797 furon tolti dalla pub blica vista i ritratti infamanti dei condannati politici dipinti appesi per un piede ed esposti vicino alle carceri del Torrone dirimpetto alla Dogana di Bologna. — Dietro ricorso di onorevoli cittadini la Municipalità del Cantone di S. Francesco decretò che “ipso facto fossero cancellati nella notte dei 30 brinoso (20 dicembre 1797) que’ ritratti che per prepotente volere de’ Giudici del dispotismo era infamamente dipinto il più energico dei patriotti il cittadino Zamboni strozzato in carcere dall’ empia mano di uno dei Giudici stessi”. Quotid. Bolognese, Vol. 2. N. 86 e 87 Tip. Marsigli.

(17) Ved. Raccolta di Bandi ecc. Tom. VII. Bibl. Arch. È uno storico documento importantissimo , specialmente per la dipintura del feroce carattere del Card. Archetti.

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