Erano ottimati fino dal 1154 e come tali trovavansi presenti alle sentenze proferite allora pel pontefice in Bologna. Assunti due volte al consolato nel secolo XII, continuarono nel susseguente ad aver molta parte nel maneggio della cosà pubblica, chiamati tredici volte a reggere altre città (1). Tuffaronsi qui negli odii e nelle lotte di parte geremea. Nel secolo XIV si diedero alla milizia, poi fino al XVIII sussistettero oscuramente. Furono condomini di Montemaggiore, di Vedreto, di Guardafossa, di Stifonte, di Montecuccolo fino al 1270 e tennero per qualche tempo Mirandola ed altre castella del modenese, trasferite a loro dai Pico, con i quali pare avessero vincoli di cognazione (2). Furono de’ più grandi possessori di servi, poichè n’ebbero dugentodiciotto.
Prendiparte
Sotto il consolato di Prendiparte nel 1168 fu sottomesso con le armi il comune d’ Imola che aveva frodato gli antichi patti, e Prendiparte intimò le dure leggi del vincitore (3). Ruppe di poi (1175) un esercito di Toscani e d’imperiali sotto il castello di s. Casciano ed eletto podestà da’ suoi stessi concittadini fu a parlamento in Piacenza con i collegati nel 1185, anno in cui ospitò nelle proprie case Federico imperatore, seguendolo poi in Palestina (4).
Era uno dei consoli nel 1193 Scogozzaprete, ai quali furono dati pieni poteri per la salvezza della repubblica, poichè la città era divisa in coloro che arrabbattavansi per prolungare la podestà del vescovo Gerardo e in quelli che volevano dimetterlo. Ne avvenne una mischia e furono saccheggiate e guaste le case di Scogozzaprete e di altri de’ Prendiparte (5).
Aldovrandino giurò per Bologna nel parlamento de’ lombardi adunato in Milano (1208), poi andò rettore a quello congregato a Verona (1229) e fu quindi uno degli arbitri tra i Padovani insorti ed Ezzelino da Romano. Era già stato uno dei conciliatori che s’ interposero per far deporre le armi ad Aldovrandino d’ Este, ai Modenesi, ai Parmigiani, impugnate contro Salinguerra (6).
Jacopino Pizzolo assistè al parlamento in Ravenna (1254) inteso a pacificare la Romagna, e al giuramento solenne prestato dagli ottimati e dal popolo ad Obizzo d’ Este, allorché venne a morte suo zio Azzo VII, signore di Ferrara (1264) (7).
I Prendiparte seguirono la fazione geremea e nella mischia del 1260 combatterono i Radici, i quali due anni dopo ammazzarono Azzolino Prendiparte, non ostante la pace giurata. Nel conflitto del 1263 i Prendiparte uccisero Zuntino Magarotti e nell’ altro del 1271 furono de’ primarii. In quello in cui soccomberono definitivamente i lambertazzi vennero alle mani con gli Alberici e con i Perticoni (8). S’ immischiarono anche nella strage de’ ghibellini in Faenza (1281), imperocchè un Guidottino Prendiparte (che ve n’ eran quattro ad un tempo) fattosi complice di Tibaldello Zambrasi « che aprì Faenza quando si dormìa » entrò per cotal tradimento la città con l’ esercito bolognese, che giunse improvviso sino alla piazza. Affrontato là dai ghibellini surti in arme, Magarotto Magarotti piantò ivi lo stendardo imperiale e fece sforzo per impadronirsi del loco. Guidottino gli fu contro e, dopo aspra lotta, rovesciò a terra ferito il Magarotti e s’ impadronì di quello stendardo. Ma Ruffino de’ Principi stramazzò da cavallo Guidottino, menandogli un colpo di mazza sul capo: lo ripose in sella e salvollo Alberto Cazzanemici (9).
Gli odii di fazione trassero Guizzardino, figlio di Guidottino il vecchio, a commettere un omicidio nella persona di Ugolino Asinelli, l’ anno 1272. Riferendo il fatto, il Savioli confonde i nomi, poichè dice che l’ ucciso fu Guizzardino Asinelli e l’ uccisore Guidottino il vecchio (10). II quale non era il complice di Tibaldello Zambrasi, non era uomo da misfatti, nè altra parte ebbe in questa uccisione se non il danno. Egli è ricordato col fratello Jacopino Pizzolo per avere improntato danaro ai comune nel 1265, al fine di fare apparecchi in aiuto della parte guelfa e di Carlo d’ Angiò, venuto in Italia con un esercito contro Manfredi re di Puglia (11). E poichè nell’ anno in cui fu commesso il suddetto omicidio fervevano le discordie civili e due volte erano venute a conflitto le fazioni, il podestà Lucchetto de’ Gattaluzzi da Genova punì per quanto potè severamente ed esemplarmente, ma a tenore delle leggi, questo misfatto, che poteva essere cagione di nuove zuffe. Imperciocchè, attenendosi agli statuti che prescrivevano la demolizione entro otto giorni e sino alle fondamenta delle case e delle torri d’ un omicida (12), esso podestà fece assegnare al contumace Guizzardino la propria parte delle case paterne. Assegnatala il genitore con quella impassibilità che nelle storie antiche è levata a cielo, il podestà la fece diroccare con tutte le forme legali, siccome ho distesamente narrato nella prima parte di questo lavoro (13).
Le porzioni di case assegnate a Guizzardino, che vennero diroccate, furon due: cioè la metà d’una casa e della torre contigua situata al di là della chiesa di s. Maria degli Oseletti, la qual casa era abitata dal vecchio Guidottino allorchè il figlio commise l’ omicidio ed avevala in comune con i figli ed eredi del proprio fratello Jacopino Pizzolo. L’ altra porzione fu la terza parte d’ una casa nella parocchia di s. Niccolò degli Albari, vicino alla torre abitata dal già Guidottino Prendiparte, diverso quindi da Guidottino il vecchio.
La porzione rimasta della prima casa diroccata, al di là della chiesa di s. Maria degli Oseletti, è poscia qualificata in un atto, del 1290 (14), un avanzo di casa o di palazzo, detto il palazzo vecchio, lungo 27 piedi, con torre, presso ai da Medicina ed al Mercato di mezzo. Vi era vicino il palazzo nuovo, pur dei Prendiparte, che dalla torre medesima andava fino alla casa degli Isnàrdi ed aveva le porte e le volte verso la via (forse di Venezia) che va al Gorgadello (probabilmente via Pini ch’ ebbe tal nome e che aveva uno sbocco in via Venezia). Parimente vicina era la casa nuova, anch’ essa dei Prendiparte, posta nell’ angolo, sul trivio verso la torre di Rolando e questa casa nuova era unita mediante un ponte alla casa confinante con la chiesa di s. Maria degli Oseletti. Risulta pertanto che tutte queste case e questa torre dei Prendiparte sorgevano nell’ isola di caseggiati frapposta alle vie di Venezia e di Roma, e stendevansi dal Mercato di mezzo quasi fino alla via Altabella; perciò erano in parte nella parocchia di s. Michele del Mercato di mezzo e in parte in quella di s. Maria degli Oseletti.
Codeste case, che cominciano ad esser note da quando le possedevano indivise Guidottino e suoi fratelli Jacopo e Bartolommeo (15), e che avevano fatto nascer liti in famiglia (16), pervennero in parte per eredità di Guidottino il vecchio ai figli Patuzzo e Mino, i quali nel 1284 se le divisero. A Mino, che nel 1267 aveva comprato parte dell’ antico retaggio de’ Montecuccoli (17), toccò per metà, indivisa da cima a fondo la torre, ch’ era detta cornacchina, così come altre torri di Bologna e che aveva un solaio di casa e una bottega (18). Le altre case ereditate da Prevedino, da Guidottino e da Guglielmo, del già Jacopo sopraddetto, vennero da loro vendute nel 1290 per lire 3,500 a Princivalle Biancucci, o da Medicina, con diritto di ricupera entro cinque anni (19). E nello stesso giorno furono rivendute dal Biancucci ai Pavanesi, salvo e prorogato il diritto di ricupera ai Prendiparte (20). Mantenendo il quale i Pavanesi vendettero alla loro volta nel 1298 cotesti palazzi e case e torri al giureconsulto Lambertino Ramponi, per lo stesso prezzo di 3,500 lire (21).
Quanto all’ altra casa di questa famiglia (nella parocchia di s. Maria degli Albari) la cui parte anteriore era stata diroccata, si rileva da atto del 1293 che antecedentemente era stata venduta, insieme con altre case, da Patuzzo del già Guidottino Prendiparte a Rolando e Giacomo di Feliciano, pel prezzo di 800 lire. Ma con la condizione che se venisse per messo a questi compratori di ricostruire la parte anteriore della casa, fatta distruggere in passato dal comune, essi compratori darebbero per ciò 200 lire a Patuzzo, entro un mese. E poichè il consiglio del comune nel Dicembre dell’ anno antecedente aveva decretato che Patuzzo potesse fabbricare sull’ edificio demolito, così dai compratori sopraddetti furono nel 1293 sborsate le 200 lire a Patuzzo (22).
Emerge dunque da quest’ atto che il divieto statutario di ricostruire le case condannate a demolizione era talvolta abrogato dal consiglio, e che ai Prendiparte fu accordato tale indulto vent’ anni dopo la condanna.
Tutte queste case, che negli atti sopraccitati diconsi situate nella parocchia di s. Niccolò degli Albari, credo siano le stesse che in una carta del 1284 sono attribuite alla parocchia di s. Simone sul poggio a ponente dell’ Aposa. Poichè in questa carta di divisione di tutti gli stabili urbani già di Guidottino il vecchio, fatta da’ suoi figli Mino e Patuzzo, non sono nominati quelli in parocchia di s. Niccolò, ma lo sono questi in parocchia di s. Simone, non menzionati in altri atti (23). Probabilmente erano in parte sotto l’ una, in parte sotto l’ altra parocchia e da ciò la diversa indicazione complessiva. Al qual proposito giova ricordare che il numero delle parocchie era in que’ tempi tragrande, quindi ristrettissima la loro giurisdizione. Segnatamente erano anguste le parocchie gentilizie, così da non contare che poche case d’ una sola famiglia. Ammettendo questa mia induzione, una delle torri de’.Prendiparte sarebbe stata sul poggio o piazzetta di s. Simone.
Altri edificii torriti dei Prendiparte erano nella piazzuola di s. Sinesio, dietro al vescovato, uno dei quali è più volte enunciato per grande ospizio merlato, o grande casa, o palazzo, con torre. Nel 1283 questi edificii, unitamente ad altri, vennero divisi tra Catalano, del già Jacopo Pizzolo Prendiparte, e Mino e Patuzzo, più volte ricordati, figli del già Guidottino vecchio; dal che si può dedurre ch’essi edificii avevano appartenuto indivisi a Jacopo Pizzolo e a Guidottino, e che molto probabilmente provenissero dall’ eredità paterna di Conte (24).
Per suddivisione fattane nel 1284 tra i due fratelli Patuzzo e Mino, quest’ ultimo s’ ebbe il grande ospizio merlato, con torre, che confinava con case di Zarlotto di Jacopo Pizzolo Prendiparte e con case degli eredi di Aldrovandino Prendiparte (25), cioè delle sue sorelle Manbilia e Bartolommea, del già Azzolino di Guidottino, come risulta da un altro atto (26).
Ma Simone, del già Mino Prendiparte vendette nel 1293 il grande ospizio merlato e la torre alla società dei cordovanieri o calzolai, per 500 lire, promettendo che le proprie figlie, Beatrice e Laxia, darebbero il loro consentimento allorchè raggiungerebbero l’ età legittima. Intanto acconsentì Agnese Scappi, moglie del venditore (27).
Se non che un rogito del 1295 ci rivela che la società dei calzolai aveva frattanto venduto ad Orso Bianchetti, per mille lire, il grande ospizio torrito (non più detto assolutamente della parocchia di s. Sinesio, bensì della parocchia di s. Pietro o di s. Sinesio). Ma che essendo stato dichiarato dal sopraddetto Bianchetti che quella vendita era fittizia, simulata e contro la verità, (come spesso accadeva) la società de’ calzolai rifece la vendita, elevandone il prezzo a 1,400 lire, a Giovanni e Francesco di Tommaso da Imola (28).
Malgrado tutto ciò, non solo i Prendiparte conservavano diritti su questa torre nel 1306, ma la possedevano nel 1358, nel qual anno gli altri consorti cedevanla, unitamente ad una casa, per 350 lire, al solo Lambertino del già Simone Prendiparte, con patto non la vendesse se non ai propri agnati (29).
Tre erano pertanto i gruppi di abitazioni, estesi e poco discosti, dei Prendiparte; imperocchè le famiglie potenti dimoravano così raccolte, da poter prontamente riunirsi in armi ad offesa o a difesa, quando occorresse. Tre erano le torri di cotesta famiglia, di due delle quali non rimane vestigio. La terza, ossia quella del grande ospizio merlato, s’ innalza tuttavia maestosa nella piazzetta di s. Sinesio dietro l’ arcivescovato, e da secoli è detta la Coronata.
Il Toselli (30) credette che questa torre appartenesse nel 1303 al vescovo di Bologna e servisse di carcere pel foro ecclesiastico, da che trovò in un processo di tal anno che un omicidio era stato commesso nelle vicinanze della canonica di s. Pietro apud voltam et subtus voltam turris carceris Episcopatus Bononie. Ma per ciò che son venuto dicendo, è poco probabile che nel 1303 la torre carceraria del vescovo fosse la Coronata, comprata dal vescovo soltanto due secoli dopo.
Alla fine del quattrocento la torre era bensì passata a certi Fabruzzi e ne aveva preso il nome (31); ma ne fu confiscata una metà, insieme con gli altri averi di Domenico Fabruzzi, al tempo della cacciata de’ Bentivogli, per i quali è a credere che costui parteggiasse. Nel 1508 una metà di questa torre e della casa contigua venne assegnata dal governator di Bologna monsignor Fieschi alle monache Francesca e Cassandra, già figlie di Giovanni Fabruzzi, per loro dote ed eredità paterna. Poi nell’ anno medesimo l’ altra metà di torre e di casa, confiscata al ribelle Domenico Fabruzzi, fu conceduta ad esse monache supplicanti, per commiserazione della povertà loro e del loro monastero, con la condizione però, che mai possa essere distrutta quella torre e che la si debba conservare in perpetuo da tutti coloro che ne diverranno possessori (32).
I Seccadenari, divenutine poscia padroni (33), la vendettero nel 1538 alla mensa arcivescovile di Bologna, unitamente ad una casa grande contigua, per lire 12,000. La torre era detta tuttavia de’ Fabruzzi (34) e il vescovo Paleotti collocò il seminario nelle due case aderenti. Ma quando poi nel 1751 il seminario fu trasferito ov’ è attualmente, una di esse case e la torre furono ridotte a carcere del foro ecclesiastico e continuarono ad esserlo fino al 1796. L’ altra casa servì di abitazione (35) al bargello.
Le tre prigioni nella torre sono ancora tali quali erano allorchè furono diserrate dalla rivoluzione nel secolo passato. Formano due piani, sopra il primo ch’ è abitato, e vi si ha accesso per una scala non antica murata, a chiocciola, in uno degli angoli interni della torre. Due prigioni sono larghe e lunghe poco più di tre metri (una con vólto sufficientemente alto) con flnestrette recenti munite di ferriate e con agli usci aperture per spiare, provvedute anch’esse di ferriate. La prima prigione però ha questo di particolare ch’ è alta solo due metri ed immette in una seconda prigione incavata nella grossezza del muro, non più larga di met. 1,37, non più lunga di 68 centimetri ed alta da met. 1,76 a 2,98, essendo quivi il muro tagliato a sbieco. Lo spazio angustissimo che ne risulta è inoltre diminuito da due gradini, che forse facevano ufficio di panca. Questa quint’ essenza di carcer duro ha lume dall’ alto e l’ uscio con finestrino e ferriata. Quasi non si crederebbe possibile vi si tenessero rinchiusi degli uomini, se non lo accertassero le scritte profondamente incise nelle pareti, in cui sono anche figure di chiese e di altre cose a graffito.
Sopra la porta vi ho letto:
1778
Io Mauro Muzzi
fui levato dal letto
In nel Convento di s.
Francesco e fui condoto qi (qui) per aver fatto un do-
vello di coltello e rimasi ferito, ma più il Rivello (rivale?)
Qui stete giorni 40 (!)
e più in alto:
Io Angelo Rizzoli
fui calcerato per avere
ingr … due sorele:
da una parte:
Sebastiano Gio. 60 (giorni?)
per una put. . .
I muri delle altre prigioni hanno moltissime scritte graffite, per la più parte o scialbate o di difficile lettura. Nel poco tempo che là rimasi, e con la paca luce d’ un lumicino copiai queste nella prigione del terzo ed ultimo piano.
Nella parte interna dell’uscio:
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
cxxxxxxxx
Antonio Minelli
Sarebbero i giorni di prigionìa da lui numerati a decine e a centinaia, i quali ammonterebbero a 430?
In una parete in buon carattere stampatello, scolpito piuttosto in grande:
V I A L
1778
Misera condicione di chi vien qua dentro
sepolcro dei viventi e eli si dimanda
qua non vale né oro, né argento
la carità si trata da una banda
quella aun amicho che vien per complimento
poco pode sperar di cose grande
anci li amici e parenti si alontana
e noi qua dentro dal ciel spettiam la mana.
In altro luogo:
due mesi a pane
e acqua (!)
Questa torre Coronata è la seconda per altezza fra quelle che ci sono rimaste, ma è però mozzata (fig. 20). Vi si contano trentasei ponti o colombari e vi sarebbe spazio in circa per sei fino alla base, che ne comprenderebbe altri tre; quindi si può dire che la torre è alta quarantacinque ponti, ossia met. 58 1/2 approssimativamente. La corona di quattro punte per ogni lato, comprendente due intervalli di ponti o met. 2,60, è formata da una risega larga forse venti centimetri e tocca il sestultimo ponte, ossia è alta dal suolo circa 50 metri; la risega della torre Asinelli è all’altezza di met. 34,40 e quella della torre Azzoguidi è a circa met. 28, sicchè è manifesto, tanto assolutamente, quanto relativamente, che la torre Coronata s’ incalzava molto di più che oggidì, il che pare anche indicato dalla considerevole grossezza dei muri ch’ è di met. 2,28. Non vi sono altre scale che le recenti delle prigioni, al di sopra delle quali si scorge appena un vólto, che sembra a mezzo della torre. Essa è larga met. 8,36; nel lato che prospetta la piazzuola non ha finestre antiche, ma solo uno stemma accartocciato di macigno, riferibile al secolo XVI e che forse è quello dei Fabruzzi. Nel lato a sinistra sopra la corona ha una delle solite finestre lunghe arcuate; nell’altro a dritta due di tali finestre, molto al di sotto della corona e col solo intervallo di sei ponti; nel lato posteriore un’ uguale finestra poco sotto la corona. La base a scarpa è alta met. 2,75, ed ha nove fila di lunghi parallelepipedi di gesso.
La porta ( fig. 21 ) a livello della strada ha esternamente l’arco ogivale, attorniato da cunei di macigno che formano un arco vie più acuto e sfogato; ma nell’interno della torre l’arco è invece a tutto sesto con piè dritto e con fascia uniforme di mattoni. Quasi al fine dell’entrata vi sono i soliti modiglioni di gesso con sotto due sporgenze che hanno apparenza di altri modiglioni, ma che probabilmente sono avanzi di pilastrate manomesse (36). Le particolarità abbondano in questa torre, la quale è per ciò pregevolissima.
(1) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 205. Savioli, Ann. v. 1, pag. 304 ; v. 3, pag. 338; v. 5, pag. 172, 268, 279, 281, 333, 366, 368, 394, 421, 447, 472.
(2) Savioli, Ann. v. 5, pag. 399, 434.
(3) Savioli, Ann. v. 3, pag. 3.
(4) Ghirardacei, Hist. v. 1, pag. 93, 100. Savioli, Ann. v. 3, pag. 129. 135.
(5) Savioli, Ann. v. 3, pag. 186.
(6) Savioli, Ann. v. 3, pag. 296, 335; v. 5, pag. 65.
(7) Savioli, Ann. v. 5, pag. 282, 379.
(8) Savioli, Ann. v. 5, pag. 341, 361, 367, 444, 481,
(9) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 257.
(10) Savioli, Ann. v. 5, pag. 460.
(11) Savioli, Ann. v. 5, pag. 388.
(12) Docum. n. 9, rubr. 19.
(13) Docum. n. 79.
(14) Docum. n. 178.
(15) Docum. n. 21.
(16) Docum. n. 51.
(17) Savioli, Ann. v. 5, pag. 399.
(18) Docum. n. 134.
(19) Docum. n. 181.
(20) Docum. n. 182.
(21) Docum. n. 215.
(22) Docum. n. 191.
(23) Docum. n. 134.
(24) Docum. n. 133.
(25) Docum. n. 134.
(26) Lib. 53, ann. 1283 memorial. Bellocti Jacob. Bellocti fol. 170, v.
(27) Docum. n. 193.
(28) Docum. n. 205.
(29) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 199.
(30) Racconti stor. v. 1, pag. 42.
(31) Alberti, Hist. deca 6, lib. 1. Alidosi, Instrut., pag. 194.
(32) Docum. n. 241.
(33) Alidosi, Instrut., pag. 194. Zanti, nomi di strade, pag. 44.
(34) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 200.
(35) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 200.
(36) Le seguenti misure mettono a confronto il lato esterno della porta coll’interno.
esternamente / internamente
altezza dell’apertura met. 2,20 / met. 2,20
larghezza dell’ apertura met. 0,86 / met. 1,02
altezza dei modiglioni — / met. 0,35
larghezza dei modiglioni — / met. 0,40
spazio fra i modiglioni met. 0,16 / met. 0,16
altezza dell’ architrave — / met. 0,37
altezza dell’ovolo met. 0,34 / —
larghezza dell’arco met. 0,82 / met. 1,02
altezza dell’arco met. 0,61 / met. 0,56
larghezza maggiore della fascia met. 1,30 / met. 0,53
larghezza minore della fascia met. 0,73 / met. 0,53