Cominciano ad essere nominati nel secolo XI; « nei tempi successivi (dice il Litta (1)) hanno mano in tutte quante le vicende della loro patria e si resero particolarmente benemeriti della libertà ». Ebbero luogo in senato dal 1466 al 1797, cioè da poi che fu istituito fino a che fu soppresso, e sedettero anziani dugentodiciasette volte. Numerosissimi nel medio evo, fino a contare novantacinque maschi ad un tempo, e ad avere ventitrè capi di famiglia esuli, citati da Enrico VII; colpiti sovente da proscrizioni e talvolta indistintamente dai quattordici anni in su da diversi padroni di Bologna, diramarono a Rimini, nel Friuli, a Ferrara, a Novara, ove da gran tempo si spensero, e nell’ arcipelago greco ove sussistono. Quivi pel lasso di tre secoli signoreggiarono le isole di Sifano, di Thermia, di Namphio e di Chea. Anzi da una bolla di, Paolo V appare ch’ erano sotto la loro dizione eziandio Chimolo, Polinuolo, Policandro e Gnio. Ne fu spossessato dagli Ottomani il quattordicesimo dinaste, Angelo V, nel 1617 e il prof. Hopf ha tessuta la Storia genealogica de’ Gozzadini greci, tutta su documenti (2). Il Litta (3) ha compilato quella dei Gozzadini di Bologna, sì ch’ io ne toccherò speditamente, e soltanto per Sommi capi, prendendo lui per guida.
Gozzadini
I Gozzadini di Bologna ebbero nel secolo XIV il protettorato di Massa lombarda e la signoria di Bombiana, nel XV il dominio su Cento, Pieve, Torre di Canuli, Foreda, Galiera, Coceno, Vergà, Massumatico e Castelfiuminese, col titolo di signori superiori, difensori e amatori (4). Nel seguente secolo furono infeudati delle contee di Zappolino, e del castello di Liano da loro anticamente edificato (5).
Seguendo parte geremea si azzuffarono più volte in Bologna con avversarii di fazione e segnatamente con gli Arienti nel gran conflitto del 1267, uccidendo un di costoro e derivandone grave inimicizia. Composero i celebri fra Loderingo e fra Catalano, e la pace tra sedici de’ Gozzadini e gli Arienti venne celebrata con grande solennità davanti a’ magistrati (6).
Amadore e Brandelisio Gozzadini, accusati nel 1303 di sedizione, furono insieme con altri nobili banditi ed ebbero molte case devastate e le torri abbattute (7).
Un altro Brandelisio Gozzadini, « uomo di grande ingegno, ma indomito, terribile e impaziente delle leggi » (8) sollevato il popolo, scacciò nel 1334 il legato pontificio, cardinale Du Pojet, che voleva farla da padrone. Rattenne a lungo Taddeo Pepoli, il quale agognava la signoria di Bologna; gli contese il primato, ma l’emulo era più scaltro, e prevalse ( 1337). Le case di Brandelisio situato in strada Maggiore furono messe a fuoco e fiamma, ed egli morì in esiglio (9).
Calorio, Delfino, Matteo, Fulcirolo e Bonifazio tentarono di liberar la patria dalla tirannìa dell’ Oleggio, e furono tutti cinque decapitati (1354) (10).
Pino fu uno di quelli che sottrassero Bologna dal dominio di Gregorio XI, e ne espulsero il cardinale legato di s. Angelo (1376) (11).
Nanni, ricchissimo, valoroso capitano generale, magistrato energico e grande patriotta, ebbe una parte principalissima nella storia del suo tempo, ma io non toccherò altro che degli ultimi avvenimenti. Lottò con Carlo Zambeccari, che riuscì a farsi signore di Bologna (1398), con Giovanni Bentivogli che riuscì anch’egli, ma fu poi trabalzato da Nanni, da lui perdonato, e a furor di popolo ucciso (1402). Nanni liberò Bologna anche dalla dominazione de’ Visconti, (1403) (12) ed infrenò da principio la smania di principato che rodeva il cardinal legato Baldassar Coscia. Non potè però sfuggire alle insidie e alle frodi di costui, il quale, trovando in Nanni un ostacolo saldissimo alla propria ambizione, simulò una congiura e fece credere che Nanni meditasse di costringere i Bolognesi con la fame a eleggerlo loro signore: quel patriotta che aveva più volte rivendicata Bologna a libertà e che un anno prima disdegnosamente rifiutava la signoria della patria, offertagli da chi poteva assicurargliela: ma il popolo dà sempre fede a’ suoi istigatori (13).
Il cardinale Coscia s’impossessò a tradimento di Bonifacio, fratello e di Gabbione figlio di Nanni, e fece mozzar loro il capo sulla piazza (1404). E come Bonifacio, valoroso soldato, nell’ esser tratto a morte sclamava ah cardinale traditore! così questi lo fece imbavagliare, a soffocargli le parole. Sollevò il popolo, lo sguinzagliò contro il merlato palazzo di Nanni, che fu saccheggiato, arso, distrutto, tra le grida
Viva il pane, viva il vino
Mora Nanne Gozzadino.
E così risolvevasi la tragrande aura popolare di cui Nanni era stato circondato fino allora. Il Coscia distenne quanti potè de’ Gozzadini, e Bonifacio IX non risparmiò nè meno la moglie incinta di Gabbione suo figlioccio, che si sgravò nelle prigioni di Castel s. Angelo. Il Coscia proscrisse gli altri Gozzadini dai quattordici anni in su; combattè Nanni nelle sue castella, il quale per qualche tempo gli tenne testa, ma poi dovette venire a patti e vi si adoperarono gli oratori di Venezia e di Firenze. Il cardinale li promise ma non li tenne, e fraudolentemente ridusse il suo nemico da ricchissimo ch’ egli era a povero, da potente a ramingo e lo fece morir esule (1407). Divenuto papa, col nome di Giovanni XXIII, venne deposto nel concilio di Costanza, ove fu accusato dall’ uditor di rota Giovanni Tomari quale ingiusto persecutore de’ Gozzadini (14). Le ossa di Nanni furono quindi ricondotte in quella patria ch’ egli dilesse, benchè ingrata, e ritornaronvi i suoi congiunti, i suoi nipoti ed i suoi figli, uno de’ quali, Giacomo, sottrasse allora Bologna dalla soggezione della chiesa (1416) (15).
Era un altro suo figlio Delfino, che abbandonò il principesco governo dell’ abazia di Nonantola per stare a’ fianchi del padre, allorchè disponevasi a resistere al Coscia nella fortezza di Cento. Perciò fu deposto dal papa (1404) che lo disse figlio d’iniquità e fecelo imprigionare in Carpi dai Pio, che lo avevano accolto, dopo l’accordo col Coscia, con ospitalità così leale. L’ abate si trasse però d’impaccio calando dalla rocca per mezzo d’ una fune. Nel 1409 Alessandro V non lo reputava iniquo, poichè gli diede un vescovato. Ma quando il Coscia diventò papa, Delfino gli ribellò Bologna (1411) e poscia continuò a fare un po’ il tribuno un po’ il vescovo, conciliandosi talmente l’ amore de* Bolognesi, che, patteggiando essi con Eugenio IV (1431), posero tra le convenzioni fosse provveduto convenientemente a Delfino (16). E qui è da dire d’un altro prelato della stessa famiglia, Giovanni, ligio a Giulio II, il quale vendicò il padre di lui perseguitandone gli uccisori Bentivogli. Dopo la loro cacciata Giovanni venne a Bologna commissario con poteri illimitati (1507) e ne abusò, per lo che fu messo in Castel sant’Angelo. Ma allorchè Giulio II ebbe d’uopo d’un uomo temerario per cacciar gli stranieri d’Italia, nominò costui commissario generale in Romagna (1512), lo mandò nunzio a’Fiorentini al grande scopo, lo colmò di favori. Tolta Piacenza ai Francesi vi pose al governo lui, il quale spiacente, dovette svignare alla morte di Giulio. Dopo aver sostenuto altre missioni d’alta politica, da Leone X gli fu affidato Reggio (1513). « Giovanni era molto dotto… viveva con grande magnificenza, discorreva molto e con gran senno delle cose degli stati, era assai bello della persona e pieno di grazie. Ma sempre fiero, sempre ingiusto se si trattava delle fazioni » (17). Avendo offesa quella dei Bebbio fu congiurata la morte di lui e il conte Paolo la effettuò il giorno di s. Pietro, in duomo (1517), con venticinque pugnalate.
Fratello dell’ ucciso fu Cammillo, capitano rinomato, e acerrimo nemico dei Bentivogli pel padre massacratogli. La sua influenza e la sua spada contribuirono a scacciarli dalla signoria di Bologna (1506): ma poichè fecero un tentativo per ricuperarla, Cammillo disse che bisognava disfare il nido del falco (18), acciocchè più non tornasse. E accecato dall’odio, mise fuoco al palazzo dei Bentivogli (1507) stimato uno dei più magnifici d’Italia; e il popolo compì l’opera. Poscia Cammillo rivolse meglio la sua fierezza, imperciocchè le soldatesche di Carlo V, al tempo della costui coronazione in Bologna (1530), esasperavano la popolazione con soprusi. I cittadini, e Cammillo particolarmente, rimeritavano a colpi di spada la baldanza spagnuola, a tal che Antonio de Leyva, duce supremo, si querelava con Carlo V presente Clemente VII e il Gozzadini, e minacciava spagnolescamente di trattar Bologna come Milano. Il Gozzadini, senza curarsi d’altro, con fierezza italiana diceva: badasse, che a Milano fabbricavansi spille, a Bologna pugnali, e si sapevano adoperare. Il de Leyva, che sel sapeva, si tacque (19).
Cambiati di molto i tempi, tra le mollezze arcadiche del seicento, un Marcantonio della stessa schiatta e della stessa anima di Cammillo, essendo gonfaloniere di giustizia, chiedeva al cardinal legato Gastaldi componesse le vertenze tra Bolognesi e Ferraresi, insorte per innondazioni (1667). Il cardinale non curavasi di spegnere ma sì di rinfocolare la discordia, onde Marcantonio, senz’ambagi, dicevagli che, mancando egli al fine pel quale i legati venivano inviati a Bologna, messer lo cardinale poteva andarsene, giacchè i Bolognesi sapevano governarsi da sè medesimi (20).
Ma ritornando a’ tempi antichi dirò che Benno, uno dei ventiquattro di sua famiglia chiamati altrove a podestà (21), fece scavare il canal naviglio da Abiategrasso a Milano, nel 1257 « creando un valore nuovo e perpetuo sulle campagne irrigabili e preparando il comodo della navigazione ». Ma il popolo milanese, arruffato da una classe di persone che non avrebbe voluto sottostare alle imposizioni necessarie al compimento di questa grande opera, affogò Benno nel suo canale. Furono concedute le rappresaglie ai Gozzadini sui Milanesi e durarono ventisei anni (22). Lo storiografo Verri, dopo aver detto (23) che Benno « meritava le adorazioni de’ suoi contemporanei e un pubblico monumento » e dopo averne narrato la tragica fine e la memoria calunniata, conclude: « È tempo ormai che la voce libera d’ uno scrittore ricordi ai concittadini suoi questa atroce ingiustizia commessa dai loro antenati… Ripariamola ora noi e la riparino i nostri posteri … (e di) Benno de’ Gozzadini sia consacrato il fausto nome all’ immortalità ». Ma è in vece una società inglese che ha eretta una statua a Benno nella galleria Vittorio Emmanuele. Raffaele Sonzogno ha dato alle stampe un romanzo in sette volumi, intitolato Beno de’ Gozzadini podestà di Milano, storia del XIII secolo. Milano libreria Sonzogno 1868.
Candaleone Gozzadini fu uno de’ magistrati che nel 1256 promossero e attuarono l’emancipazione dei 5807 coltivatori delle nostre campagne, vincolati di servitù.
Tra i molti di questa famiglia che si diedero alle armi, e ve n’ ebbero di crociati e di templari, emerse Testa, ossia Malatesta capitano generale. « Lo troviamo (dice il Litta) per 40 anni in tutte le imprese de’ Bolognesi (1280-1320) e di lui si fa menzione in ogni fatto d’ arme sempre con onore ».
Quattordici Gozzadini furono professori o in leggi o in medicina, emulati in ciò da una sola famiglia bolognese. Uno di essi ebbe cattedra nell ‘ università romana, gli altri insegnarono nell ‘ ateneo bolognese. Le tradizioni raccolte dal Ghirardacci (24) vi aggiungono una donna, Bettisia, che avrebbe tenuto qui lettura di legge nel secolo XIII. Di costoro Gozzadino visse 108 anni (25), Scipione fu rinomato giureconsulto, Lodovico, inalzatosi sopra gli altri, è celebre nei fasti della giurisprudenza (1479-1536). Le sue opere, che a’ tempi suoi erano in altissimo grido e che sono tuttavia consultate, furono stampate non solo in Bologna, ma in Lione nel 1541, nel 1549, nel 1584; ed in Venezia nel 1566, nel 1571 e nel 1598 (26).
Ulisse fu anch’ egli professore di legge nella seconda metà del secolo XVII; fatto cardinale e legato di Romagna si rese benemerito d’Imola, di Ravenna e inoltre di Bologna. Legato a latere di Clemente XI a benedire in Parma le nozze di Elisabetta Farnese con Filippo V re di Spagna, sfoggiò una magnificenza inusitata e veramente spagnuola (27). Papeggiò nei conclavi da cui uscirono Innocenzo XIII e Benedetto XIII.
Il suo nipote omonimo lo emulò nella splendidezza, tenendo una specie di corte in Roma ove risiedette ambasciatore di Bologna ventiquattr’anni (1767-1791) per volere di Pio VI, nonostante l’invidia e le mormorazioni de’ senatori, che mal comportavano fosse quasi infeudato in un collega la missione cospicua ed eccezionale, che metteva a pari degli ambasciatori delle grandi potenze il rappresentante d’uno stato, privato della sua autonomìa e ridotto quasi a provincia. Chè i papi, tolto quasi tutto l’ arrosto alla grassa Bologna, avevanle lasciato alquanto di fumo.
Fino alle mie recenti ricerche non era .certo che i Gozzadini avessero anticamente una torre, nè a me era avvenuto di trovarne prova, benchè nella mia prima giovinezza avessi raccolto otto volumi di notizie storiche e di documenti della mia famiglia, dei quali si valse il Litta. Soltanto potevasi fino ad un certo punto arguirlo dal dire il Griffoni (28), e dal ripetere il Ghirardacci (29), che per una congiura del 1303 furono abbattute molte case e torri di coloro che ne furono creduti partecipi, fra i quali erano i fratelli Brandelisio e Amadore Gozzadini. Però tra queste molte torri poteva non esservene una de’ Gozzadini, perchè potevano non averla. Ma due atti del 1290 e 1293, che sto per riferire, ci dimostrano che veramente essi l’ ebbero.
Anticamente le case de’ Gozzadini stendevansi lungo strada Maggiore (nn. 266, 267, 268, 269) volgendo a sinistra per la via Gerusalemme fino alla chiesa di santo Stefano. Ed eran molte, perocchè anticamente, come ho detto, noveravansi a un tempo novantacinque maschi de’ Gozzadini e ne furono citati ventitrè capi di famiglia.
Napoleone del già Licanoro (30), gran fautore de’ geremei e protettore di Massa lombarda, Bernabò suo fratello crociato e templare, e il loro zio Brandelisio di Napoleone, uno dei pacificati con gli Arienti, divisero nel 1290 case che avevano colà in strada Maggiore presso la via Nuova, detta Gerusalemme, e da due lati presso gli eredi del già Amadore Gozzadini (cioè i suoi figli Seguradesio, Doncisvalle, Lancilotto, Bettisia (?) Bonifacio e Pierpagano) non che presso gli eredi di Lazzaro Crescenzi e gli eredi di Zano Gagliani (31). A Brandelisio toccò tutta la torre con vólta grande, con tutto il balcone, con la corticella e le case posteriori fino alla via Gerusalemme. I fratelli Napoleone e Bernabò ebbero la casa vecchia ossia la caminata (vocabolo degno in tale significazione d’esser notato) già abitata da Brandelisio, con tutta la corte, il terreno e le case ch’ erano dalla torre alla via chiamata Gerusalemme. E, prima dell’ assegnazione delle parti, era stato convenuto che i portici della torre verso strada Maggiore dovessero rimanere sporgenti soltanto quanto lo si trovavano: che quella delle due parti cui toccherebbe la caminata vecchia dovess’ avere l’ingresso per la torre direttamente, com’ è la porta, e potesse far la volta per mezzo alla porta ed abitare la torre. Non gli fosse lecito però di farvi sedile (agiamento), nè di tenervi fieno o paglia, nè di assottigliarne i muri. I quali ultimi due divieti miravano evidentemente alla conservazione della torre, e il secondo dei quali mi fa credere fosse già divenuto meno che raro un così fatto e così stolto assottigliamento, che causò la caduta della torre Rodaldi e forse anche di altre torri.
Un’ ulteriore divisione di case vicine alle sopraddette e ad altre de’ Gozzadini venne fatta tre anni dopo (32) da Amadore, da Palamidese, da Gozzadino, da Giuliano figlio di Bonifacio per una parte; da Giovanni del già Pietropagano per la seconda parte; dall’anzidetto Lanzilotto del già Amadore per la terza; da Malatesta o Testa, il capitano generale, per la quarta parte. Queste case confinavano con que’ Napoleone Bernabò, e Brandelisio che fecero la prima divisione, con la via nuova di s. Stefano (Gerusalemme) e con gli eredi del già Gozzadino Gozzadini (cioè Pietro, Benno, Vinciguerra e Dinadano). I particolari del lungo atto di questa divisione interesseranno chi si piace di conoscere lo scompartimento delle case e gli usi patriarcali di que’ tempi, ma io ne toccherò qualcuno soltanto per non venire a noia al lettore.
Fu convenuto che nella casa principale dovev’ essere sempre un corridoio, o andavino, largo 5 piedi e mezzo, avente ingresso per la porta, vicina alla porta grande anteriore di detta casa, presso la torre di Bernabò, di Napoleone e di Brandelisio, e che siffatto corridoio si prolungherebbe sino alla porta posteriore di essa casa nella quale abita Malatesta (il capitano generale) e dovev’esser libero da ingombro di mattoni, di masserizie, o di altre cose che farebbero impedimento a pedoni e a cavalieri.
In una delle parti furon messe segnatamente la caminata col camino nella quale dimorava Lanzilotto… e il balcone sopra il quale giace Giovanni di Pietropagano… e il terreno inferiore di esso balcone, fra le colonne di tal balcone.
La torre adunque di Napoleone, di Bernabò e di Brandelisio figlio d’ un altro Napoleone, nominata nell’ atto del 1290, situata in strada Maggiore presso la via Gerusalemme, è certamente quella che insieme alla casa contigua fu atterrata per condanna contro esso Brandelisio di Napoleone e contro il suo cugino Lanzilotto d’Amadore, nel 1303. E con ciò concordano due instromenti di divisioni fatti nel 1399 e nel 1401 (33) tra i fratelli Bonifacio e Nanni (le vittime del cardinal Coscia, perchè, noverando le case de’Gozzadini situate fra strada Maggiore e la via di Gerusalemme, tacciono della torre che più non doveva sussistere, ma menzionano un guasto accanto ad una delle suddette case, il qual guasto sarà l’effetto della condanna pronunziata contro Amadore e Lanzilotto.
In queste ultime divisioni pervenne a Nanni palacium sive domus magna posita in strata maiori in capella s. Michaelis de Leproseto, iuxta viam publicam a duobus lateribus (ora n. 266). Il qual palazzo è quello che fu distrutto dal popolo incitato, nel 1404. Il sincrono continuatore dell’Historia miscella ne fa ricordo in questa guisa (34). « Adì 11 (Luglio) i casamenti di messer Nanni Gozzadini furono tutti disfatti da strada Maggiore fino a s. Stefano, ch’ erano grandi. E fu gran male di cui furono cagione i partigiani nemici de’ Gozzadini » (35).
Un’ altra torre, parimente in strada Maggiore, fu posseduta dai Gozzadini dal secolo XIV in poi, e perciò l ‘ Alberti (36) la disse nel 1541 « la torre di Ulisse Goggiadini in stra Maggiore » ma originariamente era d’altra famiglia. — Vedasi Tantidenari.
(1) Famiglie celebri italiane — famig. Gozzadini.
(2) Pubblicata nell’Allgemeine Encyklopàdie der Wissenschaften und Kflnste in alphabetischer Folge von genanten Schriftfellern bearbeitet und heransgegeben von I. S. Ersch und I. G. Gruber mit kupfern und Charten-Erst section A-G. herausgegeben von Hermann Brockhaus Sechsundsiebzigster Theil-Gottànlichkeit Graaf-Leipzig T. A. Brokhaus 1863. Lo stesso Hopf nel 1873, in cui mori, pubblicò la genealogia dei Gozzadini greci nelle Croniques Greco-Romaines inedites ou peu connues, acec notes et tables génèalogiques. Berlin librairie de. Weidemann — ivi Dynastes Italiens et autres de l’ Archipel., pag. 490.
(3) Famiglie ill. ital. dispensa 76 parte prima, dispensa 79 parte seconda.
(4) Histor. miscell, col. 573. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 541, e documenti Dell’ arch. Gozzadini.
(5) Litta, Famig. Gozzadini. Docum. nell’ arch. Gozzadini.
(6) Histor. misceli, col. 279. Docum. nell’ arch. Gozzadini. Litta, Famig. Gozzadini.
(7) De Griffonibus M. Memor. col 133. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 450.
(8) Litta, Famig. Gozzadini.
(9) Histor. misceli, col. 359, 360, 372, 373. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 128. Litta, Famig. Gozzadini.
(10) De Griffonibus M. Memor. col. 169. Histor. misceli, col. 433.
(11) Histor. misceli, col. 500.
(12) De Griffonibus M. Memor. col. 205, 208, 210. Histor. misceli, col. 573, 574, 575. Litta, Famig. Gozzadini.
(13) Histor. misceli, col. 573, 579, 582. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 534. Litta, Famig. Gozzadini.
(14) Labbé, Sacros. Concilia, v. 16.
(15) Litta, Famig. Gozzadini.
(16) Tiraboschi, Stor. dell’ Abaz. di Nonantola, v. 1, pag. 166. Litta, Famig. Gozzadini.
(17) Litta, Famig. Gozzadini. Fantuzzi, Notiz. v. 4, pag. 212-217.
(18) II falco era l’impresa di Annibale Bentivogli, capo allora della famiglia.
(19) Vizzani Histor. della sua patria, pag. 555, 556. Litta, Famig. Gozzadini.
(20) Ricordi autobiografici ms., nell’arch. Gozzadini. Litta, Famig. Gozzadini.
(21) Savioli, Ann. v. 5, pag. 311, 316, 367. Litta, Famig. Gozzadini.
(22) Stor. bologn. e milan. Litta, Famig. Gozzadini. Documenti nell’ arch. Gozzadini.
(23) Verri, Storia di Milano, v. 2, pag. 43.
(24) Histor. V. 1, pag. 158. Sarti, De clar. archig. v. 1, pag. 154.
(25) Malvasia, Marmora felsinea, pag. 77.
(26) Fantuzzi, Notiz. v. 4, pag. 212 e segg. Mazzetti, Repert., pag. 159, 160.
(27) Muratori, Annali v. 16, pag. 436. Codesta magnificenza risulta specialmente dal Ragguaglio delle nozze della M. di Filippo V ecc.. benedette dall’ E. Cardinale V. G. Gozzadini (1714). Parma. Stamp. di S. A. S. 1717 in fol. con tavole.
(28) Memor. col. 133.
(29) Histor. v. 1, pag. 449.
(30) Questo Licanoro figlio d’ un Napoleone e i suoi fratelli Amadore e Brandelisio avevano cinque servi soltanto nel 1257.
(31) Docum. n. 180.
(32) Docum. n. 194.
(33) Arch. Gozzadini, filza 5, n. 22, 43.
(34) Col. 585.
(35) Le case rimasero atterrate per lunga pezza e il luogo fu chiamato il guasto de’ Gozzadini.
(36) Histor. lib. 6, deca 1.