Benchè fino dal 1284 trattassero la cosa pubblica, essendochè allora Tommasino era anziano e lo fu di nuovo nel 1289, pure si può dire che la storia di questa famiglia si restringe a pochi fatti, ma onorevoli, d’un solo individuo che fu Alberto figlio di cotesto Tommasino.
Egli era capitano di milizie bolognesi e nel 1323 fu in caricato con altri di giudicare alcune vertenze di confine presso il modenese (1). Nel 1326 ebbe il comando d’una parte delle milizie che marciarono sopra il castello di Panico, ove quei conti turbulenti s’erano fortificati mirando a ricondurre a Bologna i Pepoli e gli altri fuorusciti. Ma i conti di Panico non vollero misurarsi co’ Bolognesi e ritiraronsi nei monti di Caprara. Nello stesso anno Alberto era de’ sapienti e prese parte ai provvedimenti che furono fatti contro i lambertazzi (2). Frattanto aveva tenuto per molti anni il pingue officio di tesoriere del comune e co’ proventi accumulato grosso peculio, del quale fece omaggio al consiglio allorchè cessò di curare il pubblico danaro. Che bel esempio da proporre agli odierni grandi appaltatori, per averne delle grasse risate. Alberto chiese in pari tempo la grazia che l’offerto danaro fosse impiegato a costruire una parte delle mura urbane, che allora si edificavano a difesa del nuovo ed ultimo allargamento, e fu esaudito coll’ assegnare quel danaro all’erezione delle mura che dal Pradello si stendono a Porta s. Felice (3).
Alberto, che probabilmente non ebbe discendenza, aveva fatto costruire eziandio un signorile palazzo tutto di mattoni, anzichè in gran parte di legname come a’ que’ dì si costumava, il quale, meno pochi sconci moderni, vedesi tuttavia quasi nella pristina integrità e venustà sull’angolo di Galiera e di via Porta castello (4). Cospicuo per l’ architettura ogivale è notevole per una singolarissima particolarità : cioè che sopra l’ arco di ciascuna finestra è murato un bacino di maiolica, come si costumava nelle facciate delle chiese del secolo XIII, ma di cui si hanno rarissimi esempii nelle case, e solo in questa a Bologna. Un arabesco a colori su fondo bianco accresce pregio e singolarità a due di siffatti bacini, i quali sono nella fronte che dà su Galiera.
Questo palazzo divenne proprietà del comune probabilmente per disposizione d’ Alberto, anzichè per compra come il Toselli fa dire al Ghirardacci, e il comune ne fece poi dono solennemente nel 1390 ad Astorre Manfredi signore di Faenza, alleato ed amico de’ Bolognesi, affinchè egli avesse qui onorata e propria abitazione (5).
Ma nove anni dopo (1399) questo palazzo era tornato in proprietà del comune che ne disponeva liberamente. E poi chè ciò coincide coll’ aver Astorre tolto per tradimento il castello di Solarolo a’ Bolognesi e coll’ averne accettata la disfida di guerra, così io credo che per questa slealtà e per questa rottura venisse rivocato il dono fattogli del palazzo. Pertanto il comune concedeva allora in enfiteusi perpetua a Stefano Ghisilardi domum dicti Comunis qui allias appellatur domum seu palatium Alberti Conoscentis . . . cum turri, curtili, curii, logia, tereno sive orto . . . excepta dumtaxat quadam sala magna anteriori dicti palata …in qua continetur biadi dicti Comunis (6).
Questa concessione non fu nota al Toselli, ond’ ebbe a dire; « come poi il suddetto palazzo passasse alla famiglia Ghisilardi non trovo memoria » (7) e non conobbe nè meno che la grande sala, munita di finestre solo presso il soffitto, serviva di granaio pubblico, come la parte superiore d’ Orsanmichele a Firenze. Nè meno accennò che questo prezioso edificio fu offeso nel 1428 da una palla di macigno del peso di centotrenta libbre lanciata dalle bombarde di Martino V, le quali, da presso porta Galiera, intendevano a persuadere amorevolmente i Bolognesi di rimettersi sotto il dominio pontificio (8).
L’ atto dianzi accennato fa menzione della torre ch’ era nel palazzo Conoscenti e le cronache ci raccontano che in essa era la stanza da letto di Bartolommeo Ghisilardi, segretario del senato. Il quale tranquillamente ivi dormiva quando il fiero tremuoto del 1505 fragorosamente scrollò la torre e gliene fece cadere dei calcinacci sul letto. Di che il Ghisilardi ebbe sì grande spavento che pochi giorni appresso ne morì (9).
La torre, forse in seguito di ciò fu diroccata. Ne appariscono le vestigia in due muri d’ una camera presso la via di Porta castello, l’uno grosso metri 0,90, l’altro metri 1,8 costrutto in parte con parallelepipedi di gesso. Anche nei sotterranei vi è un masso rettangolare formato da siffatti parallelepipedi.
(1) Ghirardacci, I list . v. 2, pag. 45.
(2) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 67, 73, 74.
(3) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 444.
(4) Il Toselli che prese a trattare del palazzo di Alberto Conoscenti cadde nel grosso errore di scambiarlo col vicino, che sta di contro alla chiesa della Madonna di Galiera, benché di spiccata architettura del finire del quattrocento e ne diede per fino il prospetto (Appendice 1a al cenno del foro criminale bolognese — il palazzo de’ Conoscenti ecc.).
(5) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 244.
(6) Docum. n. 229.
(7) Appendice 1a al cenno del foro criminale bol. — Il palazzo de’Conoscenti ecc.
(8) Guidicini, Cose not. v. 4, pag. 276.
(9) Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. Ann. 1505.