Dai Cartigli del Comune di Bologna
Ex monastero dei Ss. Naborre e Felice detto Abbadia
Si suppone che qui fosse la prima sede episcopale della città, al tempo del proto-vescovo San Zama. La riorganizzazione operata dai monaci Benedettini, che vi si stabilirono nel 1110, ha lasciato tracce nell’esterno dell’antica chiesa, restaurata nel 1950, e nella sottostante cripta. Altre parti antiche sono il campanile, della fine del XIV secolo, e un chiostro a doppio loggiato del XV secolo.
Indirizzo:
via dell’Abbadia, 1
Dalle “Cose Notabili …” di Giuseppe Guidicini.
Chiesa e monastero di suore Francescane denominate anteriormente di S.Chiara, posteriormente dette dell’Abbadia. La chiesa sotterranea, che tuttora esiste, si reputa la prima cattedrale di Bologna, dedicata a S. Pietro apostolo, dal vescovo S. Zama, poi riedificata dal vescovo Felice fra il IV e il VI secolo per la persecuzione de’ cristiani , e dai barbari distruttori rovinata.
Quivi risiedettero li primi sette Vescovi di Bologna, da s. Zama a s. Felice, predecessore di s. Petronio. al quale si può attribuire la ragione, per cui la strada di s. Felice fu cosi detta fino dalla sua origine, ignorandosi quando i vescovi l’abbandonassero per passare a s. Stefano.
Niuno degli storici mette in dubbio che la chiesa sia stata rovinata dagli Unni nel 903, e che due secoli dopo sia risorta per cura dei monaci Benedettini, i quali ad un tempo stesso, stavano a s. Maria del Monte, a s. Naborre, a s. Felice ed a s. Stefano.
Che avessero la chiesa della Madonna del Monte nel 1185 viene comprovato da due o tre atti dell’archivio della famiglia Lojani. — Un istrumento del 10 ottobre 1138 di Pietro da Varignana dice che fu testimonio un D. Marco di S. M. in Monte, forse monaco di s. Felice, tanto più che è detto donnus a designare il titolo di monaco. —
Che del 1298 fossero in possesso degli altri due monasteri, viene assicurato da vari legati loro fatti da Domenico di Vincenzo Poeti. Nel 1371 e 1381 l’abbate di s. Felice, Bartolomeo di Bonacursio Raimondi, che fu pur egli vescovo di Bologna, fece fare il chiostro, e nel 1384 la sacrestia e l’antico campanile che fu poscia rifabbricato. come da iscrizione che si legge nella raccolta del Montieri.
Il famoso Graziano, dottor canonista, fu religioso di questo monastero, ove scrisse il suo volume decretorum , del quale si hanno notizie , singolarmente nell’ opera del Padre Sarti, intorno ai chiari professori dell’antico Archiginnasio, e dal quale si riportarono due iscrizioni, una nel chiostro dell’accennato monastero, l’altra nel tempio di s. Petronio. Ne fu anche religioso il celebre Bartolomeo di Carlo Zambeccari, che, dopo esser stato abbate dal 1409 al 1410, coprì la dignità di vescovo di Bologna dal 1430 al 1431, dalla quale si dimise poi per difetto di legittima nomina.
Gli antichi monaci abbandonarono il monastero per le devastazioni sofferte in causa di guerre, e l’Abbadia fu eretta in commenda.
Eugenio IV, mentre era cardinale e commendatore , diede questo locale ai Benedettini di s. Giustina di Padova. Divenuto egli Pontefice, li trasportò a s. Procolo e ripristinò la commenda, alla quale nominò Bartolomeo di Nicolò Albergati, e smembrò da questa la chiesa della Madonna del Monte, la quale poi assegnò , ad istanza dei Benedettini traslocati, a quella di s. Procolo.
Giulio II, con sua bolla pontificia, data in Viterbo li 15 marzo 1506, decretò la soppressione del titolo abbaziale di s. Felice e ridusse il monastero ad ospitale per infermi di peste, a similitudine di quello che era in Bologna a s. Battista del Mercato, distrutto per fabbricare il Castello o la Rocca di Galliera, della cui fondazione o ricostruzione, più volte impresa, e della sua rovina, abbiamo molte notizie negli storici bolognesi. Applicò a comodo di questo ospitale tanti beni di detto monastero che non eccedessero la rendita di Sc. 150 d’oro di Camera, lasciando in essere la chiesa e deputando in amministratore il guardiano, e li Battuti o confratelli dello Spedale della morte; ma con altra bolla data in Roma li 24 settembre 1507 escluse quei Battuti e volle che fossero li Senatori, che deputassero gli amministratori del nuovo ospitale.
Le monache Clarisse, dette di s. Francesco, le quali, come da un atto del codice diplomatico, stavano in un convento subito a destra fuori di porta s. Stefano, fino dal 1231, furono obbligate di abbandonarlo e di. ritirarsi in città in causa delle guerre di Giulio II coi Bentivogli. Vivendo sparse nelle case dei loro parenti, ottennero li 16 ottobre 1512 dal Senato di riunirsi nel monastero de’ Ss. Naborre e Felice, mercé le premure della loro abbadessa Giacoma Gozzadini, la quale, dicesi ne prendesse possesso li 16 gennaio 1513.
Le anzidette suore si obbligarono di sostenere le spese per l’esercizio della cura d’anime della chiesa di s. Felice, a rogito di Giovanni Battista Buoi del 4 ottobre 1512.
Nel 1634 le suore di s. Chiara poi rimodernarono la chiesa superiore, che fu adorna di buoni quadri di pittori bolognesi, alcuni de’ quali allogati ora nella Pinacoteca presso la bolognese Accademia di belle arti.
Nel 1641 ristaurarono la chiesa sotterranea compresa nella loro clausura, oggi visibile quantunque deformata.
A causa di spesse controversie, qualche volta scandalose, fra il confessore delle monache ed il curato D. Giovanni Ciceroni, esse ottennero la soppressione della parrocchia per breve d’Innocenzo XI delli 3 dicembre 1683, la cui esecuzione fu affidata al cardinale Girolamo Boncompagni, coll’insinuazione di concedere la cura d’anime al parroco di S. M. della Carità, che non aveva più di trentadue case sotto il suo circondario ecclesiastico.
Poco dopo ammalatosi gravemente detto arcivescovo Boncompagni , passò agli eterni riposi il 24 gennaio 1684.
Replicò il Papa ló stesso breve li 18 aprile susseguente e lo diresse al legato, cardinale Gastaldi, il quale il 19 maggio susseguente soppresse la parrocchia , assegnandone parte alla Carità, parte a s. Lorenzo di porta Stiera e parte a s. Nicolò di s. Felice , fissando al parroco Ciceroni una pensione vitalizia di scudi bolognesi 150, rogito Carlo Monari 19 maggio 1684.
Li 29 giugno 1798 vennero qui concentrate le monache dei Ss. Lodovico ed Alessio, e le une e le altre furono soppresse li 31 gennaio 1799. Tutto il locale servi da prima a caserma , poi ad ospedale militare, riunendovi quello di S. M. della Carità.
Nel 1817 fu destinato a Lazzaretto per gli attaccati da febbre petecchiale , prodotta dalla carestia e dai cattivi cibi con cui nudrivansi li poveri della montagna, i quali, per non essere spenti dalla fame, discesero al piano propagando nei contorni e nella città stessa quella contagiosa malattia, che costò la vita ad un gran numero d’ogni ceto di persone.
Essendosi fino dal 18 marzo 1817 racchiusi gli accattoni nel già collegio Ungaro, posto in Cento Trecento, e nel 1820 anche li discoli meritevoli di correzione per parte dei parenti e per condanna del governo, divenuto troppo ristretto il locale, si traslocarono nell’ampio monastero dell’Abbadia li 7 settembre 1822, al quale fu attribuito il nome di Discolato , dividendolo ed addattandolo a tre classi di persone.
1.° Per reclusi politici.
2.° Per reclusi corrigendi di famiglie, che pagavano dozzena.
3.° Per lavoratori volontari , li quali avevano il vitto ed un baiocco e mezzo al giorno, e dodici baiocchi il sabato per avere di che vivere la domenica. Per variare di governative disposizioni, quivi s’ institui dappoi l’ufficio d’una casa di lavoro, da dove si distribuivano ai poveri diverse lavorazioni fuori dello stabilimento a mercede pattuita: lo che si fece per alcuni anni sino a’nostri giorni.
Dopo le notizie risguardanti il locale, si trova qui opportuno di riferire altresì l’uso, a cui ha servito per le vicende dei tempi; poi si passerà alle notizie che spettano all’ ospitale di s. Giovanni Battista decollato, relative al descritto monastero e risguardanti il luogo in cui era detto ospedale, situato cioè lateralmente presso la Montagnola.
1519. Addi 15 settembre prima locazione enfiteotica fatta dagli amministratori a nome dell’ospedale di s. Giovanni Battista degli appestati, rogito Lodovico Fasanini.
1523. Plebiscito o decreto dei tribuni della Plebe e Massari delle arti, col quale li fornari, che fanno il pane da vendere, debbano pagare per ogni corba di frumento macinato un bolognino d’ argento all’ospedale dei poveri , infetti di peste in tempo di epidemia, e fuori di detto tempo da investirsi a comodo di detto ospedale, e ciò in luogo del bolognino diminuito dalla santa sede per la macinatura del frumento, che fino dal 1473 fu stabilito in bolognini quattro, e poi a tre d’argento stante la scarsezza delle rendite applicate all’ospedale suddetto.
Li 27 giugno 1523 il Reggimento di Bologna approvò questo decreto, ordinando che il bolognino del morbo si cominciasse a pagare alle calende di luglio prossimo.
Li 9 marzo 1525 questa tassa fu estesa ai venditori di farine, detti scaffieri . ed a quelli che vendevano paste, fave e biscottini.
1554. Addi 28 novembre, compra fatta dagli Assunti della già Abbazia dei Ss. Naborre e Felice dall’abbadessa, e monache di s. Orsola, all’infuori di un monastero già abitato dalle venditrici (in parte distrutto ed ora per autorità apostolica trasportato da s. Lorenzo di B.a.) con le adiacenze di orto e terreno per lire 8000. Rogito Cesare Vallata Rossi, Paolo Dosi , e Camillo Panzacchi.
1563. Addi 10 aprile. Concessione degli Assunti dei Ss. Naborre e Felice alli poveri mendicanti della chiesa ed ospedale di s. Gregorio soppresso, ed ora di s. Giovanni Battista, posto fuori s. Vitale. Rogito Giacomo Maria Fava.
1563. Addi 10 giugno. Breve di Pio IV a favore delle suore di s. Elena, col quale conferma la concessione fatta da Pietro Donato Cesi, vice legato di Bologna pel cardinale Carlo Borromeo assente dalla legazione, a dette suore di scudi 150 d’oro ogni anno, per anni dieci, da pagarsi colle rendite dell’abbazia dei Ss. Naborre e Felice, purchè non sopravvenga in questo frattempo la peste; e ciò ad effetto di fabbricare e riparare il loro convento.
1565. Addi 14 novembre. Rinunzia delle suore di s. Elena ai suddetti scudi 150 per anni 10, per essere applicate le rendite agli infetti di peste e per essere state erogate le dette rendite nella compra di due edifizi fuori di porta s. Vitale (s. Orsola e s. Gregorio) pagati lire 18000 e per aver spese altre lire 25000 per fabbricarli. Rogito Giacomo Maria Fava.
1593. Nel dì 29 ottobre il bolognino del morbo è applicato da Clemente VIII a pagar i debiti della camera di Bologna. Perchè poi possa darsi un giusto apprezzamento alla moneta Bolognino qui sopra accennato gioverà conoscere quanto rilevasi da uno statuto del 1245, risguardante questo particolare.
1236. Si comincia a batter moneta d’argento. Era allora la moneta fatta uniforme. La prima moneta battuta antecedentemente a questa era di lega, e si chiamava bolognino. Cominciatosi a battere questa seconda di argento, e di conio maggiore , la prima cominciò a chiamarsi bolognino piccolo, e l’ altra bolognino grosso. Ma dicendo bolognino simpliciter, s’ intendeva sempre il piccolo. Onde dicendo tante lire di bolognini, s’intendeva di bolognini piccoli, perchè il bolognino piccolo era il denaro della lira e 12 facevano un soldo. Il bolognino grosso era virtualmente un soldo perchè equivaleva a dodici dei piccoli. Se si diceva, in un tratto 100 lire di bolognini grossi , allora il bolognino grosso diventava un denaro di questa lira, e voleva dire 100 cumuli di dozzene di detti grossi, a 12 per dozzena. Oddofredo avverte che non essendo espresso nel contratto che le lire siano di Bolognini grossi sempre s’intendano di piccoli, e cita la legge.
Dalla “Miscellanea” di Giuseppe Guidicini: RISTRETTO DELLA STORIA DELLE CHIESE DI BOLOGNA E DI ALTRI STABILI (Notizie – per la parte antica – prevalentemente attinte da Bologna Perlustrata, di Antonio di Paolo Masini, Bologna, 1666, volume I
Santi Naborre, e Felice.
Parrocchia che trovavasi fra strada S. Felice, ed il Canale di Reno.
Fu edificata nel 345, fu distrutta nel 364, fu riedificata nel 410, fu consacrata nel 412, od era sede del Vescovo, e di un capitolo.
Nel 903 fu abbruciata dagli Ungari.
Nel 1100 fu data ai monaci Cassinesi, acquistando il nome di Abbazia.
Nel 1381 fu ampliato il monastero, e nel 1384 edificato il campanile e la sagristia.
Fu poi abbandonato in causa di guerre.
Nel 1505 fu rovinata dal terremoto.
Il 24 ottobre 1512 fu data alle suore di S. Chiara fuori di strada Stefano il di cui monastero era stato distrutto dalle guerre. Ne presero possesso il 16 gennaio 1513.
Nel 1635 fu ridotto il campanile a miglior forma.
Le predette monache stavano fuori di S. Stefano in luogo detto S. Francesco dalle Donne (Dominarum = Monache), dov’ era un monastero nel 1251 d’altre monache dette degli Eremiti della Catena.
Nel 1384 vi erano le monache Francescane poi dell’ Abbadia.
Fu rovinata per le guerre del 1511.
Alla suddetta chiesa di S. Naborre fu tolta la parrocchia, e ripartila fra S. Nicolò di S. Felice, e Santa Maria della Carità ai 19 maggio 1684.
Il ponte del canale di Reno nelle Lamme fu rifatto nel 1317 dall’ingegnere Bonaventura da Caldarara.
Nel 1527 fu creata la chiesa detta del ponte delle Lamme, nella quale nel 1552 ebbe principio la confraternita di detto nome.
Dall’ “Indicatore Bolognese” di Sebastiano Giovannini:
Porta a un Piano
Porta a due Piani
Uscio, Ingresso alla Casa Provinciale di lavoro.
Uscio di due arcate
Chiesa che fu la principale forse, ma certo lapiù antica Chiesa, che fuori allora della città edificarono sotterra i primi cristiani della nostra colonia: ridotta a forma di Chiesa nel 270 da San Zama Vescovo di Bologna con titolo di San Pietro, e poi riedificata da San Felice nel 401 col titolo de’ Santi Naborre e Felice, il quale vi stabilì la Residenza Episcopale, adunanza di Clero e Capitolo. Questa dopo varie vicende, abbruciatasi nel 906, fu data nel 1110 ai Monaci Benedettini, che vi fondarono un lor monastero col nome di Badia dei SS. Naborre e Felice; e nel 1381 vi ampliarono il monastero, che poi abbandonato si applicò allo Spedale per Infermi di morbo epidemico nel 1508 per le rendite; e due anni dopo per l’Edifizio si cedette alle Monache Francescane Urbaniste, qui trasferite nel 1512 dal lor convento di S. Chiara appena fuori di Porta S. Stefano, ove stavano prima anche del 1584 che furono soppresse nel 1799. Ora Casa Provinciale di Correzione e d’Industria.